The Witcher, l’epopea del Lupo Bianco – Parte 1

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

C’erano una volta i CDProjekt RED. Una realtà di sviluppo che, nell’arco di poco più di un decennio, si è conquistata un posto tra i gli sviluppatori di videogiochi più amati e conosciuti del mondo. Un traguardo che ha avuto come radici una delle origini videoludicamente più “insolite”, quella Polonia dell’era post-Unione Sovietica, e conquistato con l’ingenua prepotenza di chi sta semplicemente lavorando con passione. Ora lo studio è divenuto una realtà affermata si sta dedicando a qualcosa di nuovo, il misterioso ma fantascientifico Cyberpunk 2077. Con questa retrospettiva vogliamo ripercorrere il loro percorso per la “fama”, passando per la trilogia (e la storia) che li ha resi famosi in tutto il mondo: The Witcher. Un percorso che articoleremo tra le origini letterarie della saga, procedendo poi per quelle videoludiche. Infine vi alterneremo anche la vicenda autentica dei CDProjekt, fatta di alti e bassi ma anche di opere capaci di lasciare segni profondissimi.
Il Lupo Bianco
L’epopea di Geralt di Rivia, il witcher dai capelli bianchi, comincia negli anni Ottanta. Il suo creatore Andrzej Sapkowski partecipa a un concorso della rivista polacca Fantastyka scrivendo il racconto Wiedzmin. Va da sé che quelle poche pagine ottengono molta attenzione, sia per la visione più “realistica” e disincantata del fantasy (era l’epoca in cui Il Signore degli Anelli era appena arrivato a contatto col grande pubblico) che per lo stile tagliente, ironico e un po’ cinico di Sapkowski. L’economista prestato al fantasy continua a scrivere di Geralt per altri quindici anni: dapprima con racconti autoconclusivi e poi in una serie di veri e propri romanzi. Ciascun racconto ha come tema una singola avventura del witcher, le cui cacce (iniziate accidentalmente o su commissione) sono occasione per l’autore di parodiare sia gli stereotipi fiabeschi che criticare metaforicamente la società. I “mostri” che affronta Geralt spesso non sono quelli autentici, ma i suoi stessi committenti e le persone “comuni”, che pur di sopravvivere in un ambiente malato sono disposti a divenire più malato di esso. Il paradosso (notevole per l’epoca) affascina e coinvolge, e i racconti passano presto dalle pagine delle riviste al libro cartaceo. A inizio anni Novanta escono le raccolte L’Ultimo Desiderio (da noi arrivato nel 2011 con il titolo Il Guardiano degli Innocenti) e La Spada del Destino. Sono raccolte importanti, in quanto in esse vengono definiti sia la mentalità di Geralt che i suoi amici, comprimari e amanti. Debuttano infatti Triss Merigold, Yennefer di Vergenberg e lo svampito migliore amico di Geralt, il cantastorie Dandelion (Ranuncolo). Il Guardiano degli Innocenti presenta anche un racconto inedito, La Voce della Ragione, che serve da cornice per tutti gli altri e in cui viene addirittura adottata una narrazione in prima persona da parte di Geralt stesso. Successivamente Sapkowski capisce che i tempi sono maturi per una saga letteraria, che inizia a scrivere e pubblica regolarmente per tutti gli anni Novanta. Recuperate alcune idee narrative solo accennate nei racconti precedenti, Sapkowski incentra il viaggio di Geralt nel ritrovare Ciri, l’ultima portatrice del Sangue Antico e figlia illegittima di Emhyr var Emreis. Questi altri non sarà che il futuro imperatore di Nilfgaard, ma Ciri avrà come tutore (e padre morale) proprio Geralt, la cui fine sarà però amara. A causa dei suoi poteri Ciri sarà trasportata in un’altra dimensione, mentre Geralt morirà insieme a Yennefer durante una rivolta razziale ai danni dei nani. I due si ritroveranno in un luogo sconosciuto, ma comunque felici di poter essere finalmente insieme.
I “ribelli” nei videogiochi si vestono sempre di rosso?
Mentre Sapkowski raccoglieva in libri i suoi racconti e cominciava la stesura dei romanzi, per la Polonia erano momenti di grande cambiamento. Caduto il comunismo nel 1991, i paesi fino a quel momento chiusi nella Cortina di Ferro entrarono in contatto con la globalizzazione e le innovazioni dell’occidente. Tra queste c’erano anche i videogiochi, fino a quel momento sostituiti da macchine e cartucce “clone” il cui materiale era piratato, di imitazione e spesso non funzionante. La liberalizzazione del commercio dovuta alla nuova condizione politica permise ancor più diffusione di questo software “libero”, aiutato anche dall’assenza di leggi sul diritto d’autore. Tra tutti questi commercianti amatoriali c’erano due liceali di nome Marcin Iwinski e Michal Kicinski (d’ora in poi anche solo Iwinski e Kicinski). I due si conobbero nella Varsavia bruciata dal sole continentale, in cui andavano per mercatini a vendere e comprare videogiochi piratati. Dopo qualche anno di “bancarelle”, nel 1994 i due hanno un’intuizione: la richiesta di videogiochi è forte ma non esiste un’azienda che lo è altrettanto.
