Con il recente arrivo di Donkey Kong Bananza (qui potete trovare la nostra recensione), e tutte le discussioni in merito al restyle apportato da Nintendo al celebre scimmione, si è generata un’onda d’urto mediatica talmente potente da riportare all’attenzione del pubblico Donkey Kong Country, l’iconico capolavoro targato Rare rilasciato nel 1994 (date anche un'occhiata su Amazon per una chicca niente male, se vi va).
Donkey Kong Country fu un vero e proprio terremoto per il settore. Rivoluzionò i videogiochi dell’epoca con una grafica mai vista prima su una console a 16-bit, prolungando il ciclo vitale del Super Nintendo e permettendogli di far dimenticare, per qualche mese, ai giocatori l’arrivo della generazione a 32-Bit.
Con Sony in procinto di rilasciare la sua celebre PlayStation, e Sega che aggiungeva componenti al suo Mega Drive per stare al passo con la tecnologia, Donkey Kong Country usò modelli generati al computer pre-renderizzati per simulare una grafica in tre dimensioni senza bisogno di un nuovo hardware.
Donkey Kong Country, inoltre, fece più che riportare Nintendo sotto ai riflettori in seguito a un periodo decisamente poco memorabile, visto che riuscì nell’intento di conferire un’identità ben precisa a uno dei personaggi più vecchi della storia dell’azienda, trasformandolo in una vera e propria icona pop.
Per tutti questi motivi abbiamo deciso di rivivere, attraverso una decina di curiosità che forse non conoscevate, la genesi di Donkey Kong Country.
Tutto cominciò con un pugile
All’inizio degli anni ’90, un responsabile dello sviluppo presso Nintendo of America, di nome Tony Harman, era in missione per trovare la formula per il gioco di pugilato perfetto. Nintendo non rilasciava titoli incredibili da qualche tempo, la concorrenza di SEGA era sempre più agguerrita e la nuova generazione di console era in balia degli accordi segreti con Sony e Philips. Motivi per i quali quando Harman espose la sua idea a Nintendo, l’azienda gli fornì il budget per trovare un team di sviluppo capace di trasformarla in realtà.
Durante i suoi viaggi per il mondo alla ricerca della software house giusta, Harman incontrò i fratelli Stamper, ovvero i fondatori di quella Rare (all'epoca Rareware) già nota per aver realizzato titoli celebri quali Battletoads, che gli mostrarono una demo su cui stavano lavorando e che, guarda caso, mostrava proprio un pugile realizzato in 3D tramite un sofisticato computer che la compagnia aveva acquistato per 80.000 sterline.
Harman ne fu sbalordito e portò la demo di Rare all’attenzione di Nintendo, la quale ne fu così colpita da decidere di acquistare il 49% della compagnia. Harman eliminò il pugile realizzato da Rare e chiese a Nintendo il permesso di usare Donkey Kong al suo posto, visto che si trattava di un personaggio che da troppi anni era lontano dalle scene. Quello fu l’inizio del progetto “Donkey Kong and the Golden Bananas”, divenuto poi Donkey Kong Country.
L’iconica cravatta non è opera di Rare
Per quanto l’intero redesign di Donkey Kong sia tutta farina del sacco di Rare, l’iconica cravatta con le iniziali è opera di Shigeru Miyamoto, il quale cercava un elemento che rendesse unico DK e che lo allineasse agli altri personaggi del roster dell’azienda.
Una cravatta che, in pochi sanno, apparve per la prima volta in “Donkey Kong”, ovvero il titolo per Game Boy (uscito a sua volta nel 1994 per dare inizio all’ascesa dello scimmione che sarebbe culminata con Country) che riprendeva la struttura del celebre arcade del 1981 e la traslava in un puzzle game adornato da numerosi elementi da platform.
È più facile nella sua versione giapponese
Donkey Kong Country è uno dei pochi giochi per Super Nintendo a essere più facile in Giappone. Seguendo il mantra del “rendere il gioco appetibile a un pubblico ampio”, Nintendo decise di cambiare alcune cose prima di rilasciare il gioco in terra natia, ammorbidendone l’elevata difficoltà iniziale.
Fu un grosso cambiamento rispetto allo standard dell’epoca, secondo il quale i giochi giapponesi erano più difficili rispetto alle controparti nord-americane, ma Donkey Kong Country ribaltò quella tendenza e nella sua versione giapponese (intitolata Super Donkey Kong), offriva ai giocatori più barili DK e meno nemici a schermo, garantendo un’esperienza complessiva meno frustrante.
