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Assassin's Creed Mirage | Recensione - Ritorno alle origini

Un ritorno alle origini molto atteso da una parte della community, ma il futuro di Assassin's Creed si nasconde davvero tra le pieghe del suo passato?

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

In sintesi

  • Un ritorno alle origini, comprensivo di pregi e difetti
  • Meno contenuti, ma più focus su storia a personaggi
  • Buon comparto sonoro nonostante valori produttivi ribassati rispetto a Valhalla

Informazioni sul prodotto

Immagine di Assassin's Creed Mirage
Assassin's Creed Mirage
  • Sviluppatore: Ubisoft Bordeaux
  • Produttore: Ubisoft
  • Distributore: Ubisoft
  • Testato su: PS5
  • Piattaforme: PC , PS4 , PS5 , XSX , XONE
  • Generi: Action Adventure
  • Data di uscita: 5 ottobre 2023

Dopo la svolta impressa da Ubisoft alla sua saga di punta nel 2017, quando Origins si fece latore di un cambiamento epocale, che trasformò degli action adventure in vasti giochi di ruolo d'azione a mondo aperto, la saga di Assassin's Creed non è stata più la stessa, nel bene e nel male.

Se molti (e chi vi scrive tra questi) apprezzarono la maggiore libertà di approccio e di esplorazione e l'ampliamento dell'equipaggiamento che i nuovi titoli portarono in dote, altri rimpiansero il gameplay prevalentemente stealth e le missioni asciutte e concentrate dei titoli originali, sostenendo che nel passaggio alla formula RPG qualcosa fosse andato irrimediabilmente perso.

A questa tipologia di pubblico deve aver pensato il colosso francese quando ha iniziato i lavori per il qui presente Assassin's Creed Mirage, che riporta l'orologio del franchise indietro di quasi otto anni.

In tutto e per tutto.

Basim, un volto noto

Assassin's Creed Mirage mette il giocatore nei panni di Basim Ibn Ishaq, un volto già noto a quanti avessero giocato Valhalla, ambientato vent'anni dopo le vicende narrate in questo episodio.

Volendo evitare spoiler a quanti non avessero vissuto la lunga epopea di Eivor in prima persona, ci limiteremo a dire che Mirage funge da classica storia di origine per un personaggio che i giocatori hanno già conosciuto nel pieno della sua maturità, quando già rivestiva un ruolo prominente all'interno dell'organizzazione degli Occulti, precursori degli Assassini.

L'incipit di Mirage, invece, lo vede giovane e scapestrato, sbruffone dal cuore tenero, a barcamenarsi tra furtarelli, raggiri e lavoretti di giornata tra i vicoli polverosi di un sobborgo di Baghdad, nel IX secolo: invaghitosi della nomea di rivoluzionari e dell'aura di mistero che circonda gli Occulti, decide di sfruttare la prima occasione che gli si presenta per farsi notare da questi ultimi.

Purtroppo per lui, e nonostante i consigli contrari della sua compagna d'infanzia, la sua decisione si rivela a dir poco avventata, e porta a conseguenze terribili per tutte le persone che gravitano attorno a Basim, l'unico che riesce a fuggire lasciandosi dietro morte e distruzione.

Evitando le diluizioni degli episodi recenti, per la sua natura più contenuta, Mirage riesce a raccontare molto meglio.
Spogliato dei suoi pochi averi, degli unici amici che gli rimanevano e di un tetto sopra la testa, il nostro si arruola nella confraternita degli Occulti, sotto la tutela della sua ombrosa mentore Roshan, per mettere fine al dominio di una misteriosa setta che influenza tantissimi ambiti della vita encomica, sociale e religiosa del califfato abbaside, uno dei regni più lunghi e prosperosi della millenaria storia del Medio Oriente.

Nonostante la storia rappresenti, sotto multi punti di vista, una versione riveduta e corretta di quella che Ubisoft ha già narrato molte volte durante i quindici anni di vita del franchise Assassin's Creed, il fascino dell'ambientazione, delle motivazioni dei personaggi, del culto degli Occulti sono innegabili, e rimangono costanti per tutta la durata della campagna, con qualche frangente di stanca nella fase centrale, dopo un incipit scoppiettante ed un discreto finale.