La primordiale CD Projekt prende vita da questo ideale di condivisione: l’inglese è una lingua praticamente sconosciuta nella Polonia post-comunista e quindi c’è bisogno di qualcuno che renda comprensibili i videogiochi. Prendono quindi contatto con gli sviluppatori esteri, offrendosi di tradurre e distribuire i loro prodotti nel territorio polacco. Il primo videogioco tradotto integralmente è l’avventura grafica di Ace Ventura del 1996, che raggiunge il migliaio di copie distribuite. Successivamente però arriva la vera svolta: da bravi appassionati di fantasy, Iwinski e Kicinski prendono contatti con la Bioware per tradurre il primo Baldur’s Gate (1998). Decidendo di fare le cose in grande, accludono materiale bonus nella confezione (mappe e romanzi cartacei) e ingaggiano attori famosi per la vocalizzazione. Il successo, stavolta, è serio: solo nel primo giorno di commercializzazione CD Projekt piazza diciottomila copie. Di nuovo, Iwinski e Kicinski afferrano l’occasione e a inizio anni Duemila cominciano a collaborare anche a livello di sviluppo. Stavolta lo scopo è fare il porting PC del seguito di Baldur’s Gate, quel Dark Alliance originariamente pubblicato su PlayStation 2, Xbox e GameCube. Alla fine il porting viene cancellato da Bioware, ma il codice sorgente viene ceduto proprio ai CD Projekt. I polacchi capiscono di avere tra le mani non una speranza, ma una possibilità. Ripartendo da questo codice e dall’Aurora Engine, il motore grafico del recente Neverwinter Nights, decidono di sviluppare a loro volta un videogioco di ruolo fantasy: è nata CD Projekt RED.
A scuola dal Lupo Bianco
La scelta di un soggetto per il loro gioco di ruolo non è particolarmente difficile. Negli stessi anni di Dark Alliance infatti le avventure di Geralt di Rivia hanno ormai travalicato i confini della carta, incarnandosi in un film e in una serie TV (un’altra serie, prodotta da Netflix, è attualmente in lavorazione). Sono prodotti assolutamente dimenticabili, ma tanto basta perché i CD Projekt RED comprendano che la licenza per lo sfruttamento videoludico del Lupo Bianco è ottenibile. Tali diritti erano all’epoca in mano a una piccola società concentrata sull’ambito portatile. Per quanto oggi offuscata, è probabilmente da quest’ultima che deriva il termine Witcher, traduzione del polacco Wiedzmin. In Italia questo termine verrà ritradotto solo a inizio anni 2010: con la pubblicazione dei libri si preferirà il termine Strigo, più aderente all’originale (la parola italiana viene probabilmente dal latino extrigare, che vuol dire districarsi, liberarsi o risolvere una situazione complicata o scomoda).
Circa nel 2002-2003 Sapkowski cede la licenza e CD Projekt può cominciare a lavorare. Di nuovo, le difficoltà nello sviluppo e gli aneddoti sono tanti e sparpagliati. La ricerca di una resa visiva avanzata obbliga gli sviluppatori a riscrivere buona parte del codice sorgente dell’Aurora, cosa che si traduce in numerosi bug e in requisiti di sistema esosi. Lo sviluppo si protrae per oltre quattro anni, nel corso dei quali l’azienda paga lo scotto dell’inesperienza e capisce di aver bisogno di un flusso costante di denaro per tenere vivo il lavoro. Allo stesso modo la trama rappresenta un altro problema di fondo. Fuori dalla Polonia Geralt non è molto conosciuto, quindi l’esigenza è costruire una storia originale ma senza far apparire “estranei” i personaggi. La soluzione è quella duplice di inserire scelte morali e fare una trama ambientata dopo la fine della saga letteraria. I CD Projekt hanno infatti approfittato delle ambiguità sulla “morte” di Geralt, che semplicemente si ritrova nella nebbia dopo essere stato misteriosamente salvato proprio da Ciri. Le scelte morali vengono invece dalla moralità del witcher, spesso chiamato a decidere in situazioni in cui le parti non sono mai chiaramente benigne o maligne. Ne risulta una trama che, a parte alcuni punti fermi di fondo, è profondamente malleabile dal giocatore, le cui scelte si ripercuoteranno anche negli episodi successivi. Il “travaglio” si conclude solo nel 2007, con la pubblicazione di The Witcher.
