Videogiochi su Tela - ICO

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a cura di Roberta Pagnotta

A cura di Roberta “Momoka” Pagnotta

Fumito Ueda, l’artista visionario che ha influenzato l’industria videoludica con la sua concezione stilistica e narrativa, è stato uno dei primi game designer ad intuire e sfruttare estensivamente le potenzialità espressive e sensoriali del medium e a dare un contributo concreto al dibattito inerente il valore artistico del videogame e la necessità di inquadrarlo come forma d’arte.

Le sue opere hanno esplorato possibilità e livelli di comunicazione mai raggiunti prima da un videogioco, coinvolgendo da vicino il giocatore per la loro atemporalità, profondità ed unicità di contenuto.
In questa seconda puntata di Videogiochi su Tela ci occuperemo trasportavi all’interno delle atmosfere delicate e oniriche di una fiaba senza tempo, cercando di analizzare i dettami e i modelli estetici della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, fonte concreta d’ispirazione per l’immaginario mistico-medievale di ICO.

La nostalgia dell’Infinito
Quando Ueda concepì il concept di ICO, nel lontano 1997, il suo suo intento era quello di creare un videogame che si diversificasse dalla massa dei giochi d’azione del momento, la cui ricerca dell’ultima tecnologia sembrava essere l’unico dato rilevante.
Cosi decise di raccontare la sua storia in modo del tutto particolare, puntando tutto sul rapporto empatico tra i due protagonisti Ico e Yorda, un bambino con le corna e una misteriosa ragazza,  sulla narrazione grafica e sulle atmosfere. L’obiettivo primario di Ueda era quello di riuscire a raggiungere un nuovo livello di realismo, non fotografico, ma solido ed emotivo, che potesse stimolare il giocatore a credere nel suo mondo sulla base della realtà del sogno, e non del mondo fisico. La creazione di una realtà immaginaria coerente e dai tratti essenziali fu il punto cardine su cui ruotò l’intero progetto: bisognava partire da un’idea semplice ed eliminare tutto ciò che potesse risultare accessorio ai fini del racconto e dell’esperienza di gioco. In sostanza si trattava soltanto di raccontare la storia di un bambino e di una ragazza più alta di lui, in fuga da un castello labirintico e immenso. Nulla di più.
“Esiste un livello di realismo che puoi raggiungere solo attraverso l’immaginazione”
Fumito Ueda
Ed ecco cosi che scomparvero l’interfaccia di gioco, la colonna sonora invasiva, i dialoghi in eccesso . Persino le ambientazioni vennero soltanto abbozzate per permettere al giocatore di focalizzarsi esclusivamente sull’interazione e sul rapporto fra i due protagonisti e per conferire al design un senso di essenzialità, eleganza e potenza evocativa.
L’ambiente doveva essere il fulcro dell’intera narrazione e assumere la forma di vero e proprio linguaggio. La fortezza doveva rappresentare la causa dell’intera sofferenza dei protagonisti, ma essere anche un luogo contorto, claustrofobico e confuso per chi era chiamato a guidarli verso la fuga. Era una tomba per Ico e un’invalicabile prigione per Yorda, un luogo sovrastato da un completo senso di vuotezza e di solitudine.
In più di un’occasione Ueda ha dichiarato che sono state molteplici le fonti d’ispirazione per la concezione dell’universo mistico e allegorico di ICO, da Another World di Eric Chahi per il suo gameplay privo di interfaccia a schermo e la forte connessione emotiva fra i due protagonisti, fino ad arrivare ai modelli figurativi della pittura metafisica di Giorgio de Chirico.
Il contatto con la compostezza figurativa e la rappresentazione straniante dei dipinti di quest’ultimo ha rappresentato senza dubbio una parentesi importante per la genesi del progetto. Applicata all’arte, la metafisica indica la volontà di andare oltre il mondo della natura per attingere ad una dimensione altra, superiore e trascendente, raggiungibile soltanto attraverso gli “occhi della mente”.  I quadri dechirichiani raffigurano oggetti riconoscibili, grandi piazze deserte, immensi monumenti, frammenti di vedute e i vari elementi che li costituiscono sono posti tra loro tra loro in relazioni sorprendenti. Agli occhi di Ueda l’arcana estraneità di quelle opere riusciva a rendere perfettamente in chiave visiva e allegorica quel senso di solitudine, di vuoto e di prigionia che pervade l’intero viaggio.
