Recensione

God Hand

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a cura di Antonello Buzzi

Senior Staff Writer

I picchiaduro a scorrimento regnavano incontrastati nel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla metà di quelli ’90, con perle del calibro di Final Fight, Double Dragon, Alien VS Predator, Streets Of Rage e molti altri ancora. Sfortunatamente l’avvento delle tre dimensioni ha fatto un po’ passare in secondo piano questo genere, prima di tutto per la difficoltà nel trasporre il gameplay in un mondo 3D. Numerose software house hanno provato a creare beat’em up a scorrimento tridimensionali, con risultati altalenanti, ma purtroppo nessuna è stata capace di creare una nuova saga, o almeno un nuovo gioco, che rappresentasse adeguatamente questa tipologia di giochi. Capcom, dopo i precedenti insuccessi Beat Down e Final Fight Streetwise, tenta, affidando il compito a Clover Studios, di proporre qualcosa di nuovo e divertente… ci sarà riuscita?

La mano di DioCome da tradizione, la storia assume un ruolo di secondo piano, una mera scusa per tornare a menare le mani. Nel gioco assumeremo il ruolo di Gene, un ragazzo che si trova a possedere un’incredibile potere scaturito dalla sua mano destra, divenuta “La Mano di Dio”. Ma come ne è venuto in possesso? E’ presto detto. Un giorno, mentre stava passeggiando per una città deserta, vede una donna in pericolo attaccata da una banda di criminali alla ricerca della famosa “mano di Dio”. Il nostro eroe, dal cuore generoso, non perde tempo e si lancia per salvarla, ma purtroppo i suoi nemci hanno la meglio su di lui e, per essersi intromesso, decidono di dargli una punizione esemplare, amputandogli la mano destra. Al suo risveglio, tuttavia, si accorge, con sorpresa, che possiede una nuova mano, che emana una forte luce dorata e, grazie ad essa, ha acquistito un potere spropositato. A questo punto Gene decide di combattere per vendicarsi del torto subito, contro legioni di delinquenti, e demoni, desiderosi di riuscire a conquistare il suo “dono”.

Botte da orbiGod Hand si compone di una serie di livelli, ognuno introdotto da una cutscene, dove tipicamente il nostro eroe viene a contatto con i nemici presenti nell’ambiente. Ogni stage ha le proprie caratteristiche estetiche peculiari, una propria colonna sonora e nemci diversi, ma una cosa rimane costante: dovete solo picchiare tutto quello che ci capita a tiro. Il gioco infatti non prevede enigmi da risolvere, chiavi da recuperare o cose di questo genere, ma solo uccidere i nostri avversari sino ad arrivare ai classici boss di fine livello, i quali generalmente sono abbastanza ostici da mettere al tappeto. Le azioni effettuabili sono davvero tante e le combinazioni ottenibili utilizzando i quattro tasti frontali del Dual Shock (quadrato, cerchio, X e triangolo) sono molteplici. Davvero ottimo il fatto che il titolo aggiusta dinamicamente la resistenza ai colpi e l’intelligenza degli avversari, fornendo al giocatore sempre una buona sfida per arrivare alla fine del livello, tanto che spesso e volentieri vi ritroverete a superare lo stage con solo un pizzico di energia, soprattutto durante gli scontri contro i boss. Anche per questo motivo il gioco può risultare un po’ difficile inizialmente, ma per fortuna è possibile salvare spesso (dopo ogni sezione di un livello) e, in caso di dipartita, si può continuare direttamente dall’ultimo checkpoint tutte le volte che si vuole. L’azione è mostrata con una visuale ravvicinata posta subito dietro al protagonista: questo ci permette di apprezzare al meglio le movenze dei personaggi e le varie scazzottate, ma ci rende la visuale estremamente limitata, senza darci la possibilità di vedere se ci sono nemici alle nostre spalle. A questo proposito nell’angolo in alto a destra è posizionato un comodo radar per la localizzazione dei nemici nei dintorni, così possiamo accorgerci immediatamente se qualche avversario vigliacco ci vuole attaccare da dietro. Per fronteggiare con prontezza questo tipo di avversità, è presente un apposito pulsante che ci permette di girarci di 180 gradi istantaneamente, mossa che è stata introdotta fin dai tempi di Resident Evil 3 su PSX. Continuando a parlare di aspetti nel gameplay che sono stati presi in prestito da altri capolavori Capcom (in questo caso il quarto capitolo della saga sugli zombie per eccellenza) non possiamo non citare la possibilità, in determinate situazioni, di compiere azioni speciali a seconda delle condizioni del nostro nemico; ad esempio, mentre è a terra, prima che si rialzi, vedremo comparire sullo schermo il tasto cerchio che, premuto ripetutamente, farà calpestare al nostro Gene più volte il malcapitato di turno, oppure stordendo un nemico potremo finirlo con un german suplex e altro ancora. Questi “Quick Time Event” (come erano chiamati nel mai troppo lodato ShenMue di Sega) rendono i combattimenti ancora più frenetici e spettacolari. Continuando ad uccidere nemci riempirete una apposita barra che, una volta raggiunta la sua capienza massima, vi permetterà di “rilasciare” l’incredibile potere della “Mano di Dio” per un periodo limitato, durante il quale sarete invincibili e velocissimi, l’ideale quando si devono affrontare i boss o i demoni.Proseguendo nella vostra avventura, raccoglierete del denaro, sia uccidendo i nemici, sia trovandolo in giro per i livelli, magari distruggendo alcune parti dello scenario, come tavoli, sedie, bauli e altro ancora, con il quale acquistare nuove mosse ancora più devastanti, oppure incrementare la vostra energia massima disponibile.

