Il mondo dei videogiochi sparatutto si trova di fronte a una svolta tecnologica che potrebbe ridefinire il modo in cui accediamo ai nostri titoli preferiti.
Due colossi dell'industria, Activision ed Electronic Arts, stanno implementando misure di sicurezza hardware che richiederanno ai giocatori di modificare le impostazioni più profonde dei loro computer.
L'obiettivo dichiarato è ambizioso quanto controverso: eliminare definitivamente i cheater che da anni infestano le partite online con trucchi e modifiche illegali.
A partire dalla quinta stagione di Call of Duty: Black Ops 6, lanciata il 7 agosto, Activision ha avviato quello che definisce un "rollout graduale" di nuovi requisiti di sicurezza. Il Secure Boot e il Trusted Platform Module (TPM) 2.0 diventeranno obbligatori per accedere ai futuri capitoli della serie.
Questi sistemi operano a livello hardware, impedendo al computer di caricare qualsiasi file non certificato come sicuro durante l'avvio del sistema.
La transizione non sarà immediata: i giocatori potranno ancora accedere a Black Ops 6 senza aver abilitato queste funzioni, ma riceveranno notifiche costanti che li inviteranno a conformarsi ai nuovi standard. Quando Call of Duty: Black Ops 7 verrà rilasciato più avanti quest’anno, l’abilitazione di entrambe le funzionalità sarà invece obbligatoria.
La mossa di Activision non è isolata nel panorama videoludico. Electronic Arts ha annunciato requisiti identici per la beta aperta di Battlefield 6, costringendo i giocatori a navigare nelle impostazioni del BIOS per modificare parametri tecnici che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo degli esperti di informatica.
Questa convergenza strategica tra due competitor storici dimostra quanto la lotta contro i cheater sia diventata prioritaria per l’industria.
«Queste protezioni a livello hardware rappresentano un elemento chiave dei nostri sforzi anti-cheat»
Così ha dichiarato Activision, fornendo anche istruzioni dettagliate su come verificare e attivare le funzioni necessarie attraverso le impostazioni del BIOS.
Per chi possiede hardware relativamente recente, specialmente con Windows 10 o 11, l’implementazione dovrebbe risultare relativamente semplice.
Tuttavia, la richiesta rappresenta un precedente significativo: mai prima d’ora i publisher di videogiochi avevano chiesto ai consumatori di modificare configurazioni hardware così profonde per accedere ai loro prodotti.
Activision ha chiarito che al momento non ci sono piani immediati per estendere questi requisiti a Call of Duty: Warzone, ma non esclude questa possibilità per il futuro. L’azienda ha inoltre anticipato che verranno implementate misure di protezione aggiuntive man mano che si avvicinerà il lancio di Black Ops 7, includendo potenzialmente l’obbligo di autenticazione a due fattori per tutti gli account.
L’implementazione di queste misure rappresenta un’escalation nella guerra tecnologica tra developer e cheater. Mentre i sistemi tradizionali di anti-cheat operavano principalmente a livello software, monitorando il comportamento dei programmi in esecuzione, le nuove misure intervengono molto più a monte del processo.
Il Trusted Platform Module e il Secure Boot creano una catena di fiducia che parte dall’hardware stesso, rendendo teoricamente impossibile l’esecuzione di codice non autorizzato.
Questa evoluzione solleva però anche questioni relative al controllo che i publisher esercitano sui dispositivi dei consumatori. La richiesta di modificare impostazioni BIOS per giocare online rappresenta un livello di intrusione tecnica senza precedenti, che alcuni potrebbero interpretare come un’ingerenza eccessiva nella configurazione dei propri computer.
L’efficacia di queste misure nel contrastare realmente i cheater rimane da verificare sul campo, ma una cosa è certa: l’industria videoludica sta ridefinendo i confini tra software e hardware nella sua battaglia per preservare l’integrità competitiva delle esperienze multiplayer.