Donkey Kong Country fece inferocire Shigeru Miyamoto
Anche se in verità Shigeru Miyamoto apprezzò tantissimo Donkey Kong Country, si inferocì con Nintendo nel momento in cui venne costretto dalla dirigenza a copiare lo stile artistico del gioco per la prossima avventura di Mario.
Considerando la rinomata apertura al dialogo dell’iconico game designer, non stupisce che come forma di protesta, oltre che per dimostrare di sapere il fatto suo, decise di realizzare Yoshi’s Island con uno stile il più infantile possibile, come se fosse disegnato con i pastelli a cera.
Quello che iniziò come una frecciata passivo-aggressiva ai suoi capi, finì per diventare lo stile che caratterizzò le avventure di Yoshi da quel momento in avanti. Alla fine comunque, grazie alla collaborazione con Squaresoft, Nintendo ottenne il suo Mario pre-renderizzato in 3D con l’uscita di Super Mario RPG e tutti vissero felici, contenti e con il portafoglio gonfio.
Diddy Kong non era previsto
Diddy Kong si è costruito una enorme fan-base nel corso degli anni, ironica sorte per un personaggio che, inizialmente, non era nemmeno previsto. Con il gioco che aveva come protagonista Donkey Kong, Rare voleva sfruttare Donkey Kong Jr. come personaggio di supporto.
Quando una versione preliminare del titolo venne revisionata da Nintendo, però, venne reso noto agli sviluppatori che la loro versione, pur ispirandosi agli albi per bambini rilasciati nel corso degli anni, era troppo diversa dal modello originale. Pertanto, presentarono a Rare due opzioni: o ridisegnare Donkey Jr. per farlo sembrare più simile all’originale, oppure presentarlo come un personaggio completamente nuovo.
Rare, molto affezionata al suo piccolo scimpanzé con il cappellino rosso, decise di riscrivere completamente la lore di Donkey Kong Country e di chiamare lo scimpanzé Dinky Kong, nome cambiato in seguito in Diddy Kong quando gli venne fatto notare che era “un nome orribile”.
I Kremling erano i protagonisti di un altro gioco
Anche se fino a quel momento il nemico principale di Donkey Kong era Mario, Country doveva presentare una lore inedita che conferisse un’identità tutta nuova allo scimmione di Nintendo. Motivo per il quale arrivarono King K. Rool e la sua banda di rettili pirata, i Kremling.
Se notate, però, questa onda di nemici è insolitamente ben caratterizzate e diversificata per un titolo di quegli anni e il motivo è dato dal fatto che i Kremling erano originariamente destinati a essere i protagonisti di un gioco a loro dedicato, che non c’entrava nulla con Donkey Kong ma che venne accantonato quando Rare iniziò a lavorare su Country.
Durante lo sviluppo, qualcuno guardò entrambi i progetti e pensò che il concept “scimmie contro lucertole” potesse avere del potenziale e così i Kremling vennero adattati per diventare gli antagonisti perenni di Donkey Kong e della sua famiglia, facendo nascere una rivalità analoga a quella fra Mario e Bowser.
Lavorarci fu come stare in una caldaia sotto pressione
Secondo diverse interviste con membri del team di Rare, sviluppare Donkey Kong Country fu estremamente stressante. Il team lavorò in condizioni intense, con turni infiniti, notti insonni e una pressione costante da parte di Nintendo per rispettare le scadenze. Alcuni membri del team hanno descritto l’ambiente come "una caldaia sotto pressione pronta a esplodere", dove ogni giorno si spingeva oltre i limiti.
I motivi erano tutti da ritrovarsi nella volontà di Nintendo di sfruttare le tecnologie di Rare non per il loro prossimo “Ultra 64” ma per produrre dei titoli per Super Nintendo capaci di risultare tecnologicamente all’avanguardia e garantire qualche anno di vita in più alla loro console di punta, permettendogli di guadagnare tempo per rientrare del ritardo accumulato durante lo sviluppo del nuovo hardware.
Tuttavia, molti sviluppatori di Rare riconoscono che quel sacrificio diede vita a qualcosa di straordinario, e nonostante la fatica del realizzare un progetto di quella portata in un solo anno, lo considerano uno dei momenti più importanti della loro carriera.