Ad aiutare la narrazione ci sono anche tempistiche narrative assai più concentrate rispetto agli ultimi episodi del franchise, dove il plot veniva diluito su decine e decine di ore e finiva per annacquarsi, ed uno stile più diretto e conciso, senza troppi fronzoli e senza divagazioni eccessive.

La durata stessa della campagna, completabile in una ventina di ore circa, al netto della discreta quantità di contenuti opzionali, favorisce la focalizzazione del giocatore su storia e personaggi assai più delle gargantuesche uscite precedenti, ed il risultato è che, nonostante la generale mancanza di originalità, le avventure di Basim riescono a catturare l'interesse del giocatore.

Non che in questo tutto sia perfetto, beninteso: manca un antagonista capace di attirare l'attenzione, e molti dei bersagli del nostro assassino si riveleranno cattivi per il puro gusto di esserlo, fin quasi al macchiettismo, ma la scrittura generale è apprezzabile e la grande attenzione riposta nei dettagli, dalla lingua parlata dagli NPC per strada ai riferimenti alla storia reale della regione, aiutano a calarsi nelle vicende, controbilanciando la sensazione di già visto causata dal comparto tecnico, su cui torneremo in seguito.

Ritorno all'antico

Controller alla mano, vestire i panni dell'iniziato degli Occulti si rivela un vero e proprio tuffo nel passato, con il parkour e la necessità di colpire dall'ombra che assurgono nuovamente al ruolo di protagonisti nell'economia del gameplay.

Nonostante la conclamata intenzione di tornare a meccaniche stealth, che pure si riprendono la scena dopo gli anni di Origins, Odyssey e Valhalla, il ventaglio di soluzioni a disposizione di Basim si fa incredibilmente vasto già a poche ore dai titoli di testa, rendendolo un vero e proprio cannone di vetro, incapace di resistere a troppi colpi ma assolutamente letale nell'uno contro uno e non solo.

Gli assassinii multipli, possibili quasi da subito ed ampliabili a dismisura prima della fine dell'avventura, permettono al nostro di sfruttare un'apparente glitch del sistema per far fuori da uno a cinque o sei bersagli in un battito di ciglia, semplicemente marcandoli mentre non siamo nel loro campo visivo.

Com'è facilmente immaginabile, questa feature, da sola, sbilancia completamente il livello di difficoltà, che già di suo non si sarebbe segnalato per il raggiungimento di chissà quali picchi.

Il gameplay torna alle origini, ma senza fare tesoro dell'esperienza accumulata con la recente trilogia e riproponendo gli stessi difetti irrisolti dell'epoca Syndicate.
Nondimeno, queste catene di morte si rivelano estremamente soddisfacenti tanto da utilizzare quanto da vedere in azione, e rappresentano una delle poche novità introdotte da questo capitolo, le cui meccaniche, per il resto, si accontentano di riproporre quanto già visto fino a Syndicate.

Arnesi dimenticati, come le bombe fumogene, i dardi soporiferi, i coltelli da lancio, si ritagliano nuovamente una nicchia di importanza non indifferente, e soluzioni di gameplay abbandonate ritornano in auge, come la possibilità di confondersi tra la folla per passare inosservati, assoldare mercenari per fare il lavoro sporco al posto nostro o musicanti per distrarre le guardie durante le loro ronde.

Al contrario, elementi fondanti degli ultimi episodi sono stati messi da parte, o comunque fortemente depotenziati: gli alberi delle abilità sono solo tre, e molto meno fantasiosi rispetto al passato, in assenza di un vero e proprio sistema di crescita del personaggio, così come è completamente sparita tutta la parte relativa al loot e alla gestione dell'inventario, oltremodo semplificata anche rispetto ad alcuni dei titoli pre-Origins del franchise.

Lo stesso utilizzo dell'occhio infallibile dell'aquila, comunque possibile e consigliato per avere una visione d'insieme in certi frangenti, è adesso limitato dall'enorme diffusione di tiratori scelti, capaci di avvistare e bersagliare Enkidu (questo il nome del fido rapace di Basim) e renderlo inutilizzabile fino alla loro eliminazione.

