Quest’anno, alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Guillermo del Toro ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera, un riconoscimento che celebra decenni di cinema visionario e la sua straordinaria capacità di creare mondi popolati da mostri, eroi e creature indimenticabili.
Del Toro ha iniziato la sua carriera in Messico negli anni ’80, esplorando da subito il gotico, l’horror e il fantastico. Con Cronos (1993) ha dato il via a un percorso che mescola mitologia, folklore e horror psicologico, guadagnandosi l’attenzione internazionale. Il suo talento nel dare anima e spessore emotivo ai mostri è diventato il tratto distintivo della sua poetica.
Mostri che tendono la mano
La cifra stilistica di del Toro è da sempre parte integrante della sua personalità. In ogni film, le creature che popolano i suoi mondi non sono mai semplici mostri: sono specchi dell’umanità dimenticata, incarnazioni di emozioni complesse, fragilità e marginalità, che sfondano lo schermo grazie ad un'estetica prorompente. Questo approccio (e abbraccio) ha raggiunto il culmine con La forma dell’acqua (2017), Leone d’oro e Premio Oscar, dove il Mostro della Laguna ha il suo riscatto e diventa simbolo di empatia e amore impossibile, celebrando la diversità e l’accettazione.
Del Toro non ha mai nascosto la sua ossessione per il gotico e l’horror classico: il cinema degli anni ’30, dai vampiri di Nosferatu alle prime versioni di Frankenstein, è stato il suo terreno di formazione. La Creatura di Karloff e i racconti di Shelley hanno nutrito la sua immaginazione fin dall’infanzia, trasformandosi in una vera e propria missione artistica: raccontare la storia del mostro come una parabola sul diritto all'imperfezione.
Frankenstein: la sua creatura perfetta
Dopo decenni di carriera e sperimentazioni, Frankenstein rappresenta per del Toro la sua opera più religiosa. Ambientato nel 1857, il film segue Victor Frankenstein (Oscar Isaac) e la sua Creatura (Jacob Elordi), intrecciando horror classico, estetica gotica e una profonda introspezione emotiva. Elordi ha dichiarato che interpretare la Creatura è stato “come entrare in contatto con una parte pura di me stesso”, mentre del Toro ha definito il progetto come “il film per cui mi sono preparato per 30 anni”.
Il film, prodotto da Netflix, unisce la spettacolarità visiva alla poesia emotiva tipica del regista. Scene di forte impatto visivo e attenzione al dettaglio convivono con temi universali: solitudine, rifiuto, ricerca di redenzione. In questo senso, Frankenstein è la perfetta sintesi della carriera di del Toro: un autore che sa creare mostri, un padre che sa come crescerli.
Uno sguardo alla sua poetica
La carriera di del Toro è un viaggio tra immaginario e realtà, tra mostri fisici e metaforici. E passando per la suggestione del Labirinto del Fauno o di Pinocchio alle botte da orbi di Hellboy e Pacific Rim, ci siamo sentiti sempre a casa, anche nel fantastico.
Frankenstein non è solo un omaggio a Shelley: è la realizzazione di un sogno personale e creativo, una chiusura simbolica di un percorso iniziato da bambino davanti allo schermo di un vecchio film horror.
Un premio che ruggisce
Il Leone d’oro alla carriera a Venezia 2025 non celebra solo il talento di Guillermo del Toro come regista e visionario, ma riconosce al racconto fantastico un posto di primo ordine. L'uomo ha inventato le storie per vincere la paura e le ha adornate di mostri e creature per spiegare e comunicare l'impossibile. Con Frankenstein, del Toro completa il cerchio: la sua Creatura perfetta non è solo un mostro da incubo, ma l’incarnazione di una carriera intera dedicata a dare anima e cuore ai mondi fantastici.