Dark Souls III, l'epopea del dark fantasy videoludico

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati alla retrospettiva su Dark Souls, una delle saghe videoludiche più conosciute, amate e chiacchierate di questi anni Duemiladieci, tanto da meritarsi una remaster su Switch recentemente annunciata. Dopo aver indagato sulle origini del mito con il primo Dark Souls, spiegato il proseguo con Dark Souls II e la sua bistrattata Drangleic, è il momento di portare la storia alla sua parte (apparentemente) finale. In questa ultima retrospettiva parleremo infatti di Dark Souls III, uscito nel 2016 per PS4, Xbox One e PC. Il titolo più recente, meno controverso di altri suoi illustri predecessori ma anche lui con un compito difficile: chiudere una seconda volta il cerchio.

Direttori, co-direttori e ponti concettuali

L’annuncio ufficiale di Dark Souls III viene dato nel 2015, e il primo gameplay viene mostrato all’E3 di quell’anno. Gli anni sono stati fruttuosi per Hidetaka Miyazaki: dalla direzione di Demon’s Souls è passato alla presidenza di tutta FromSoftware. Parimenti, lo stesso anno della pubblicazione di Bloodborne viene annunciato che Miyazaki sarebbe ritornato a dirigere la sua serie più famosa. Questo cambio di regia viene oltremodo cavalcato in sede di marketing, lasciando però più in ombra il fatto che il buon Hidetaka verrà affiancato da due co-direttori. Viene richiamato Yui Tanimura (già direttore unico di Scholar of the First Sin) e coinvolto Isamu Okano, la cui esperienza come come co-regista risaliva a Steel Battalion, videogioco per 360 del 2012 che impiegava il Kinect. Con l’utenza “tranquillizzata” dal ritorno dell’autore originale, lo sviluppo del gioco procede senza particolari momenti sotto ai riflettori, per quanto non manchi di instillare qualche dubbio. Fin dall’inizio sono infatti evidenti i richiami a Bloodborne specialmente in termini di velocità, ma l’idea di “avventura conclusiva” è ugualmente palese. C’è anche il timore che, proprio per via della sua natura “aggregante” il gioco si perda nel proprio auto-citazionismo, non dando poi risposte autentiche su quello che può essere il destino dell’universo narrativo. Parimenti al gioco “base” viene annunciata quasi subito la presenza di contenuti scaricabili e relativo season pass. Quest’ultima caratteristica passa comunque in secondo piano: l’annuncio del gioco e del ritorno di Miyazaki alla regia stempera un po’ le controversie su Scholar of the First Sin. Tuttavia è proprio quest’ultima edizione di Dark Souls II a fungere da ponte: attraverso Aldia vengono infatti introdotti nella narrativa i concetti di “eredità” ed “erede”, poi fondamentali per Dark Souls III.

Un albero consumato con un po’ di labirintite

Dark Souls III si basa quasi in toto sullo stile dell’esordio. Praticamente coevo di Bloodborne nello sviluppo, ne riprende il design labirintico degli ambienti e una maggiore velocità dell’azione. Da un punto di vista estetico torna il modus operandi di Miyazaki di dare poche suggestioni e poi lavorare su ciò che queste ispirano agli artisti. L’indicazione data in questo caso è quella della “bellezza appassita”. L’idea è quella di costruire un mondo intrinsecamente stanco e consumato, che boccheggia di fronte a un destino che non arriva.
In sé comunque la missione che pare animare tutta la produzione è quella di colmare tutte le “lacune” che in Dark Souls II erano state oggetto di lamentela da parte dei giocatori. Ciò inevitabilmente si traduce in una grande quantità di richiami al passato e a gli episodi precedenti, fino a riutilizzare e ampliare la struttura “a stella” usata prima su Demon’s e poi su Dark Souls II. Ma per questo gioco viene modificata per farla divenire più simile a quella di un albero: così nasce Lothric, il regno dove si fondono lo spazio e il tempo di tutte le epoche in cui il Fuoco ha dominato.
Il gioco viene pubblicato il 12 aprile del 2016, ed è di nuovo un successo su tutta la linea. Potenza a parte, a fare la differenza è appunto l’impostazione delle mappe, la varietà di percorsi, scorciatoie e level design viene portata quasi all’esagerazione. Non altrettanta attenzione viene però dedicata al personaggio: nonostante siano state tolte statistiche controverse come l’Adattabilità, la crescita del personaggio e della sua potenza appare così graduale da essere assai meno percepibile. La direzione di Miyazaki comunque non è totale, cosa che si rispecchia in alcune cose non pienamente equilibrate e in un citazionismo un po’ troppo insistito. Il regista inserisce anche qualche frecciata a Dark Souls II: non solo Vendrick non è mai nominato, ma tutti gli oggetti provenienti da Drangleic ribadiscono quanto la leggenda di quella terra sia incompleta.