Aspetto TecnicoVisivamente il titolo Clover Studios non è di certo appagante, anche per una vetusta PlayStation 2. Sebbene i personaggi principali, Gene in primis, appaiano modellati con cura, lo stesso non si può dire dei nemici comuni e dei livelli, costituiti da un numero davvero esiguo di poligoni. Le visuali di gioco sembrano in qualche modo ispirate a manga quali “Hokuto No Ken (Hen Shiro in Italia)” o “Le Bizzarre Avventure di Jojo”, con lande desolate e paesi quasi abbandonati, dove un eroe solitario si trova a sfidare bande di delinquenti. Il titolo è invaso dal tipico humor nipponico, a partire anche dalla accozzaglia di nemici da affrontare, per finire ai loro discorsi ed espressioni, soprattutto durante le cutscene, senza contare le mosse speciali di Gene, alcune delle quali davvero volutamente eccessive e spettacolari.Sul fronte sonoro la situazione è più soddisfacente, con degli effetti sonori adeguati e in grado di restituire anche la violenza dei nostri colpi e una soundtrack perfettamente adatta all’occasione.La longevità è discreta, probabilmente non ci impiegherete più di dieci-dodici ore a terminare l’avventura la prima volta, ma è altresì vero che la struttura del titolo potrebbe portare a volere rigiocare il tutto ad un livello di difficoltà più elevato.

– Grande dose di humor durante la nostra avventura

– Elevata varietà di mosse disponibili

– Difficoltà ben bilanciata

– Realizzazione tecnica migliorabile

– Telecamera troppo limitata

– Struttura dei livelli ripetitiva

7.2

God Hand è un titolo che porta su PlayStation 2 un beat’em up alla “vecchia maniera” di discreta fattura, ricco di humor nipponico e con una grande varietà di mosse a disposizione per uccidere i nostri avversari. Peccato per l’assenza di una modalità cooperativa in 2 giocatori e per la realizzazione tecnica dozzinale. Consigliato a tutti i nostalgici dei picchiaduro a scorrimento ma anche a chi cerca un gioco divertente con cui “sfogarsi” virtualmente contro orde di nemici.

Voto Recensione di God Hand - Recensione


7.2