In La nostalgia dell’Infinito (1914), opera omaggiata dallo stesso director nella copertina europea e giapponese del titolo in questione, è raffigurato uno scenario onirico. Il terreno, dal colorito giallastro, presenta un’ accentuata convessità che sembra spingere verso il cielo tutta la torre centrale, già in sè slanciata. I due personaggi che paiono conversare, immobili nel grande spiazzo vuoto, proiettano lunghe ombre sul terreno, dilatando il sentimento di infinito spaziale suggerito dal titolo fino a una dimensione sovrumana che comprende il tempo e il suo trascorrere. Si percepisce un senso di malinconica immobilità, la vibrazione del silenzio, il diffondersi del calore. Nell’immensità di uno sconfinato ambiente, i due protagonisti, proprio come Ico e Yorda, sembrano quasi scomparire e contemplare la serenità di un momento sospeso. L’architettura imponente, l’ambiente asciutto, la nostalgica solitudine, le ombre crude amplificano il senso di oppressione, scaturito dal ritrovarsi fagocitati da immense strutture, con la perenne sensazione di sentirsi in trappola.
Tra le mura del sogno
“Il surrealismo di De Chirico suggerisce il mondo allegorico di ICO”
Fumito Ueda
La giustificazione teorica della pittura metafisica e del Surrealismo erano tratte dalla teoria di Schopenhauer sulle apparizioni, secondo la quale l’immagine del sogno susciterebbe desiderio e sorpresa, offrendosi da un lato al dormiente con la sua realtà, dall’altro al di là delle umane possibilità di azione in lui latenti. Il sogno travalica le funzioni celebrali di spazio, casualità, tempo e riesce a cogliere una nuova forma di realtà, una realtà più vera. La dimensione onirica, la forza visionaria delle immagini e delle atmosfere, la sospensione temporale sono parte degli imprescindibili elementi che definiscono il sogno digitale creato da Fumito Ueda, le uniche manifestazioni che consentono al giocatore di andare oltre ciò che osserva per coglierne un aspetto e un significato più profondo attraverso l’immaginazione.
Il tema del sogno viene ripreso più volte narrativamente nel corso dell’avventura e viene rappresentato attraverso i flebili suoni della natura e i forti contrasti di luce e colore. L’impatto grafico con le atmosfere irreali è favorito dall’utilizzo di una palette cromatica che predilige l’accostamento innaturale dei toni del verde e del marrone. In Mistero e malinconia di una strada è riscontrabile chiaramente questo tipo di operazione di straniamento e desaturazione del colore. Nella luce e nei colori avvertiamo degli elementi irreali, con contrasti non sempre motivati, tra zone chiare, limpide e pulite, e altre oscure e velate che rendono ancor più enigmatica l’assenza di presenze umane.
Nella prospettiva difforme dei porticati ad archi un sagoma della bimba che gioca pare schiacciata dal luogo, privo di manifestazioni di vita nell’ora meridiana, immerso in un’atmosfera dai toni astratti. Minacciosa si profila del resto un’altra lunga ombra, che sembra fuoruscire dagli spazi oscuri di destra, mentre a sinistra si staglia un’area ampiamente luminosa, abbacinante che abbraccia la lunga costruzione biancastra. Le arcate sembrano nascondere presenze misteriose, forse divine, che non amano palesarsi. Gli spazi sono tutti contrassegnati da ampie aperture (i porticati, il carro), ma nello stesso tempo appaiono chiusi ed impenetrabili alla vista.
La bambina che gioca con il cerchio è l’immagine struggente di una fanciullezza pervasa da un forte senso di malinconia. L’ombra minacciosa che le si avvicina sembra arrestare la sua corsa e la sua spensieratezza. Un alone oscuro e inquietante sporca questa visione di equilibrata quiete, suggestione palpitante e concreta della poesia dolce e malinconica che permea l’opera di Ueda. Ico e Yorda, l’espressione della purezza infantile, corrono per mano verso la libertà, prigionieri di un’oscurità che non conoscono, ma che in fondo fa parte di loro.

La grandezza di ICO risiede nella sua semplicità: è una tela cosparsa di pochi elementi appena abbozzati in grado di prendere forma concreta solo e soltanto grazie all’intervento del giocatore. L’ impronta minimalista e l’estrema delicatezza con cui vengono trattati i temi dell’esilio e del sacrificio donano alla fiaba di Ueda una potenza evocativa e un fascino senza tempo.