La colonna sonora portò al limite il Super Nintendo
La colonna sonora di Donkey Kong Country continua a essere ascoltata ancora oggi e si distingue come una delle migliori della sua epoca. Le sue tracce sono insolitamente lunghe e strutturate per un gioco a 16 bit e la strumentazione suona molto più realistica rispetto agli altri giochi dell’epoca.
Questo perché le registrazioni originali, realizzate dal compositore David Wise di Rare, erano così intricate e ricche di elementi da non poter, tecnicamente, funzionare sul Super Nintendo, vista la mole di canali audio che dovevano essere gestiti contemporaneamente.
Ci vollero dozzine di settimane di lavoro per limarle a dovere (vi basti pensare che la sola “Aquatic Ambiance” richiese circa cinque settimane di aggiustamenti) ed evitare che consumassero tutta la RAM della console. Il processo fu complesso e dispendioso ma il risultato finale è passato alla storia.
Nintendo aveva paura che il pubblico lo detestasse
Quando venne presentato per la prima volta alla stampa, Donkey Kong Country ricevette una ovazione. Tutti i presenti pensavano di star guardando il titolo di lancio del futuro “Ultra 64”, ma quando sullo schermo apparvero le scritte “Solo su Super Nintendo e senza alcun tipo di add-on“ (lanciando una frecciata a SEGA e al suo 32X) la platea esplose.
Nonostante la tecnologia all’avanguardia, la calorosa accoglienza degli addetti ai lavori e la grafica rivoluzionaria, Nintendo però aveva tantissimi dubbi sul fatto che Donkey Kong Country avrebbe avuto successo.
Ai tempi, molti all’interno dell’azienda temevano che il pubblico non accettasse un platform con uno stile visivo così diverso rispetto a Super Mario World. Alcuni pensavano che i modelli pre-renderizzati fossero "troppo realistici”, persino "brutti". Per dissipare i dubbi, Nintendo imbastì una campagna di marketing massiccia, che collimò con la trasmissione televisiva in prima serata negli Stati Uniti, dove venne mostrata una lunga demo di gameplay (immaginate cosa voleva dire per quegli anni). La campagna fu mastodontica ma poco utile, visto che fu sufficiente l’entusiasmo delle riviste di settore per far raggiungere cifre da record ai preordini del gioco.
Donkey Kong Country generò una perla del trash anni 90
Anche se non leggendario come il Super Mario Bros. Super Show, o il terribile cartone dedicato a The Legend Of Zelda, anche Donkey Kong Country ebbe il suo show televisivo. A partire dal 1998, infatti, la serie animata ispirata a Donkey Kong Country (realizzata con quelle gloriose animazioni 3D che ancora generano incubi nei quarantenni di oggi) venne mandata in onda per ben due anni e con un totale di 40 episodi.
Una perla del trash che non decollò mai in America, cambiando canale due volte prima di venire cancellata, ma che, sorprendentemente ebbe parecchio successo in Canada e in Francia… nazioni note per avere una sensibilità diversa nei confronti delle opere d’arte di un certo spessore.
Ironia a parte, la serie ottenne parecchio successo anche in Giappone, dove vennero realizzati addirittura un manga e un gioco di carte collezionabili. Per chi fosse curioso di vederla, l’intera serie di Donkey Kong Country venne rilasciata in DVD nel 2015 (e se volete davvero spendere una piccola fortuna la potete trovare su Amazon).
È stato uno dei giochi più venduti di quella generazione
Donkey Kong Country fu un enorme successo commerciale. Dal momento della sua uscita, vendette oltre nove milioni di copie in tutto il mondo (con un weekend di lancio che toccò la cifra record di 500mila copie), rendendolo uno dei giochi per SNES più venduti di sempre. Superò persino diversi titoli della serie Super Mario in termini di vendite iniziali e rimase nella top 20 delle classifiche di vendite fino al 1997.
Il successo del gioco contribuì a ridefinire il concetto di platform, mostrando che il genere non era affatto in declino ma che, anzi, era pronto per evolversi. Con la sua grafica spettacolare, una colonna sonora memorabile, e un gameplay capace di superare la prova del tempo, Donkey Kong Country lasciò un’impronta indelebile nella storia dei videogiochi.
E ancora oggi, è ricordato come uno dei titoli più importanti di tutti i tempi.