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Immagine di Blue Prince | Recensione - Coraggioso e necessario
Mini Recensione

Blue Prince | Recensione - Coraggioso e necessario

Blue Prince è un'opera d'autore di grande audacia e intelligenza, ma alcuni elementi di gioco molto spigolosi potrebbero tenere lontano il grande pubblico.

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 17/04/2025 alle 11:15
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In sintesi

  • Opera brillante e molto intelligente.
  • Chi ha difficoltà con l'inglese avrà davanti a sé un enorme scoglio.
  • Qualche casualità di troppo.
  • Pro
    • Esperimento brillante e molto intelligente.
    • Supera le convenzioni di genere e sposa in toto l'autorialità.
  • Contro
    • Chi ha difficoltà con l'inglese avrà davanti a sé un enorme scoglio, probabilmente insuperabile.
    • Prima di capire sul serio e fino in fondo, bisognerà imbattersi in qualche casualità di troppo.

Il Verdetto di SpazioGames

9
Blue Prince è un'opera che non si limita a offrire un’esperienza ludica, ma invita a un processo di decodifica attiva, profondo e stratificato. È un titolo che sfida le convenzioni, premia la pazienza e valorizza l’intelligenza interpretativa del giocatore. Non è per tutti, soprattutto per via dell'enorme scoglio rappresentato dalla barriera linguistica per chi ha difficoltà con l'inglese, ma chi accetterà di attraversare il suo labirinto ne uscirà trasformato. Un esperimento raro, coraggioso e necessario. 

Informazioni sul prodotto

Immagine di Blue Prince
Blue Prince
  • Sviluppatore: Dogubomb
  • Produttore: Raw Fury
  • Testato su: PC
  • Piattaforme: PS5 , XSX , PC
  • Generi: Puzzle game
  • Data di uscita: 10 aprile 2025

Steam su instantgaming

€20 €29.99

Blue Prince si presenta come un’opera che rifiuta categoricamente le etichette e disattende le aspettative del giocatore fin dalle prime battute.

In superficie, si offre come un puzzle game in prima persona con elementi roguelite, ma basta un’ora di gioco per comprendere che la natura dell’opera firmata dallo studio indipendente Dogubomb si spinge ben oltre i confini del genere.

La ricerca della famigerata “stanza quarantasei” si trasforma rapidamente in una discesa negli ingranaggi di un congegno enigmatico, che funziona non solo come spazio architettonico mutante, ma anche come macchina narrativa e dispositivo mnemonico, sfidando il giocatore a comprendere come e dove muoversi.

Blue Prince tra intuizioni e sfiancamento mentale

All’ingresso del protagonista nella tenuta di Mount Molly – un edificio tanto maestoso quanto opaco nella sua funzione – si innesta il punto di partenza di un percorso che può essere interpretato come una parabola sull’apprendimento, sull’esplorazione e sul concetto stesso di costruzione del significato.

La struttura si rigenera ogni giorno, annullando qualsiasi configurazione precedente: ogni alba resetta il mondo, imponendo al giocatore una costante tensione tra il desiderio di controllo e la necessità di adattamento.

In questa meccanica, che fonde iterazione e imprevedibilità (talvolta troppa, specialmente agli inizi), si cela una riflessione sul valore dell’esperienza e sul ruolo dell’intuizione.

La villa stessa è una creatura viva: ogni porta attraversata spalanca nuove possibilità, selezionate attraverso un sistema di scelta tripartita che simula un drafting controllato.

La planimetria, formalmente limitata a una griglia 5x9, diventa il campo di una sperimentazione spaziale e logica che richiama le avanguardie architettoniche del XX secolo, in particolare quelle interessate al rapporto tra funzione, percorribilità e senso. Ciò che si costruisce non è solo un edificio, ma una mappa mentale in cui memoria e deduzione si intrecciano.

I fallimenti parziali, i percorsi interrotti, le configurazioni sbagliate sono momenti necessari che alimentano una forma di conoscenza progressiva e cumulativa.

Le stanze, infatti, non sono meri spazi tridimensionali: ognuna è dotata di un’identità semantica propria, attraverso enigmi ambientali, oggetti da interpretare, testi da decifrare.

La conoscenza accumulata non viene archiviata in un diario virtuale, ma richiede un’interazione tangibile, spesso fisica, con il mondo: prendere appunti, disegnare schemi, collegare simboli ricorrenti. Il gioco non solo invita, ma obbliga a un coinvolgimento attivo e profondo, che va oltre la logica della soluzione per entrare in quella della comprensione.

