Come è cambiata la community dei videogiocatori

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a cura di Gottlieb

Metal Gear Survive, Sea of Thieves, Spyro, God of War: questi sono i quattro principali argomenti sui quali i videogiocatori si sono concentrati in questo inizio del 2018. E con concentrati intendo dire che si sono lasciati andare alle più veraci e feroci critiche e polemiche, dai social network a YouTube, utilizzando qualsiasi piattaforma possibile. Polemiche che analizzerò a breve, ma che mi portano sempre più verso un quesito: come si è evoluta la community dei videogiocatori in questi anni? È prerogativa dell’uomo porsi domande che spesso non hanno una risposta e stavolta non riesco davvero a spiegarmi come sia possibile che il videogiocatore, un fruitore del medium più innovativo di sempre, sia diventato tanto conservatore da far rabbrividire il miglior Ronald Reagan. 

L’ascia di KratosIniziamo a ritroso partendo con God of War: la nostra recensione è andata online ieri mattina e abbiamo premiato il nuovo titolo degli studi di Santa Monica con un voto davvero importante. Lo abbiamo fatto perché la nuova avventura di Kratos pone un benchmark per il futuro, stabilisce una nuova base dalla quale partire per creare il videogioco che verrà, dal punto di vista tecnico ma anche dal punto di vista del gameplay. Cory Barlog, creative director di Santa Monica, ha voluto mettere un punto a quello che era il God of War della prima trilogia e tirare fuori dal cilindro un qualcosa di completamente nuovo, perché il medium videoludico deve evolversi, così come la percezione che noi abbiamo di esso. Proporre nel 2018 una visuale come quella dei primi capitoli della saga non avrebbe avuto alcun senso sia per l’evoluzione del brand sia per quello che è il modo di concepire i videogiochi al giorno d’oggi. Eppure alla community questa scelta non è piaciuta: Kratos ha cambiato arma – datevi del tempo, vi assicuriamo che le sorprese non mancheranno -, ha cambiato obiettivo, non combatte più contro Zeus, quindi non va bene. Questo non è God of War. Arrivare a comprendere che questo è un nuovo God of War, una nuova declinazione, una nuova formula con la quale si propone il medesimo brand sembra un’operazione fuori dal mondo dell’attuale community, conservatrice, tradizionalista e tremendamente ancorata al passato. La domanda, a questo punto, passa su un altro livello: avremmo davvero apprezzato un nuovo capitolo della saga uguale a uno dei precedenti? La risposta, come detto anche poc’anzi, pare non esserci, ma da recensore vi dico di no, non l’avrei accettato. 

Ho detto forse niente draghi viola? L’ho detto?Trasferiamoci ora dalle parti di Insomniac e fermiamoci su Spyro. Il ritorno del draghetto viola è una chiara operazione marketing che mira a due importanti aspetti: rinnovare, per Activision, il successo ottenuto con Crash Bandicoot, che è stato davvero alto, e allo stesso tempo rilanciare un’icona videoludica in previsione di un ritorno con un nuovo capitolo, come d’altronde si era ipotizzato con il marsupiale nato in Naughty Dog. Come nella maggior parte dei casi, anche stavolta non si può incolpare Activision di aver realizzato qualcosa di profittevole, anzi bisognerebbe far loro un applauso per la capacità di riutilizzare dei brand praticamente morti e riportarli in vita con tanta maestria. Perché, checché se ne dica, la Reignited Trilogy di Spyro si è presentata davvero bene, almeno nei primi assets distribuiti. Eppure la polemica si è già diffusa a macchia d’olio. Avevamo bisogno del ritorno di Spyro? Che senso ha eccitarsi per una remastered del genere? Maledetto il mercato che ci propina sempre queste operazioni fastidiose. E così via a maledir le donne, il tempo e il governo. Pensare di godersi ciò che il videogioco offre, ossia il divertimento, sembra essere un concetto vetusto; pensare che ciò che non piace a noi possa piacere a qualcun altro non è concepibile; fare in modo che il web, o qualsiasi altra piattaforma, possa pullulare di persone galvanizzate dal ritorno di Spyro è troppo libertino come concetto se a noi, quella remastered, non piace e non interessa. Però anni fa quando si decideva, da bambini, di acquistare l’album delle figurine Panini nessuno ci veniva a dire che era sbagliato o si lanciava in panegirici su internet per spiegarci che era sbagliato fomentarsi per dei pezzi di carta da incollare su dell’altra carta. La domanda, quindi, è: non potremmo lasciare che gli altri si divertano con ciò che diverte loro ed evitare di contestarli solo per il gusto della lamentela? La risposta, chissà, inizia forse a farsi più nitida.