Considerando, però, che la loro posizione è sempre sopraelevata e spesso centrale all'interno degli accampamenti e delle fortezze nemici, ecco che l'approccio alla vecchia maniera torna in auge, a scapito di quello in volo di cui era possibile abusare tanto in Odyssey quanto in Valhalla.

Ciò che rende divisivo questo episodio del franchise, allora, è la riproposizione pedissequa di stilemi ludici che la serie si era trovata costretta a mettere da parte dopo la ricezione piuttosto fredda da parte tanto di critica quanto di pubblico degli ultimi due capitoli, Unity e Syndicate.

Ubisoft non sembra aver fatto tesoro dell'esperienza accumulata con la trilogia di giochi di ruolo per migliorare le criticità di quel modello, che pure aveva rappresentato l'ossatura dei primi dieci anni circa di vita del franchise.

L'intelligenza artificiale rimane allora molto incostante, oscillando tra momenti di grande aggressività ed altri di incomprensibile pigrizia, e alcune falle storiche (come la mancanza di reazione alla presenza di corsi d'acqua nei quali tuffarsi) sono ancora presenti, come se nessuno le avesse minimamente sfiorate.

In un titolo tutto basato sullo stealth e sulla sfida all'IA nemica, questa sua indeterminatezza mina certe fasi di gioco, e rende spesso inutile la pianificazione di assalti più complessi, pure previsti dal motore e dalle dinamiche di gameplay.

Fare un passo falso e venire rilevati non manda a monte le missioni, nemmeno a livello Difficile (il più alto selezionabile alla prima run nonché quello che abbiamo scelto per la nostra prova), perché basta uscire dal campo visivo dell'ultima guardia che ha avvistato Basim per tornarsene buoni buoni nell'anonimato nel giro di un minuto al massimo, con la possibilità di riprovare infinite volte.

Come per i vecchi capitoli del franchise e per giochi similari come quelli della serie Hitman, poche cose danno più soddisfazione di un piano ben orchestrato andato a buon fine, in cui tutti i pezzi si incastrano, come uccisioni ambientali spettacolari o assassini perfetti senza mai allertare nessuno, ma queste evenienze si dimostrano purtroppo assai più rare di quelle in cui l'IA si dimostra fallace o deficitaria.

A conti fatti, allora, le nostre ore di prova con Assassin's Creed Mirage si sono divise più o meno equamente tra divertimento e frustrazione, tra nostalgia di certi episodi del franchise e la consapevolezza che la formula proposta da Mirage necessiti di parecchi rimaneggiamenti, se in futuro dovesse essere riproposta.

Tra l'Anvil ed il martello

La dicotomia tra nuovo e vecchio, con la commistione di elementi presi dal passato remoto della serie ed altri aggiunti nell'ultima trilogia, si avverte chiaramente anche analizzando il comparto tecnico, figlio della scelta di Ubisoft di proporre il gioco sul mercato ad un prezzo ribassato rispetto ai canonici ottanta euro, divenuti ormai la triste normalità per i titoli tripla A.

Pur salvaguardando la bellezza delle ambientazioni, ed in particolare di una Baghdad estremamente viva e credibile nei suoi vicoli, nelle alcove brulicanti di insetti, nei tramonti infuocati, il comparto tecnico vive di alti e bassi e non lesina un riciclo di asset abbastanza diffuso, con pezzi di scenario che giureremmo di aver già visto nell'Egitto tolemaico in cui si muoveva l'indimenticabile Bayek di Siwa.

Nonostante le ridotte dimensioni del califfato rispetto alle più recenti produzioni Ubisoft, allora, la sensazione di riciclo e di già visto si fa prepotente già dopo una decina di ore di gioco, con effetti deleteri sull'immedesimazione e sulla credibilità degli scenari che invece storia e personaggi si sforzano così ardentemente di alimentare.