A livello ludico, Blue Prince utilizza la progressione roguelite non tanto come ostacolo, ma come metodologia di apprendimento. L’errore non è punizione, ma parte integrante del processo cognitivo. I fallimenti parziali, i percorsi interrotti, le configurazioni sbagliate sono momenti necessari che alimentano una forma di conoscenza progressiva e cumulativa. La reiterazione diventa così strumento di scoperta, e la frustrazione, sebbene presente, viene sublimata in curiosità.

Narrativamente, l’opera evita con decisione la linearità: i frammenti che il giocatore raccoglie nel corso delle sue esplorazioni – lettere, quadri, oggetti, tracce genealogiche – non si ricompongono mai in una linea retta. L’approccio adottato ricorda più il montaggio associativo del cinema sperimentale anziché la più tradizionale conduzione di gioco. Più che a un racconto, ci si trova di fronte a un mosaico, a una rete di connessioni da ricostruire soggettivamente.

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Attenzione, pianificazione, intuito, logica.

Non vi è un unico centro narrativo, né una verità assoluta da raggiungere: la villa stessa si fa archivio, deposito mutevole di memorie, voci, omissioni. Un ulteriore livello di lettura emerge dall’iconografia ricorrente che popola le stanze: motivi allegorici, simboli araldici, codici visivi che alludono a un mondo che sfugge alla rappresentazione diretta.

La presenza di elementi ambigui – come oggetti appartenenti a epoche differenti, strutture architettoniche impossibili, tracce di civiltà alternative – contribuisce a generare un’atmosfera di sospensione ontologica.

Il mondo di Blue Prince non è riconducibile a una geografia o a una cronologia determinate, ma si situa in una dimensione altra, interstiziale, dove le leggi della fisica e della coerenza diegetica sono sistematicamente messe in discussione.

Questo spaesamento è sostenuto da un impianto estetico minimalista ma studiato nei dettagli. L’aspetto visivo, dominato da palette fredde e da geometrie austere, veicola un senso di distanza che si rivela, con il progredire dell’esperienza, solo apparente.

L’interazione con gli spazi svela strati inattesi di significato, suggerendo che ogni superficie piatta cela una profondità. Anche l’audio, sobrio ma presente, contribuisce alla costruzione di un ambiente in cui ogni suono è indizio, ogni eco un invito a soffermarsi.

Non vi è un unico centro narrativo, né una verità assoluta da raggiungere: la villa stessa si fa archivio, deposito mutevole di memorie, voci, omissioni.

Sotto il profilo dell’accessibilità, Blue Prince impone scelte coraggiose. Non offre tutorial esaustivi, né strumenti facilitanti; rifiuta le interfacce ridondanti e si affida alla responsabilità cognitiva del giocatore. Questa scelta potrebbe apparire penalizzante per chi è abituato a interfacce guidate e percorsi semplificati, ma rappresenta al contrario un gesto di fiducia, inquadrando il giocatore come un interprete.

Il rischio maggiore, forse, risiede nella gestione dell’elemento casuale, intrinseco alla costruzione progressiva delle stanze. In alcune situazioni, la ripetizione di configurazioni sfavorevoli può ostacolare il ritmo dell’apprendimento, generando frustrazione laddove la logica sembrava già chiara.

Tuttavia, anche in questi momenti, Blue Prince conserva una coerenza interna: la casualità è parte del suo discorso, una rappresentazione simbolica dell’imprevedibilità dell’indagine e della fallibilità della memoria.

Non si tratta soltanto di “risolvere” un mistero, ma di imparare a porre le domande giuste, di riconoscere schemi là dove sembravano esserci soltanto ombre. Il protagonista non eredita una casa, ma una responsabilità: quella di abitare uno spazio che si costruisce camminandolo, pensandolo, disfacendolo e ricostruendolo.

Blue Prince non è un’opera pensata per tutti, e non lo vuole essere. Richiede tempo, dedizione, disponibilità al fallimento. Ma per coloro che accettano la sfida, offre un’esperienza tanto rara quanto preziosa: quella di un gioco che non si limita a intrattenere, ma che chiede di essere vissuto come un testo da decifrare, come un enigma la cui soluzione – forse – non è mai stata il punto.

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