Quaranta gradi a tribordoSea of Thieves, vi sono sincero, non mi ha divertito nemmeno per mezz’ora. I più accorti sapranno che sui pirati c’ho lavorato nell’ultimo biennio per un progetto personale e che in qualche modo, pur non partendo da chissà quale grande affetto per la tematica, vedere una virata a babordo mi provoca sempre qualche emozione di troppo. Eppure stavolta proprio non ce l’ho fatta: Sea of Thieves non mi ha trasmesso nessun sentimento, se non una scarsa propensione all’interesse. Allo stesso tempo, però, ho visto tantissime persone divertirsi: amici, colleghi, vicini, non vi dico parenti perché sarebbe irreale. E per quanto stia faticando a capire dove questo divertimento sia riscontrabile, ho apprezzato questa sferzata di gioia che il nuovo titolo Microsoft è riuscito a trasmettere a una parte di videogiocatori. Forse una parte molto piccola, ma comunque una parte che esiste. Allo stesso modo soltanto parzialmente ho capito la crociata che la community dei videogiocatori ha avviato contro Sea of Thieves: il No Man’s Sky di Microsoft, s’è detto. Una crociata che può essere giustificata se pensata in funzione dell’ergersi a paladini della giustizia e pretendere che un contenuto non sia un gioco-servizio, ma un gioco completo. Le scorribande piratesche di Rare, però, sembrano destinate a rispondere a quell’etichetta di game as a service, con buona pace dei detrattori. E così come mi è capitato già a suo tempo di dire per quanto riguardava le microtransazioni, se qualcosa non piace basta non acquistarla o semplicemente non curarsene. Personalmente non ho speso soldi sul titolo di Rare, non ho trascorso ore a giocarci perché mi sono reso conto, dalle prove con la copia review ricevuta in redazione, che non mi avrebbe affascinato quanto avrei voluto: per questo non mi sono concesso a vituperi od offese gratuite, che in ogni caso non fanno parte della mia persona né della mia professione, e di conseguenza non sono riuscito a capire chi invece lo ha fatto. Così come nelle precedenti due domande, quindi, perché non lasciare che chi si sta divertendo continui a farlo e noi, che non condividiamo quel tipo di divertimento, ci spostiamo su qualcos’altro? Perché dobbiamo essere così tracotanti da credere che se un qualcosa che noi riteniamo brutto lo sia effettivamente anche per gli altri?

Su Metal Gear Survive, invece, sono già state spese fin troppe parole. Un gioco di qualità non eccelsa, che è stato valutato per quello che è, ma che ha scatenato molte polemiche sul fatto che non fosse più legato al Metal Gear di Hideo Kojima. Senza voler ripetere per le ennesime volte quello che già avevo detto, mi ritengo fortunato di aver assistito a un attestato di rispetto e di stima da parte di Konami nei confronti del padre della saga, decidendo di non perpetrare le vicende di Solid Snake, Big Boss, Ocelot e tutti gli altri. 

Come si è evoluta, quindi, la community dei videogiocatori? Rispetto a qualche anno fa è diventata sicuramente più conservatrice: i videogiochi non possono cambiare e devono rimanere quelli di un tempo; non è concepibile, al giorno d’oggi, che un brand provi a innovarsi o a cambiarsi. Allo stesso modo la community è diventata molto più tracotante: se qualcosa non piace, non può piacere a nessun altro. Se Crash Bandicoot è un aborto videoludico tu – sì, proprio tu – non puoi divertirti giocandoci. Non è questa l’evoluzione di cui ha bisogno, oggi, il videogioco: non è questa la community che serve a un medium che si evolve ogni giorno, che cresce continuamente e che ha provato nel tempo a proporre nuove forme di videogioco, dal PlayStation Move, al PlayStation VR passando per il Kinect.