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Fuori dai denti - Capcom e Resident Evil

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 06/01/2014 alle 00:00

Inauguriamo oggi una nuova rubrica dal titolo piuttosto esplicativo: “fuori dai denti”, che è appunto un modo di parlare atto a sottintendere la massima schiettezza, un approccio esplicito e senza filtri, diretto e senza giri di parole, attraverso cui si esprimono opinioni personali e si affrontano di petto – anche rabbiosamente – alcuni degli argomenti più scottanti del momento senza badare troppo a quella diplomazia che in fin dei conti, non serve proprio a nessuno. Qui non troverete parole dolci, messaggi carichi di speranza e buonismo diffuso; al contrario, vi imbatterete in una lettura che potrà farsi da portavoce per lo scontento generale e la frustrazione che voi per primi provate quando sentite notizie poco confortevoli, che potrà anche essere controversa e per nulla condivisibile da tutti, ma che certamente offrirà diversi spunti di discussione su temi caldi. Temi che possono anche diventare roventi in brevissimo tempo, quando sfuggono di mano ai signori dell’industry. Ed è una di quelle cose che nostro malgrado, capita sempre più spesso.
Apriamo le danze con un’altra infelice dichiarazione da parte di Capcom, sempre più alla deriva e ormai ostinata a piantare anche l’ultimo chiodo sulla bara del suo più importante e prestigioso franchise: Resident Evil.
Il fatto – Sei adulto, vai a lavorare!
I fan della serie, secondo Capcom, sono ormai diventati troppo grandi. Da quanto emerso da una loro indagine, costoro hanno un’età compresa tra i 30 e 40 anni e questo è visto come un fattore di enorme rischio per il franchise, poiché proprio chi ha dato popolarità alla serie potrebbe non avere più tempo da dedicare ai videogiochi o sufficiente interesse nel seguire le vicende che proseguono ormai da molti anni, causando di conseguenza dei danni finanziari che possono essere arginati rivolgendosi solo ai più giovani, facendo di tutto per attirarli. 
Tutto ciò è terrorizzante, atterrisce e uccide dentro. Questa dichiarazione è in realtà un volersi giustificare col pubblico, tentando al contempo di convincerlo del fatto che trasformare un autentico survival horror in uno scandaloso e pessimo sparatutto in terza persona sia stata la scelta più giusta. Potrei proseguire con una serie di frasi fatte che fotografano al meglio la situazione attuale di quella che un tempo era forse la più ispirata e talentuosa software house giapponese, se non addirittura al mondo: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” e altri detti che potrete aggiungere a piacere nei commenti. La sostanza non cambia, perché Capcom ha scelto di suicidarsi. E vuole farlo davanti agli occhi di tutti, nella piazza pubblica dell’internet per poi lasciar vendere le sue parti del corpo incancrenite a noi utenti. Quelle parti un tempo sode, carnose, giovanili e vitali sono adesso avvizzite, vecchie, molli e terribilmente decadenti; solo che non si è trattato di un naturale processo di vecchiaia, ma della scelta di rinchiudersi tra quattro mura e marcire per scelta personale. Le porte per uscire da quella casa maledetta fatta di antiche ambizioni, che abbonda di allori su cui adagiarsi e di trofei da ammirare, sono sempre state aperte, ma Capcom è come un paziente in depressione nera che rifiuta l’aiuto e i suggerimenti di chi la ama, scegliendo l’autodistruzione alla volontà di guarigione.
Portano il mio nome, ma non sono i miei figli
Riflettete anche solo per un attimo sulla gravità di queste dichiarazioni, fate lo sforzo mentale di proiettarvi in avanti e immaginare cosa significhi, in termini di ulteriori cambiamenti, rivolgersi ai soli giovani e mandare al diavolo con una stretta di mano scivolosa chi deve radersi tutti i giorni e ha già messo su famiglia. Vuol dire, carissimi fan, che il peggio deve ancora arrivare e che gli abomini assortiti (non della Umbrella) che avete ammirato pad alla mano, erano un sogno appena molesto rispetto agli incubi – quelli veri – che stanno per arrivare. Resident Evil non è più una serie dedicata agli zombi, ma una saga zombi che deambula incerta mentre cade, prova goffamente a rialzarsi e che si ritrova infine a strisciare verso quegli obiettivi che non si chiamano “Brains!”, ma “Money!”. Peccato che prima di arrivarci, a quei “Money!”, riceve puntualmente dei colpi alla testa che bloccano immediatamente il suo stanco e lento incedere. E quei proiettili non li hanno sparati solo quei signori tra i 30 e i 40 anni, ma tutti. Indistintamente. Affossando delle vendite che Capcom non ha ritenuto all’altezza delle aspettative. Cosa significa avvicinarsi ai giovani come unica soluzione per risollevare la sorti della serie? La risposta, a ben vedere, è ancora più amara del previsto. 