Il rituale dei Cinque Troni

Superata l’oggettiva potenza immaginifica di Lothric, ci si rende conto che le due solite narrative dei Souls (mondo e personaggio) sono stavolta leggermente più chiare. Innumerevoli cicli dopo Gwyn e Vendrick, è accaduto quello che non sembrava possibile: il Fuoco sta davvero spegnendosi per sempre. In una sorta di ultima, disperata resistenza, sono tornati alla vita tutti coloro che hanno avuto a che fare col Fuoco. I più importanti sono i Signori dei Tizzoni, ovvero coloro che nelle rispettive epoche hanno deciso di seguire Gwyn e vincolare il Fuoco. Adesso sono stati convocati all’Altare del Vincolo per offrirsi di nuovo in sacrificio. Ma a sedere sul trono è giunto solo il disincantato Ludleth, mentre gli altri (Yhorm il Gigante, Aldrich il Divoratore degli Dèi e la legione dei Guardiani dell’Abisso) sono rimasti nei loro domini. Già all’inizio della storia capiamo il perché: i Signori furono convocati al castello di Lothric per parlare con l’omonimo principe. Costui, debole e malaticcio, era stato allevato esclusivamente per prepararlo al suo destino di vincolare il Fuoco. Ma quando arrivò il momento, egli rifiutò di sottoporsi a questo destino. Le ragioni di questa decisione non sono chiare, ma l’ipotesi più accreditata è che avesse indugiato in conoscenze proibite, eredi della dottrina del buio professata dal Serpente Primordiale Kaathe.
Indignati da questo suo gesto, gli altri Signori lasciarono il castello arroccandosi nei propri domini. Lothric si rese conto troppo tardi che aveva deciso di lottare contro qualcosa di troppo grande. Ciò che nel suo regno era verde, lucente e maestoso appassì sempre di più, e lui stesso non poteva che attendere qualcuno abbastanza forte da liberarlo.
Ecco quindi che, giunti al momento estremo in cui tutto sta per crollare, che si erano risvegliate anche le Fiamme Sopite. Costoro sono non-morti che avevano fallito anche il vincolo del Fuoco, e che ora erano l’unica speranza per riportare i signori sui loro troni. Il nostro personaggio è appunto una Fiamma Sopita: dovrà avventurarsi per Lothric e riportare all’Altare i resti (tizzoni) di tutti coloro che ancora non sono al loro posto. La strada verso ognuno di loro sarà sbarrata da coloro che li seguirono e supportarono nel loro destino: gli Eredi del Fuoco, cioè i boss “normali” della progressione. Quando tutti i resti saranno al loro posto, la nostra Fiamma Sopita potrà arrivare alla fine dei tempi e affrontare l’Anima di Tizzoni, dando così pace agli dèi di Lordran e decidendo il fato ultimo del Fuoco e del mondo.