Anche il travaso in termini di comparto animazione ci è sembrato solamente parziale: l'utilizzo di Anvil, il medesimo motore di gioco che muoveva anche Valhalla ed Immortals Fenyx Rising, lasciava presagire una sostanziale identità tra i titoli in termini di densità di NPC, modellazione poligonale e set di animazioni, ed invece il colpo d'occhio generale, soprattutto in modalità Prestazioni, è meno entusiasmante rispetto ai migliori momenti dell'avventura di Eivor in terra britannica – che pure nasceva su old-gen.

Quantomeno, questo si riflette in prestazioni soddisfacenti in termini di fluidità ed aggiornamento dei frame per secondo: durante la nostra prova, avvenuta interamente su PS5 e perlopiù sulla versione 1.0.1 del software, non abbiamo notato grosse problematiche in questo senso, con cali minimi e comunque di entità piuttosto limitata, tanto giocando a 60 fps, quanto optando per il miglioramento dell'immagine, che dimezza il frame rate.

La sensazione generale, trasmessa da elementi come l'espressività facciale, le animazioni di raccordo, gli stacchi tra il giocato e le cut-scene in tempo reale è che sia stato fatto un piccolo passo indietro rispetto a Valhalla, e questo rifletterebbe le intenzioni del publisher, che aveva sin da subito dichiarato che Mirage avrebbe rappresentato una semplice celebrazione del passato del franchise, piuttosto che il suo  apice.

Nota di merito, invece, per il cast del doppiaggio italiano, tra cui spiccano le performance attoriali di Pietro Ubaldi, immediatamente riconoscibile come sempre, e di Claudio Moneta, che torna a lavorare con il franchise ed offre un'altra prestazione estremamente convincente nei panni del protagonista.

Molto bene anche la colonna sonora, curata da Brendan Angelides, AKA Eskmo, noto produttore e compositore statunitense di musica elettronica: oltre al theme principale,  che ha fatto la parte del leone già nei numerosi trailer pubblicati nei mesi scorsi, l'accompagnamento spicca anche durante gli inseguimenti, e riesce a risultare evocativo in concomitanza degli snodi fondamentali della trama.

Voto Recensione di Assassin's Creed Mirage | Recensione


7.3

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Ambientazione estremamente affascinante

  • Come gli Assassin's Creed di una volta...

  • Più asciutto e a fuoco rispetto a Valhalla...

Contro

  • Valori produttivi meno impattanti rispetto al recente passato

  • ... tutti i difetti compresi

  • ... ma anche molto più limitato

Commento

Assassin's Creed Mirage dividerà la community di videogiocatori come pochi altri prodotti Ubisoft recenti: coloro i quali si erano persi con piacere, nonostante le diluizioni e gli innegabili difetti, negli sconfinati mondi aperti di Origins, Odyssey e Valhalla vedranno l'ultima fatica del colosso francese come un sostanziale passo indietro in termini di profondità dell'esperienza, libertà di scelta da parte del giocatore e quantità di contenuti.
D'altro canto, chi si è innamorato del franchise impersonando Altair, Ezio Auditore ed Edward Kenway ritroverà nei panni di Basim alcune delle medesime sensazioni, con un gameplay più asciutto, una storyline meno frammentata e una durata complessiva decisamente più digeribile, fattore da non sottovalutare in uno degli anni con più giochi di valore sul mercato da parecchio tempo a questa parte.
Al netto dei gusti personali, Assassin's Creed Mirage fa bene alcune cose e ne sbaglia delle altre, accontentandosi di riproporre stilemi che la saga aveva mandato in soffitta senza nemmeno provare a migliorarli in alcun modo, come invece sarebbe stato lecito attendersi dopo tanti anni. Dallo stealth all'intelligenza artificiale nemica, passando per la gestione dell'equipaggiamento e del sistema di crescita del personaggio, tutto è fermo a com'era prima del cambio di direzione della serie, e come tale, risulta davvero datato all'alba del 2024.
I punti di forza storici della saga, dall'ambientazione alla trama, passando per il level design ed il parkour acrobatico, sono tutti lì, ma possono davvero bastare a fare di Mirage un capitolo amato come molti dei predecessori di cui vorrebbe raccogliere l'eredità? Ai posteri l'ardua sentenza.
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