Facendo un’analisi di mercato piuttosto elementare, si capisce immediatamente quali siano i titoli in grado di vendere più di tutti senza grossi problemi. Non starò qui ad elencarli, non ne vale la pena. Ma ci siamo capiti. Dal momento in cui Capcom si trova in una fase di grandissime ristrettezze economiche e con due spicci in cassa, oltretutto, il bisogno di monetizzare è diventato qualcosa di vitale, una netta linea separatoria tra l’insperata ripresa e la sempre più vicina bancarotta. Secondo Capcom, quindi, la soluzione starebbe nel rendere il tutto ancora più spettacolare e movimentato, qualcosa che nelle intenzioni dovrebbe avvicinarsi a un blockbuster action e che possa far presa su chi in questo vede un sinonimo di assoluta qualità (e sono in tanti, a essere orbi). Resident Evil è ormai solo un’etichetta, uno specchietto per le allodole, un marchio altisonante incollato su un prodotto incredibilmente mediocre, che vuole accontentare molti ma finisce per deludere tutti. E chi vuole convincersi del contrario, lo fa solo perché in fondo si rende conto che sta cacciando un urlo di disperazione interiore che solo i suoi simili sentiranno, ma che non riesce ad arrivare oltreoceano, dove le orecchie sono ormai murate.
Santo cielo, come ti hanno ridotto?
Lo scrissi già da qualche altra parte quando uscì Resident Evil 6: la sezione di Leon all’interno del campus universitario non era la dimostrazione di un ritorno alle origini dietro l’angolo, ma puro fan service, che poco dopo mostrava tutte le falle strutturali di un sistema di gioco antitetico al concetto di fondo della serie e inadatto a incutere quei sentimenti che da questa serie ci si aspettava. Dove sono quei corridoi silenziosi in cui la quiete maligna bloccava persino i nostri pollici sul pad? Dov’è quel perenne senso di minaccia e inadeguatezza che si avvertiva nonostante fossimo armati? Perché quel male immanente è andato evaporando fino a sparire del tutto? In Resident Evil c’era anche un forte senso di disperazione, di abbandono e impotenza da parte delle anime di Raccon City. C’era chi scriveva i propri drammi su quei tristi diari prima che la pazzia prendesse il sopravvento, c’era chi stava mutando e chiedeva disperatamente un aiuto che non sarebbe mai arrivato, c’erano le incredibili confessioni di uomini che si rendevano conto del male che avevano compiuto quando ormai era troppo tardi. C’era un palpabile senso di ansietà che traspariva da quelle righe e da quegli scenari, che trasmigrava dalle pareti fittizie di quegli ambienti e si incorporava nel giocatore, che si sentiva annientato e diventava anch’egli parte integrante di quel manipolo di disperati oppresso da minacce di morte. In Resident Evil il giocatore aveva paura perché si sentiva un topo costretto a stare in gabbia mentre una selva di mani assassine si insinuavano tra le sbarre di quella prigione apocalittica. C’era un senso di minaccia persistente che prima emanava una specie di odore, poi strisciava in silenzio nell’ombra e infine ti ghermiva le caviglie. E tutte le volte riusciva ad afferrarti. Sempre. Ora, cosa c’è? Domani, invece, cosa resterà? Rimarrà forse la gloria dei tempi passati e quell’eterno rivangare qualcosa che è ormai andato perduto per sempre, perché Capcom ha dimostrato chiaramente di odiare Resident Evil e non amare affatto i propri fan, né quelli vecchi, né tanto meno quelli nuovi. E se è vero che ognuno, giorno dopo giorno, costruisce il destino con le proprie mani, è vero anche che non esiste spazio per dei rimpianti a posteriori, soprattutto quando il mondo intero sta cercando di dirti in tutte le maniere che sì, cara Capcom, stai davvero sbagliando ogni cosa.

Capcom ha lasciato intendere che il simbolo dei survival horror per antonomasia abbandonerà completamente il proprio passato per provare ad attirare i più giovani, in quello che sembra un ultimo e disperato tentativo prima della catastrofe annunciata. La situazione sembra irrecuperabile, completamente sfuggita di mano, e quel pubblico che in passato ha reso gloria a uno dei franchise più importanti di tutti i tempi, viene visto oggi come una minaccia alle finanze ridotte all’osso dell’azienda di Osaka.

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