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Recensione

Limbo, un capolavoro a portata di mano su Switch

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Nintendo Switch piace agli indie. Queste produzioni hanno dimostrato di vendere molto bene, e in alcuni casi anche di più che su PC e console. I motivi sono ovvi, e risiedono tutti nella flessibilità che la console di Nintendo offre al giocatore in termini di fruibilità e mobilità. I videogiochi indipendenti, una parte di questo sconfinato mondo almeno, si sposano perfettamente con la filosofia di Switch. Non è un caso che tante di queste produzioni vengano ripubblicate su questa piattaforma, tra cui Limbo, apripista della scena indipendente classe 2010. Il titolo ha consacrato Playdead come uno studio da “tenere d’occhio” ufficialmente, ma soprattutto ha avuto così tanto successo da uscire su qualsiasi hardware e piattaforma in grado di ospitare videogiochi uscita dal 2010 ad oggi. La versione per Nintendo Switch è un porting diretto, senza alcuna novità (d’altronde, non che ce ne fossero da aggiungere) ed è rivolta pertanto a chi non ha mai provato Limbo ed ha l’occasione per farlo sulla console di Kyoto, oppure per chi vuole rigiocarselo, complici magari le vacanze estive sfruttando la natura ibrida della console, portandoselo in vacanza e spiluzzicandolo piano piano, magari.
Perché Limbo è diventato così celebre, si chiederà chi non ha mai provato il titolo Playdead? Per una serie di fattori. In primis l’estetica, fatta di chiaroscuri usati in una maniera fino a quel momento praticamente inedita, soprattutto per i “giochini” indie (era il 2010, la grande sensibilità di oggi verso la scena indie stava giusto nascendo all’epoca) che spesso erano colorati, oppure in pixel art, ma comunque tutto fuorché lugubri. All’estetica così oscura si accompagnava anche una narrazione vuota, senza lunghi spiegoni, testi a schermo, e men che meno dialoghi, ma fatta di grandi silenzi rumorosi per chi era in grado di ascoltare, e soprattutto osservare.
In Limbo, infatti, è il giocatore a dover capire cosa c’è da fare sostanzialmente, sfruttando ogni elemento in vista per arrivare a cogliere il procedimento necessario per avanzare in quel determinato frangente. Il titolo Playdead fa largo uso della dinamica del trial and error (per l’occasione soprannominata “trial and death”), dove ogni sezione di gioco può risultare in una morte improvvisa. Morti che, per altro, assumono spesso dimensioni molto brutali a livelli visivo, tra trappole mortali e mostri che devasteranno in modo impietoso il povero ragazzino protagonista. Un tipo di esperienza ludica che potrebbe inevitabilmente risultare frustrante per alcuni anche perché, come da manuale, per una parte degli enigmi che Limbo proporrà al giocatore sarà necessario morire almeno una volta per capirne il funzionamento, soprattutto ad una prima partita. Però, proprio grazie al suo ermetismo, ad ogni nuovo caricamento non bisogna sorbirsi cutscene, dialoghi o quant’altro, si ritorna subito a giocare.
Ma Limbo non è solo bianco e nero ed enigmi. Dicevamo di una narrazione minimale ma accattivante. L’avventura esordisce in modo molto atipico, soprattutto per i videogiochi dell’epoca, con il nostro giovanissimo protagonista che si sveglia nel bel mezzo di una foresta senza sapere cosa sta succedendo e soprattutto dove andare. È il nostro istinto di giocatore che ci induce ad andare verso destra, come faremmo in ogni videogioco 2D che si rispetti, ed è proprio grazie alla nostra memoria muscolare forgiata da anni di battaglie ed avventure su controller e tastiere che scopriremo mano a mano cos’è Limbo. Un’avventura singolare, di grandissimo impatto che, trappola mortale dopo trappola mortale, saprà anche raccontarci con rara delicatezza una storia che, arrivati al finale, non può non rimanere impressa nella memoria.
Concludiamo parlando dell’esperienza su Switch. Il porting è ovviamente perfetto, anche perché stiamo parlando di un titolo con pochissime pretese grafiche, in grado di girare perfettamente anche sugli smartphone più datati. Sullo schermo della console, l’impressione è quella di una maggiore fluidità rispetto che su un pannello TV (ma è poco più di un inganno visivo, praticamente), ma la particolare palette di colori di Limbo potrebbe non essere ideale per lunghe sessioni di gioco, soprattutto all’aperto dove il rischio è di non vedere praticamente niente di quello che succede a schermo. Una volta tanto, in questo caso è più consigliabile giocare Limbo sulla TV che in giro, a meno di non trovarsi direttamente solo la luce del sole, o comunque in un ambiente che possa sostenere la retroilluminazione non devastante di Nintendo Switch.

Risulta ancora un’esperienza unica

Estetica e narrativa preziose

Otto anni e non ne sente mezzo

Il gameplay punitivo potrebbe non piacere

È ovviamente un porting senza novità alcuna

9.0

Ad otto anni di distanza, Limbo non solo non è invecchiato affatto, ma riesce ancora a sorprendere ed essere un’esperienza inedita per chi non l’ha mai provato. Il porting su Nintendo Switch non soffre di nessun problema particolare, anche se per la colorazione (di fatto inesistente) particolare di Limbo potrebbe creare qualche problema nel caso si giochi con Switch all’aperto o comunque con una grande fonte di luce esterna. La versione Switch è consigliabile per chi non ha mai provato questa pietra miliare della scena videoludica indipendente, per tutti gli altri è solo l’ennesima possibilità di avere un’altra versione di quest’opera importantissima.

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9