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DOOM: The Dark Ages | Recensione - Medievale ma meno moderno

Secondo gli autori, DOOM: The Dark Ages è un ritorno alle origini che vuole mantenere le innovazioni già viste, ma secondo noi c'è stato un passo indietro.

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

In sintesi

  • Brutale, con nuove armi studiate per il corpo a corpo.
  • Gli mancano però le evoluzioni del precedente gioco.
  • Spettacolare ed esagerato, ma anche meno innovativo.
  • Pro
    • Brutale, con nuove armi studiate per il corpo a corpo.
    • Spettacolare, vario ed esagerato, con un occhio al passato...
  • Contro
    • ... Gli mancano le evoluzioni del precedente gioco, che aveva intrapreso una più intelligente direzione.
    • Alcune meccaniche abusabili, che abbassano il livello di sfida globale.

Il Verdetto di SpazioGames

8.3
DOOM: The Dark Ages è un gioco che, pur restando solido e affascinante, non riesce a replicare la potenza innovativa del suo predecessore. È un capitolo che cerca di dare una nuova rilettura alla saga, ma lo fa in modo troppo conservativo, senza riuscire a mantenere quel senso di freschezza che aveva caratterizzato la brillante direzione intrapresa da DOOM Eternal
Se da un lato la lentezza ponderata degli scontri e la complessità delle ambientazioni hanno un loro fascino, dall’altro la mancanza di quella spinta dinamica lascia un retrogusto amaro. Per i fan più affezionati, è comunque un’esperienza meritevole di essere vissuta, ma che non rappresenta l’apice della saga. 

Informazioni sul prodotto

Immagine di Doom: The Dark Ages
Doom: The Dark Ages
  • Sviluppatore: id Software
  • Produttore: Bethesda Softworks
  • Distributore: Xbox Game Studios
  • Testato su: PC
  • Piattaforme: PC , XSX , PS5
  • Generi: Sparatutto
  • Data di uscita: 15 maggio 2025

DOOM: The Dark Ages si presenta come un audace tentativo di reintegrare la saga in un contesto narrativo e stilistico più oscuro e primordiale, come quello degli albori.

Nonostante questa precisa volontà degli autori, e sebbene il gioco mantenga una solida struttura e un impianto estetico notevole, non riesce del tutto ad appaiarsi all'evoluzione dinamica e innovativa dell'incredibile DOOM Eternal.

In questo nuovo capitolo, id Software sembra aver scelto una strada più conservativa che, pur apprezzabile sotto certi aspetti, risulta meno incisiva e coinvolgente. Misurarsi col sontuoso capitolo precedente è in verità piuttosto complicato, perché il livello di innovazione raggiunto ci aveva già fatto chiedere cosa si potesse fare in più rispetto a quanto già visto.

La risposta era davvero fare un passo di lato e creare un nuovo punto di partenza?

DOOM: The Dark Ages tra tradizioni e nuove familiarità

Nel profondo della sua essenza, DOOM: The Dark Ages si propone come un ritorno alle radici, una sorta di prequel che non solo narra gli eventi antecedenti DOOM (2016), ma rielabora completamente l’estetica e la filosofia di gioco.

Sebbene la trama resti legata agli eventi precedenti, DOOM: The Dark Ages vuole reinterpretare il mito del DOOM Slayer, calandolo in un contesto medievale, oscuro, quasi mistico.

Qui, il protagonista non è più il guerriero ultratecnologico che combatte demoni in mondi iperrealisti e distopici, ma un uomo forgiato dal sangue e dalla furia, un eroe che, pur essendo ancora legato alla modernità, si trova a confrontarsi con un mondo primordiale, dove l’orrore non ha bisogno della scienza per manifestarsi.

Si fa strada un mito antico, l’eco di una guerra che non trova ragione nel progresso, ma nel caos che affonda radici nelle tenebre più remote. Questa scelta stilistica, di spostare la narrazione in un contesto più primitivo e lontano dal futurismo che aveva caratterizzato il nuovo corso della saga, ha un impatto notevole pad alla mano.

La velocità, che tanto aveva definito i capitoli precedenti, viene in gran parte sacrificata a favore di un gameplay più ponderato, solido e marcatamente più pesante.

Il DOOM Slayer non è più un baluardo agile che si muove fra salti frenetici, proiezioni aeree e stragi al fulmicotone, ma diventa una figura massiccia, quasi imponente, che avanza con lentezza ma con forza inarrestabile. Ogni colpo, ogni movimento, ogni salto sembra avere una gravità che rallenta il ritmo, ma che non sacrifica la sensazione di potenza che ha sempre caratterizzato il personaggio.

Il DOOM Slayer non è più un baluardo agile che si muove fra salti frenetici, ma diventa una figura massiccia, quasi imponente, che avanza con lentezza ma con forza inarrestabile.

Sotto questo aspetto, DOOM: The Dark Ages presenta un contrasto significativo rispetto al suo predecessore, in cui la velocità e la verticalità degli scontri erano il fulcro del gameplay e delle sue apprezzate evoluzioni.

