God of War, il fantasma della Grecia - Parte 1

Avatar

a cura di Redazione SpazioGames

God of War, il fantasma della Grecia – Parte 1

Ascesa e caduta del guerriero cinereo

GOD OF WAR

A cura di Paolo “Boyscout” Sirio del 29/04/2018

È un simbolo di potenza maschile, l’incarnazione della rabbia e, paradossalmente, uno dei divulgatori “ufficiali” della mitologia nel mondo videoludico. Le sue Spade del Caos, fuse agli avambracci tramite catene, sono riconoscibili come le pistole di Dante e la bandana di Solid Snake. Lui è Kratos, il guerriero spartano dalla pelle bianca con la luna e il tatuaggio rosso, il semidio che distrusse l’Olimpo e si ritagliò a forza un posto tra gli action-game di sesta e settima generazione. Con l’approssimarsi del suo viaggio nel pantheon norreno il prossimo 20 aprile, vogliamo sfruttare l’occasione per ripercorrere la sua epopea. Un percorso fatto di esordi potenti, qualche passo falso e soprattutto alcuni dei momenti più epici della storia dei videogiochi.

God of War: quando il mito greco divenne “pop”L’inizio della storia è datato 2002. La divisione di sviluppo della Sony a Santa Monica ha esordito l’anno prima su PlayStation 2 con il videogioco di corse fantascientifico Kinetica, prima di collaborare esternamente per altri due titoli (Downhill Domination e War of the Monsters). Archiviate le collaborazioni allo sviluppatore David Jaffe (già creatore di Twisted: Metal Black) viene un’intuizione: da sempre appassionato di mitologia greca, si rende conto che in essa vi sono molti elementi adattabili alle meccaniche di un videogioco. Ad esempio la testa della Medusa immobilizza gli avversari, mentre le saette di Zeus sono armi da distanza. A questa idea seguono tre anni di sviluppo, e la storia della produzione è abbastanza comune per tutte le “opere prime”: difficoltà tecniche, frustrazione per il materiale scartato, percorso creativo anche troppo ambizioso. Kratos nasce ancor prima della trama stessa del gioco, creato (a dire dello stesso Jaffe) come “brutale, malvagio e incavolato nero”. La Grecia antica messa in scena per lo spartano, per quanto ovviamente ispirata ai grandi film peplum e alle pellicole d’avventura degli anni Ottanta e Novanta, viene permeata da un’atmosfera oscura e per certi versi decadente. Ultimato il design di Kratos (inizialmente con il tatuaggio blu) viene finalmente decisa la trama: Kratos è un guerriero spartano tormentato dagli atti del suo sanguinario passato. Ha servito gli dèi dell’Olimpo per dieci anni sperando in una redenzione, ma l’ultima missione assegnatagli da Atena pare impossibile: affrontare e uccidere Ares, il dio della guerra che ormai impazzito assedia Atene assieme alle sue legioni di non-morti. L’unico modo per poter competere con il figlio di Zeus ed Era è ritrovare il Vaso di Pandora, nascosto all’inizio dei tempi nel Tempio di Pandora.Per quanto ai tempi sia passata piuttosto in secondo piano, in realtà il debutto di Kratos è forse quello che ha meno “dimensione epica” di tutto resto della saga. David Jaffe infatti inserisce con una certa insistenza una componente umana e intimistica nella trama, facendo intraprendere a Kratos una disperata redenzione morale per i suoi atti. Lo spartano infatti, dopo aver venduto la sua anima proprio ad Ares, è stato da quest’ultimo ingannato. Il dio gli ha fatto uccidere sua moglie e sua figlia, le cui ceneri gli sono attaccate alla pelle come eterno memento per le sue azioni. La missione del personaggio diviene quindi una vendetta personale in bilico con la follia. La metafora di Jaffe sarebbe quindi quella di mostrare, per quanto in un contesto fantasy, quanto la guerra possa distruggere e abbrutire un essere umano.

Una redenzione negata?God of War esce quindi a giugno del 2005, ed è una rivelazione inaspettata. È infatti la prima volta che il grande pubblico videoludico ha un contatto così “estremo” con la mitologia greca, cosa che lo fa rimanere affascinato dalle ambientazioni ad amplissimo respiro e dalla fluidità e “cattiveria” del gameplay. Per quanto non profondo e assolutamente lontano dalla scuola giapponese, Kratos si controlla che è un piacere, e i colpi che assesta sono inframmezzati da eventi in tempo reale, dove premere i tasti che compaiono a schermo per portare a termine le truculente esecuzioni su nemici comuni, boss e mini-boss. Il tutto viene contornato da un sistema di potenziamento del personaggio tramite le sfere rosse ottenute dai nemici, con cui potenziare sia le Spade del Caos che i poteri divini che gli dèi gli “presteranno” nel corso dell’impresa.Ciò che stupisce di più (in special modo la critica specializzata), più che il livello di dettaglio grafico, è la concatenazione e costruzione degli ambienti: luoghi diversissimi tra loro (lava, deserto, templi, città in rovina, tombe con trappole mortali) si collegano con una naturalezza ancora oggi sorprendente. Il gioco comunque incassa anche delle critiche, in special modo sul sistema di combattimento semplificato, l’eccessiva linearità e i combattimenti con i boss che, per quanto esaltanti, erano veramente pochi (solo tre). Qualche critica piove anche sul finale: ucciso Ares ma non liberato dai ricordi dei suoi atti, Kratos tenta il suicidio ma viene fermato da Atena, che gli impone di ascendere all’Olimpo e divenire il nuovo dio della guerra. Ciò che viene rimproverato è come, per quanto obbligatoriamente “semi-aperto”, finisca per sminuire la componente intimista e di redenzione che aveva affiancato l’impresa della morte di Ares.Il primo God of War, oltre a presentare una propensione (molto “giapponese”) per i boss giganti, era inoltre particolarmente ricco di contenuti extra, tra cui molti documentari sullo sviluppo, il processo creativo di personaggi e ambientazione e alcuni filmati segreti che illustravano alcune idee di trama scartate, come il fatto che Kratos fosse figlio di Zeus e che avesse un fratello. Queste ultime in particolare, per quanto contraddicessero alcuni elementi chiave della trama del gioco, sarebbero state poi essenziali per i futuri capitoli-raccordo sulle console portatili.