Il gioco riprende in toto universo narrativo, situazioni e personaggi dei libri, dando loro l’aspetto che li renderà famosi in tutto il mondo e facendo passare in secondo piano alcune “licenze poetiche” a livello estetico (nei libri Triss è castana e non rossa). L’opera dei CD Projekt RED è profondamente debitrice e fedele a quanto scritto da Sapkowski. Una cosa che si riflette nei dialoghi taglienti ma ironici e arriva a veri e propri tributi diretti: il filmato introduttivo del gioco è una diretta trasposizione a schermo della parte finale di Lo strigo, il racconto d’esordio di Geralt.
L’inizio di una grande avventura
Misteriosamente tornato dalle nebbie, Geralt viene raccolto dal suo maestro Vesemir e portato alla fortezza di Kaer Morhen, sede della scuola witcher del Lupo. Qui viene curato amorevolmente da Triss Merigold, ma comunque il witcher ricorda solo poche cose del proprio passato. I suoi tentativi di recuperare la memoria lo porteranno a scontrarsi con la banda criminale di Salamandra e a avventurarsi a Vizima, capitale del regno di Temeria governato da Re Foltest. Il gioco nei fatti si ambienta tutto in questa città e nei suoi dintorni, e segna l’avvento moderno di un particolare modo di fare i giochi di ruolo occidentali: piuttosto che puntare alla libertà a tutti i costi, si preferisce che l’azione sia guidata da una forte trama, dai molteplici svolgimenti e possibili finali. A questo si aggiunge un sistema di gioco tradizionale ma accessibile, in cui i combattimenti sono gestiti tramite tastiera e mouse, basandosi sul tempismo e sulla preparazione del personaggio. Il gioco non manca di sollevare anche qualche controversia, per via della possibilità per Geralt di intrattenere relazioni amorose e collezionare “carte” che mostrano la donna conquistata in stile pin-up. Oltre alle scelte individuali, alla fine il punto di arrivo è il medesimo: Geralt deve far fronte all’Ordine della Rosa Fiammeggiante, il cui gran maestro Jacques de Aldesberg vuole salvare l’umanità dal Bianco Gelo, l’era glaciale che secondo la profezia distruggerà il mondo. L’Ordine aveva già seminato devastazione accanendosi contro i non-umani e combattendo direttamente contro i ribelli Scoia’tael. Geralt ovviamente capisce subito che quello del gran maestro è il più esemplare dei buoni propositi portato avanti con mezzi efferati, e incaricato anche dal re Foltest affronta e sconfigge il Gran Maestro, inimicandosi però nel processo il Re della misteriosa Caccia Selvaggia.
Presentato e ospitato da Bioware in coppia con l’allora sconosciuto Dragon Age, The Witcher esce nel 2007 accompagnato da un discreto marketing, nel quale viene ingaggiato anche il gruppo death metal Vader. La band polacca compone appositamente per il gioco Sword of the Witcher, canzone tagliente e orecchiabile. E finalmente, gli sforzi di Iwinski, Kicinski e di tutti i loro collaboratori vengono ripagati: la critica accoglie favorevolmente il gioco. Pur non acclamandolo, riconoscono l’innovazione di una trama profonda e di un fantasy finalmente lontano da qualunque visione buonista o manichea. Ricevono plausi anche i filmati in CG e la qualità della colonna sonora. Il primo The Witcher fu anche l’unico episodio della saga ad avere un doppiaggio italiano, che però si dimostrò di qualità un po’ altalenante, forse anche per il cast di attori più ristretto rispetto all’originale. I pareri positivi della critica specializzata vengono fortunatamente bissati anche dal pubblico, e il gioco raggiunge e supera il mezzo milione di copie. CD Projekt era pronta per continuare con lo sviluppo di videogiochi, ma sulla loro strada non avrebbero avuto solo giorni di sole…

La nascita di The Witcher e dei suoi padri (sia cartacei che videoludici) si intreccia costantemente con la storia della Polonia. In un certo qual senso, ne è quasi metafora: hanno iniziato sulla Via, portando in scena l’arte di arrangiarsi in un paese che a fatica si apriva alle innovazioni e alle possibilità oltre la Cortina di Ferro. Hanno saputo cogliere le occasioni, prima occupando un settore che nel loro paese era ancora “terra di nessuno”, poi iniziando a fare ciò che amavano di più: il fantasy e i videogiochi. Un esordio che si è concretizzato nel primo The Witcher, un fantasy cupo, adulto ma ironico, e ben accolto dal pubblico. Il popolo del videogioco avrebbe presto reclamato un sequel per le avventure di Geralt, ma i ribelli polacchi di rosso vestiti non avrebbero avuto la strada in discesa… Rimanete con noi per la prossima puntata!