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Transference

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Avatar di Filippo "Xsin" Consalvo

a cura di Filippo "Xsin" Consalvo

Pubblicato il 17/06/2017 alle 00:00
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Dalla collaborazione tra Ubisoft Montreal e SpectreVision, lo studio che vanta tra i suoi fondatori Elijah Wood, arriva un’avventura grafica in prima persona che promette di essere l’esperienza thriller definitiva in VR. Compatibile con PlayStation VR, HTC Vive e Oculus Rift, Transference catapulta il giocatore dentro un framework digitale creato dalla mente di un essere umano, in questo caso Walter, un paziente affetto da disturbi post traumatici legati ad alcuni eventi avvenuti nell’ambiente familiare. 

Una delle peculiarità del gioco è che il tutto viene presentato come un reale esperimento (risalente al 2003) dove noi giocatori siamo dei “tester” che rivivendo i ricordi digitalizzati di Walter dovremmo aiutare gli scienziati a raccogliere dati essenziali per migliorare questa tecnologia così da poterla rilasciare al pubblico. 
Una tecnologia che non perdono occasione di ricordare come sia assolutamente sicura.
Viaggio nei tempi
Indossato il visore e presi in mano gli Oculus Touch ci ritroviamo in quelli che con ogni probabilità sono i panni di Walter, nel corridoio di casa sua. Un ragazzino, suo figlio, ci parla a distanza di qualche metro dicendoci che non è quello il nostro posto, e cliccando sull’interruttore della luce ci catapulta circa dieci anni più avanti, nello stesso posto. Capiamo a questo punto che gli interruttori possono servire a fare questi sbalzi temporali, ma non abbiamo ancora nessun indizio su quale sia il nostro obiettivo e quali siano le meccaniche di gioco, così iniziamo a esplorare.
Il sistema di movimento e molto simile a quello di Resident Evil VII VR, con la telecamera che si sposta a scatti e l’analogico utile al movimento; gli Oculus Touch, sostituiti a “schermo” da due mani digitali, fanno benissimo il loro dovere permettendoci di impugnare e ottenere informazioni da molti oggetti (non tutti) sparsi per la casa. Notiamo un paio di chiavi (che devono per forza essere utili, no?) e una scala che porta allo scantinato dove sicuramente c’è qualcuno, non esattamente di buon umore. 
Non facciamo in tempo a scendere che un fucile a canne mozze ci cancella la faccia, facendoci ricominciare dal corridoio. Meglio cambiare “aria”.
“Accendiamo la luce” e torniamo indietro nel tempo, dove la porta dello scantinato è chiusa a chiave, ma questa non sembra essere da nessuna parte. 
E’ qui che entra in gioco la meccanica più interessante di Transference. Torniamo avanti nel tempo, prendiamo la chiave con una mano e con l’altra schiacciamo l’interruttore: dieci anni indietro, ma con le chiavi ancora nella nostra mano. Il più semplice dei puzzle ci introduce in un mondo dal potenziale enorme, dove è necessario sfruttare entrambe le linee temporali per poter trovare ciò che la mente stessa di Walter sta cercando. 
Simulazione innocua o…
Compresa questa dinamica iniziamo un ping pong temporale che diventa sempre più appagante man mano che ci rendiamo conto di stare procedendo verso l’uscita del labirinto mentale di Walter, mentre una resa estetica sempre più disturbata unita a diversi effetti sonori ci trasmette la stessa ansia che il protagonista originario di quelle sensazioni deve aver provato, facendoci immedesimare a tal punto da sconvolgerci. 
Transference gioca con i ricordi e il subconscio della mente di Walter tanto quanto con la nostra; la sensazione è che da tester dell’esperimento potremmo ritrovarci a esserne vittime: d’altronde rivivere questi ricordi in prima persona li rende un po’ anche nostri, e con essi le conseguenze che hanno causato.
Bastano quindici minuti per rimanere completamente assorbiti in questo mondo, per esserne catturati al punto da volerne scoprire di più, da voler continuare a risolvere questo intricato labirinto quasi a voler risolvere il trauma di Walter, come se ci sentissimo in grado di cambiare qualcosa che è già accaduto.
Un’esperienza che non ci ha fatto soffrire il visore VR nemmeno per un secondo e anzi lo ha reso indispensabile: dal sito ufficiale leggiamo che il gioco sarà disponibile anche per Xbox One e questo (a meno di rivelazioni sorprendenti) significa che potrà essere giocato senza visore, scelta che riteniamo incomprensibile di fronte ad un titolo perfetto per la realtà virtuale.
Ad ogni modo, Transference dà l’idea di essere un titolo da giocare su qualunque piattaforma possibile, anche solo per l’esperienza inedita che è in grado di offrire. Non resta che aspettare la primavera 2018.

– atmosfera ben costruita

– ottimo uso degli effetti grafici e sonori

– concept perfetto per la VR

– estremamente coinvolgente

Transference è il motivo per il quale sarete felici di possedere un visore VR, sia esso su PlayStation o PC.

La nostra prova con Oculus Rift e Touch ci ha immersi in un’esperienza che non avevamo mai provato, in grado di coinvolgerci al punto da non volerci più staccare da questo grande labirinto che è la resa digitale della mente di Walter.

Quasi sicuramente il gioco sarà disponibile anche per “controller e schermo” ma invitiamo tutti quelli che ne hanno la possibilità a provarlo in realtà virtuale dove dà il meglio di sé.

Un uso della grafica e del sonoro perfetti a cornice di un’atmosfera già pericolosamente attraente sono solo alcuni degli aspetti per i quali dovreste tenere questo gioco sott’occhio. In attesa della primavera 2018.

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