Se nel capitolo del 2020 ogni azione era frenetica e ogni angolo della mappa sembrava creato per testare la reattività del giocatore, qui la stessa energia sembra essere incanalata in un flusso più controllato e deliberato.

Intendiamoci: la rapidità è ancora presente, ma è un tipo di velocità che si misura in forza bruta più che in agilità. Il cambiamento si riflette anche nell’arsenale del protagonista, che perde la frenesia di armi futuristiche per abbracciare un set più rudimentale ma altrettanto potente: martelli da guerra, scudi-lama e balestre, in un insieme di strumenti che evocano un'epoca passata, sanguinosa e brutale.

Uno degli strumenti in dotazione che meglio definisce questa nuova filosofia di gioco è la Sega Scudo, un’arma ibrida che unisce le capacità offensive e quelle di difesa, una simbiosi tra grandguignolesco e rigida disciplina.

L’introduzione di questa arma implica una riflessione più strategica sugli spazi di battaglia (che si sono allargati ma mai in maniera esagerata), dove il giocatore deve essere in grado di comprendere i tempi e i movimenti con una precisione tattica che sfocia nel ritmo cadenzato, senza mai rallentare troppo.

Cosa cambia davvero?

La Sega Scudo incarna, in un certo senso, la rappresentazione fisica di come il gioco rielabora la sua identità: l'azione resta violenta, ma ora si fa più consapevole e cadenzata, meno peristaltica.

Lo stesso vale per il Polverizzatore, che può devastare le difese nemiche con onde d'urto, e per la Catena Dardo, che arricchisce il combattimento a distanza ravvicinata con un ulteriore strato di complessità, costringendo il giocatore a passare con maggiore frequenza da un attacco all’altro.

Le arene di battaglia, pur nella loro bellezza visiva, sembrano perdere in parte quella dimensione di fluidità che era un marchio di fabbrica di DOOM Eternal.

Non che non siano spettacolari, anzi, ma la loro progettazione più ponderata e complessa talvolta frena quel senso di libertà con evoluzioni in volo che rendeva il gioco precedente così entusiasmante.

Le ambientazioni, fra castelli imponenti e foreste mistiche, hanno una resa visiva che colpisce immediatamente, e su questa qualità resta senza dubbio una forte continuità.

L’esplorazione, che in DOOM aveva sempre significato scoprire nuovi angoli pieni di dettagli da decifrare rapidamente, qui sembra meno immediata, quasi più meccanica. Le strutture architettoniche, pur magnifiche, sembrano più statiche e meno coinvolgenti, come se ogni elemento fosse più a servizio della mitologia che del gioco stesso.

Le variazioni arrivano nelle sezioni di gioco che ricordano gli scontri tra Kaijū e in quelle a cavallo di un possente drago, che regalano momenti più da shoot'em up.

Vanno sicuramente sistemati alcuni problemi perché, nel momento in cui scriviamo questa recensione, proprio nelle sezioni col drago si registrano parecchie compenetrazioni e bug, taluni anche gravi, che non consentono di avanzare correttamente.

Dal punto di vista tecnico, DOOM: The Dark Ages è sicuramente un gioco che impressiona. La resa grafica è straordinaria, con effetti di luce volumetrica che immergono completamente il giocatore in un’atmosfera oscura e maledetta.

Le animazioni, per quanto fluide, sembrano rimanere ancorate a uno stile più tradizionale, senza quei miglioramenti significativi che si sarebbero potuti attendere.

Giocare a DOOM: The Dark Ages in modalità normale o anche a un livello più alto, risulta essere molto più facile rispetto al gioco precedente. Il sistema di parry, con finestre piuttosto generose, consente di respingere prontamente e aggredire all'istante i nemici, che spesso rimangono soverchiati dalla possanza del protagonista.

Giocare a DOOM: The Dark Ages in modalità normale o anche a un livello più alto, risulta essere molto più facile rispetto al gioco precedente.

Sebbene sia presente uno slider per regolare dei parametri, queste meccaniche restano un po' troppo abusabili, aprendo una breccia nella difficoltà globale di gioco, che risulta meno sfidante rispetto al precedente. 

La colonna sonora, curata da Finishing Move, purtroppo non riesce a ripetere l’efficacia della soundtrack di DOOM Eternal. Sebbene la musica mantenga il suo carico di violenza e solennità, il ritmo non è sempre all’altezza, e la fusione di strumenti tradizionali con l’elettronica perde in intensità, risultando talvolta più decorativa che funzionale. Se nei capitoli precedenti ogni battaglia aveva un sottofondo sonoro che ne accentuava l’adrenalina, in The Dark Ages la musica sembra più timida, meno incalzante.

DOOM: The Dark Ages è ancora una volta un gioco grandioso, per questa gloriosa saga, ma i picchi raggiunti in precedenza lo pongono inevitabilmente su un gradino più basso del podio.

A questo punto, lo studio di sviluppo deve comprendere se è il caso di proseguire in questa direzione o se fare un passo indietro e seguire di nuovo il più radioso sentiero precedente.

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