L’industria videoludica si trova a un punto di svolta cruciale sul fronte dei diritti dei consumatori e della preservazione digitale.
Dopo mesi di mobilitazione internazionale, la campagna Stop Killing Games, sostenuta da centinaia di migliaia di firme raccolte (oltre 1,4 milioni) attraverso l’iniziativa cittadina europea Stop Destroying Videogames, è entrata in una fase decisiva, in cui le regole del gioco potrebbero cambiare per sempre il modo in cui gli editori gestiscono la fine del supporto ai giochi online.
La battaglia, ora, non è più nelle mani degli attivisti: è passata nei corridoi del potere politico ed economico. La raccolta firme si è conclusa il mese scorso con risultati che hanno superato le aspettative degli organizzatori.
Ora inizia la parte più delicata del percorso: convincere i legislatori europei che esiste un problema concreto quando gli editori rendono inaccessibili i giochi online una volta terminato il supporto ufficiale.
Ross Scott, il YouTuber diventato volto simbolo della campagna a livello globale, ha fatto il punto della situazione sul suo canale Accursed Farms, ammettendo con onestà i limiti del proprio ruolo in questa nuova fase.
«Ora che la raccolta firme è terminata, entriamo in una fase in cui contano lobby contrarie e relazioni politiche. Francamente, non è il mio campo. Non ne capisco molto, anche se alcuni esperti politici stanno supportando gli organizzatori ufficiali dell’iniziativa europea.»
Nonostante alcune battute d’arresto in paesi come Stati Uniti e Brasile, dove iniziative simili hanno incontrato ostacoli significativi, Scott mantiene un cauto ottimismo.
Il suo sguardo è puntato su quelli che definisce i “pesi massimi” della battaglia: Francia, Germania, Australia e l’Unione Europea nel suo insieme. In tutti questi contesti si attendono ora risposte concrete da parte delle istituzioni.
La strategia della campagna si fonda su un principio economico chiave: se anche solo uno dei mercati principali dovesse vietare la distruzione programmata dei videogiochi, l’effetto domino potrebbe estendersi a livello globale.
Gli editori difficilmente potrebbero permettersi sistemi diversi per mercati diversi, rendendo più conveniente adottare standard unificati che rispettino le normative più rigide.
Dietro questa mobilitazione internazionale c’è anche una storia personale che mostra quanto possa essere impegnativa la difesa dei diritti digitali.
Scott ha raccontato un dettaglio emblematico: dopo oltre un anno e mezzo di attivismo costante, non ha più tempo per giocare. «Non ho avuto modo di giocare nemmeno a un videogioco negli ultimi due mesi», ha confessato, evidenziando il paradosso di chi lotta per preservare qualcosa che non riesce più a godersi.
Il creator ha annunciato la sua intenzione di prendersi una “pausa di standby” dal volontariato attivo, intervenendo solo se dovessero presentarsi sviluppi che richiedano la sua visibilità pubblica. Una scelta che segna simbolicamente il passaggio da una fase di mobilitazione popolare a una di trattativa istituzionale.
La campagna è ora entrata, secondo le parole di Scott, in una fase di “attesa”, in cui l’azione pubblica cede il passo ai meccanismi burocratici e politici. Questo, però, non significa immobilismo: l’invito per i sostenitori resta quello di continuare a scrivere ai parlamentari europei e a facilitare i contatti tra gli organizzatori e il personale dell’UE.
La posta in gioco va ben oltre la sola preservazione dei videogiochi. In discussione c’è la definizione stessa di proprietà digitale.
La decisione che emergerà da questa battaglia potrebbe stabilire un precedente valido anche per altri prodotti digitali dipendenti da server, dall’intrattenimento al software professionale. La questione è: i consumatori hanno davvero diritto a conservare ciò che acquistano, anche dopo che le aziende smettono di supportarlo?
Mentre l’industria osserva con attenzione, milioni di giocatori nel mondo attendono di sapere se le loro collezioni digitali saranno al sicuro dall’obsolescenza programmata, o se dovranno accettare che i propri acquisti abbiano una data di scadenza imposta unilateralmente dagli editori.