I Signori, il quadro e la città alla fine dei tempi

Nei fatti, la relativa comprensibilità della storia si sposa con una struttura del mondo assai meno contorta che in passato. Se le singole zone sono appunto labirintiche, il loro collegamento è molto più lineare. C’è infatti un solo grande bivio, quando il Bosco dei Crocifissi si biforca tra le Catacombe di Carthus e la Cattedrale delle Profondità. E in ogni caso bisogna obbligatoriamente completare quest’ultima per superare le Catacombe e arrivare così alla Valle Boreale e quindi ad Aldrich. Le zone facoltative, invece, diventano pressoché tutte accessibili solo nel finale, quando si accede ai piani alti del castello di Lothric. Nel percorso per arrivare a ciascun Signore veniamo poi a conoscenza di qualche altro dettaglio sul suo conto. Uno dei dettagli più interessanti è il fatto che la madre di Lothric e suo fratello Lorian sia Gwynevere, principessa di Lordran e figlia di Gwyn. Questo dettaglio non viene mai ammesso esplicitamente, ma viene lasciato intendere da fin troppi indizi. Un altro dettaglio che due anni fa sconvolse i fan fu il presentare come boss opzionale il Re senza Nome, il primogenito perduto di Gwyn. Fino a quel momento si era creduto che questi fosse o si fosse reincarnato in Solaire, il cavaliere adoratore del sole del primo Dark Souls.
Dark Souls III viene infine completato da due espansioni, pubblicate tra ottobre 2016 e gennaio 2017: Ashes of Ariandel e The Ringed City. Se la prima viene accolto con una certa freddezza, in quanto piuttosto corta e “incompleta”, la seconda è sicuramente più apprezzata. Ashes of Ariandel è ambientato nel Mondo dipinto di Ariandel (chiara citazione ad Ariamis del primo Dark Souls). Qui si sarebbe affrontata la stirpe di Londor, i Non-Morti adoratori del buio e indiretti discepoli di Kaathe. L’espansione vede poi l’introduzione di una coppia di personaggi particolare: una giovane pittrice e il suo tutore Gael. La pittrice era alla ricerca di un pigmento, che però appariva legato all’Oscurità e alla stessa Anima Oscura. La loro storia si conclude tragicamente nel successivo The Ringed City. Questa ultima espansione altro non è che la conclusione morale di Dark Souls III e, finora, della saga tutta. Tramite un falò alla fine dei tempi, appena fuori dall’arena in cui si affronta l’Anima di Tizzoni, è possibile accedere al Cumulo di Rifiuti.
Questo altro non è che Lothric, ridotta a polvere e macerie nell’attesa di una Fiamma Sopita mai arrivata. Qui si avvera l’ultima leggenda: l’esistenza della Città ad Anelli, leggendario insediamento donato da Gwyn agli esseri umani. A capo di questo luogo ormai oscuro ci sarebbe stata un’altra sua figlia, Filianore. Quando la Fiamma Sopita la risveglia, questa non può che mostrargli a cosa porta il Fuoco: solo cenere, rovina e polvere. In questo vuoto cosmico, avrebbe affrontato Gael, alla ricerca del Sangue dell’Anima Oscura per la sua figlia adottiva.

Siamo arrivati alla fine di questo lungo viaggio. Da un esordio inaspettato che parlava del potere e della sua follia, Dark Souls II si è evoluto nel parlare del desiderio e di quanto renda ciechi. Infine, non ha potuto che concludere con la predestinazione e con la follia che si porta in eredità. Dark Souls III con la sua Lothric è il luogo dove si distorcono spazio e tempo. The Ringed City forse è la metafora (volendo anche un po’ crudele) della fine di una saga che ha detto tutto quello che aveva da dire. Un cerchio disegnato, poi spezzato e infine ricostituito, e di cui ora non può rimanerne che cenere. Che ha lasciato un segno nella storia del videogioco, con la sua triste ma orgogliosa grandezza. Probabilmente, è davvero giunto per FromSoftware il momento di dedicarsi ad altro. E nonostante qualche intoppo, si rialzerà sempre più forte. Come Patches l’Indistruttibile.