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Pro
- Il live action riprende quasi ogni elemento del film d’animazione senza snaturarlo, valorizzandone i temi e il tono emotivo.
- Il ritorno di Dean DeBlois garantisce una direzione solida, capace di ricreare l’atmosfera del primo film con cura e passione.
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Contro
- La scelta di ricalcare così fedelmente la controparte animata limita, ovviamente, il margine di sorpresa
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Il Verdetto di Cultura POP
Quando si parla di Dragon Trainer, ci si rapporta con una serie di film amatissima da fan e appassionati, con lungometraggi animati che hanno fatto la storia a modo loro, trascinandosi dietro una scia di successo e approvazione anche soverchiante, in un certo senso, comunque ampia e sfaccettata.
L’idea di trasporre il primo film in forma di live action ha quindi subito destato un certo interesse nel pubblico generalista, accompagnata da alcune immagini che hanno fatto ben sperare e speculare sul lavoro che ne sarebbe uscito fuori.
Oltre alla curiosità, però, anche il dubbio, derivante inevitabilmente dagli altri lavori e progetti che, in questo senso, al cinema non hanno lasciato un segno propriamente positivo, o comunque duraturo, abusando anche di un’idea come questa per “giocare” col proprio seguito, destando sempre e comunque reazioni contrastanti.
Il live action di Dragon Trainer deve quindi confrontarsi con un amore passato e viscerale, ma anche con un pubblico forse, e in qualche modo, sfiduciato da progetti di questo tipo, con l’arduo compito di dimostrare che c’è anche modo di realizzare qualcosa di concretamente interessante, o d’impatto, e non soltanto il cosiddetto “compitino”. Ci sarà riuscito?
Come addestrare il tuo drago… e non ucciderlo
Sull’isola di Berk, nell’arcipelago spazzato dal vento dove i draghi sono visti come nemici naturali e costante minaccia per l’uomo, Hiccup, un ragazzo dai capelli spettinati e dagli occhi pieni di dubbi, si confronta con un’eredità pesante: dimostrare di essere all’altezza del suo nome.
È il figlio del leggendario capo del villaggio e, in quanto tale, ci si aspetta che brandisca un’arma e faccia la sua parte nel perpetuare la lotta millenaria contro le creature alate che tormentano il posto.
Sul suo cammino, quindi, si staglia un'identità pesante, fatta di paragoni inevitabili. Ma qualcosa in lui lo distingue da tutti gli altri: un’incapacità di accettare le regole senza prima metterle in discussione e la costante ricerca di un’accettazione da parte degli altri per quello che è, e non per quello che dovrebbe essere.
L’incontro decisivo avviene nel momento più inaspettato: dopo uno scontro notturno con alcuni draghi, ne ferisce accidentalmente uno, per poi ritrovarlo tra le ombre di un bosco spezzato.
Si tratta di uno dei più temibili della sua specie: il drago nero dai riflessi cangianti, temuto come una leggenda e silenzioso come un presagio. Il giovane, invece di colpire, osserva. Invece di uccidere, ascolta. Il legame che nasce tra i due sfida ogni logica tramandata, suggerendo che ciò che i grandi chiamano mostro, forse, è solo un mistero che nessuno ha avuto il coraggio di decifrare.
A partire da quell’incontro, Dragon Trainer mette in scena una traversata che è innanzitutto interiore, un viaggio che porterà i due a sfidare le fondamenta della cultura di Hiccup e a ridisegnare, con le proprie scelte, la mappa del possibile e dell’apparentemente impossibile.
Con il drago al suo fianco, il ragazzo si scontra con un avversario molto più subdolo di una creatura sputa-fuoco: la paura cieca che regola le comunità chiuse. E capisce che addomesticare un drago non significa imporgli un comando, ma imparare a camminare insieme.
Tutto torna sul grande schermo
Senza mezzi termini, il live action di Dragon Trainer funziona molto bene anche in questa sua “forma” differente. La scelta di far tornare Dean DeBlois, il regista originale, al centro del progetto sia dietro la macchina da presa che come sceneggiatore, porta un amore verso le immagini palpabile e fondamentale nella trasposizione del racconto in questione.
Uno degli elementi più importanti del live action di Dragon Trainer è quello della fedeltà. Questa calibra e gestisce ogni sviluppo, narrativo e formale, trasformando senza trasformare un racconto perfetto già di per sé, consentendogli di nutrirsi attraverso una creatività esterna a quella dell’animazione e un cuore tangibile.
Un lavoro del genere tende a valorizzare, più che a banalizzare, come avvenuto altrove, ampliando anche la portata scenica di un lungometraggio che esplode grazie al realismo ambientale tutto intorno, pervadendone le forme con la magia affabulante dei suoi protagonisti.
In termini di regia e di scrittura, quindi, il lavoro è quasi certosino, riportando alle sensazioni formali ed emotive del passato, passando per una mano che muove la macchina da presa con coscienza e criterio, ma anche inevitabile nostalgia e voglia di ricreare allo stesso modo.
Una coerenza del genere, ovviamente, si affaccia anche nelle tematiche trattate. Senza cadere nella ripetizione di quanto detto in passato riguardo a Dragon Trainer, nel live action tornano tutte le riflessioni e i ragionamenti che hanno reso il primo capitolo una perla.
Quindi si parla di incomunicabilità familiare padre-figlio e di quella paura tipica delle comunità chiuse che diventa ben presto ignoranza e limite mentale.
Nel quadro d’insieme si insinua però una leggerezza di fondo che, come nell’originale, tende a stemperare un racconto dai toni sempre importanti, ampliandone l’impatto generale con un’epica che cresce di momento in momento, fino alla climax finale.
Il live action di Dragon Trainer è praticamente identico in quasi ogni cosa alla sua controparte animata. Curiosamente e inaspettatamente, però, funziona grazie a un amore sottocutaneo che ne definisce e guida ogni momento, restituendo un lungometraggio attento e calibrato da questo punto di vista.
Le interpretazioni degli attori coinvolti (Mason Thames, Nico Parker, Gerard Butler, Nick Frost e gli altri) funzionano perché raccolgono l’eredità sopra le righe della controparte animata, innestandola in un lavoro interpretativo coerente con il mondo proposto.
In parallelo, troviamo una CGI - centrale in un film come questo - convincente, curata e distante dalle animazioni che in passato avevano animato il racconto animato, funzionale all’azione in corso sia laddove si ride e scherza, sia quando la situazione si fa terribilmente più seria.