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La storia dei videogiochi cooperativi - Prima Parte

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Pubblicato il 08/04/2018 alle 00:00

Il videogioco, da sempre, non vive solo di single player o multiplayer competitivo. Che si tratti di risolvere enigmi, intrufolarsi in basi segrete, sparare a creature di vario genere o evitare vere e proprie catastrofi mondiali, la presenza di uno – o più – giocatori aggiunge un gustoso pizzico di imprevedibilità all’esperienza. La cooperazione è infatti elemento fondamentale di tantissimi videogiochi, sin dall’alba dei tempi, più o meno da quando le sale giochi erano il luogo di aggregazione preferito dai ragazzi, a cavallo tra gli anni 80 e 90. Dopotutto, inserire una monetina nel cabinato e affiancare il primo giocatore attraverso uno degli innumerevoli titoli arcade dell’epoca, che fosse uno shoot ’em up a scorrimento o un picchiaduro, era pratica nota ed estremamente consueta. Con l’avvento delle prime console da casa a 8 e 16-bit, sino ai giorni nostri con il recente A Way Out – l’intensa avventura co-op di Hazelight Studios che racconta l’evasione dal carcere e le peripezie dei protagonisti – sono tantisismi i titoli che hanno messo sul piatto dell’offerta della cooperazione come chiave di volta di un determinato titolo. Scopriamo quindi insieme quali sono i maggiori capisaldi che hanno cambiato il modo di intendere il videogioco cooperativo, attraverso le varie generazioni.

Impossibile non partire da uno dei generi che più di ogni altro ha definito il concetto di cooperazione: il picchiaduro a scorrimento. Sviluppato nel 1987, Double Dragon è considerato il primo, vero titolo sui generis, vero e proprio padre spirituale per tutti i titoli analoghi che sarebbero poi apparsi nel corso degli anni, da Final Fight sino a Golden Axe e Street of Rage. Ed esattamente come i suoi figli illegittimi apparsi in sala giochi e sulle più importanti console da casa dell’epoca, il titolo Technos Japan offriva una straordinaria modalità per due giocatori, rispettivamente nei panni di fratelli Billy e Jimmy Lee, impegnati a salvare l’amica Marian dalle grinfie dei Black Warriors (una trama tipicamente anni ottanta, non c’è che dire). Combattere fianco a fianco, stando molto attenti a non dare per errore (?) un pugno al nostro partner, era diventata una delle abitudini più frequenti da parte dei videogiocatori del secolo scorso, specie coloro che proprio non riuscivano a fare a meno di una bella partita in co-op al loro picchiaduro a scorrimento preferito.Altro classico immortale che deve gran parte del suo successo alla modalità cooperativa è il leggedario Bubble Bobble, uscito solo un anno prima (era il lontano 1986) e nel quale due draghetti di colore verde e blu, ossia Bub e Bob, erano chiamati a superare ben 100 (cento) stage per salvare la loro pelle squamata dal cattivone di turno. La particolarità del gioco risiedeva nel catturare i buffi avversari all’interno di alcune bolle sparate dalla bocca, per poi tentare di farle esplodere una dopo l’altra semplicemente toccandole e passando poi allo schema successivo. Ma non solo: i mostri uccisi si trasformavano in frutta, la quale poteva essere raccolta per ottenere un punteggio di gioco maggiore. La cooperazione era la chiave per riuscire a eliminare quanti più nemici possibili in sequenza e nel più breve tempo possibile, prima che la situazione diventasse insostenibile. Il divertimeno, così facendo, era assicurato. Bubble Bobble divenne in breve tempo un vero e proprio classico, tanto che ancora oggi Taito deve gran parte del suo successo proprio ai suoi due piccoli draghi colorati.

Proseguendo negli anni ma cambiando drasticamente genere, la serie di Metal Slug targata SNK dimostrò verso la metà degli anni 90 come uno shooter in 2D poteva tramutarsi in un’orgia di proiettili e caos, un qualcosa a cui la serie Contra sviluppata da Konami aveva già provato ad avvicinarsi quasi dieci anni prima, proponendo però un tasso di difficoltà seriamente proibitivo e uno stile di gioco più sobrio e impostato. Metal Slug, dal canto suo, era invece estremamente più scanzonato sia dal punto di vista grafico, col suo inconfondibile stile cartoon che scimmiottava armi, divise e armamento della seconda guerra mondiale, sia nel tipo di progressione – che non richiedeva chissà quali riflessi o abilità particolari – bensì solo la capacità di sparare con le nostre armi in direzione del nemico (e vi era solo l’imbarazzo della scelta, dalla mitragliatrice al lanciarazzi, passando per granate e veri e propri mezzi pilotabili, chiamati “slug”). In coppia, il gioco era una vera e propria goduria, estremamente caotico ma allo stesso tempo tremendamente soddisfacente, schema dopo schema, boss dopo boss. Ad oggi, è uno dei titoli (o sarebbe meglio parlare di serie) più riusciti tra quelli sviluppati da SNK Playmore, tanto che da anni gli appassionati chiedono a gran voce un ritorno sulle scene di Marco, Tarma e soci.All’inizio degli anni duemila, più precisamente nel 2002 (in Giappone), vide la luce Four Swords, una “costola” del celebre The Legend of Zelda: A Link to the Past pensata solo ed esclusivamente per il gioco cooperativo per quattro utenti contemporaneamente (ossia quattro Link di colore differente). le sfide e i dungeon, a differenza dei capitoli classici della serie di Zelda, richiedevano un approccio fortemente collaborativo. L’esperimento fu un tale successo che il prodotto vide la luce due anni dopo anche per console Nintendo GameCube, in versione standalone e ancora una volta pesantemente orientato alla cooperazione tra utenti. Giocare in singolo era possibile (utilizzando un tradizionale controller Game Cube), ma il massimo del divertimento era ovviamente nella campagna multiplayer, nella quale ciascun giocatore utilizzava un diverso Game Boy Advance a mo’ di pad.

La cooperazione è sempre stata parte integrante del videogioco, ben prima dell’ottimo risultato ottenuto con in recente A Way Out di Electronic Arts e Hazelight Studios. In questo primo episodio della storia dei videogiochi cooperativi abbiamo sottolineato come in passato vi erano alcuni generi pesantemente predisposti al gioco in co-op (ossia i picchiaduro a scorrimento e gli sparatutto in 2D), senza dimenticare alcuni titolo altrettanto validi, spaziando dal puzzle game al gioco di ruolo d’azione. Il meglio, tuttavia, deve ancora arrivare e ve lo racconteremo nei prossimi episodi della nostra serie speciale dedicata alle migliori co-op nei videogames.

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