Vago nello spazio da un bel po’, visitando pianeti e scambiando merci in compagnia di una birra e di una compilation con il meglio dei The Police e di Sting da solista. Viaggi lunghi anni luce che durano pochi minuti, navi che sfrecciano nel vuoto dell’universo come fosse un’enorme autostrada e i Police sono ancora avanti di qualche decennio. La musica di oggi è una schifezza se si fa il paragone.
Ci ho messo parecchio a recuperare la nave su cui poggia il mio deretano da un paio di giorni, un caccia da combattimento chiamato Eagle. È veloce, maneggevole, e ha comunque un cargo abbastanza spazioso da permettermi di commerciare con grazia da una stazione orbitante all’altra. Ci ho speso tutto quello che avevo e sono completamente al verde, ma almeno giro con tre laser e un bolide che potrebbe facilmente conquistare qualunque autostoppista aliena, sempre che esistano. Decido di fare soldi nel modo più facile che conosco, facendo saltare in aria le forze della federazione nei pressi di Eranin 2. Attivo l’iperspazio, mi avvicino alla zona di guerra e via, è il momento di far saltare qualche testa.
“I don’t subscribe to this point of view, it would be such an ignorant thing to do…”, intona una voce familiare, “Sting ha sempre il suo perché, ma in gruppo era davvero un’altra cosa e poi non capisco come mai abbia voluto mettere il rumore dei laser nella sua canzone. Hey, aspetta… non c’erano laser in Russians, che cacchio succede?”. Ho commesso un errore da principiante, ho sopravvalutato il mio nuovo giocattolino staccandomi dal resto dello stormo, e ora ho tre bastardi della federazione che giocano al tiro al piattello col mio sedere. Inizio a roteare come un pazzo, regolo i valori energetici per rigenerare più in fretta lo scudo e ne elimino due con un po’ di destrezza. Il terzo mi viene incontro a tutta velocità, sceglie di non virare. Il resto è prevedibile, il mio Eagle si trasforma in un cumulo di lamiere alla deriva nella galassia.
Non ho i crediti per ricomprare il mio vecchio loadout e sono quindi costretto a ripartire da un Sidewinder scassato con due laser in prestito. Umore nero, ed è esclusivamente colpa mia e della mia dannatissima fretta.
In sottofondo si sente la voce di Robert Plant, è partita la mia seconda compilation. “Beh, almeno viaggio ben accompagnato”. Si riparte, benvenuti in Elite: Dangerous.
L’importanza degli strumenti di bordo
Elite. Avete letto bene, e se un pezzettino di voi sotterrato dal peso degli anni si è improvvisamente risvegliato significa che siete giocatori di vecchia data. Il primo Elite fu un gioco rivoluzionario, amato alla follia da un numero smodato di sognatori e amanti dello spazio, a cui sono seguiti vari titoli indimenticabili e si sono ispirati praticamente tutti i prodotti dello stesso genere. Poi il vuoto, il grande abisso del marketing si è mangiato buona parte della fantasia degli sviluppatori e la serie è scomparsa per anni. Elite: Dangerous, il titolo di cui parliamo oggi, non dovrebbe esistere: snobbato dai distributori, ignorato dai finanziatori, vive grazie a una sola forza trainante, i videogiocatori. È una delle tante meraviglie di Kickstarter, un gioco ben lontano da ciò che viene percepito come “commerciale” che spunta dal brodo primordiale delle idee perché, semplicemente, c’è gente che vuole giocarselo alla facciaccia della roba che stravende.
Non pensiate peraltro che il motivo sia da ricercarsi solo nella sua ambientazione, dopotutto lo spazio ha ancora il suo fascino. Il problema, per l’utenza moderna, è legato alla complessità delle meccaniche, un nucleo di dati da ricordare e strumenti da padroneggiare che molte persone non hanno (tristemente) la voglia o il tempo di approcciare. Elite: Dangerous non fa sconti, si comincia con una nave gratuita di nome Sidewinder, una versione ingrassata e spigolosa di un A-Wing, e ci si ritrova davanti a una stazione spaziale roteante. Non basta schiacciare un bottone per atterrare, è necessario trovare l’entrata, regolare la rotazione della propria nave con quella della stazione, fare richiesta di atterraggio, e andare a poggiarsi nella piattaforma numerata che viene assegnata dalla torre di controllo dopo aver abbassato il carrello. Nulla di tutto ciò è automatico, non ci sono tutorial nel gioco che vi spieghino le manovre passo dopo passo, ed è solo una piccola parte di quello che l’opera spaziale di Frontier Developments contiene.
Gli sviluppatori non si sono trattenuti minimamente, creando un sistema di controllo da “simulatore spaziale” con controlli adeguati tanto a un Joystick dedicato quanto a un mouse, e l’obbligo di tenere conto della velocità di avvicinamento ai corpi celesti per non venir sparati fuori traiettoria dalle spinte gravitazionali.
Non va meglio con i combattimenti, dove è obbligatorio regolare con furbizia i livelli energetici della propria astronave per evitare il surriscaldamento dei laser, potenziare il motore o rafforzare gli scudi. Ed è persino consigliabile mantenere la velocità settata su valori medi, per migliorare la maneggevolezza del mezzo ed esibirsi in rapidi avvitamenti o inversioni a U.
In parole povere, Elite non vi regala nulla, ed è fighissimo proprio per questo. Si tratta di un Han Solo Simulator di sorta, un gioco dove potete vagare per ore con una lunga lista di canzoni nelle orecchie vendendo merci tra una galassia e l’altra, fingere di essere un pirata spaziale e attaccare tutto quello che vedete, o darvi alla vita del mercenario scorrazzando tra le zone di guerra che si trovano nelle vicinanze di alcuni pianeti. Può succedere di tutto durante i vostri viaggi: una tirata nell’iperspazio può svelare segnali sconosciuti con cargo da recuperare o criminali pronti ad assaltarvi, o potreste semplicemente ritrovarvi davanti a una stella al momento sbagliato e rischiare di trasformarvi in un mucchietto di cenere. È navigazione spaziale dura e pura, ed è bellissima.
Lo scopo di un pilota
In questo tripudio di navicelle, laser e corpi celesti, l’unica cosa che si fatica a trovare al momento è uno scopo. Elite: Dangerous fa parte della trinità di giochi galattici spuntata di recente, in trio con No Man’s Sky e Star Citizen. Dei tre è indubbiamente il titolo più concreto al momento, già in fase beta e aggiornato con costanza dal suo team di sviluppo, ma esattamente come i suoi diretti rivali sembra voler fare della scala e della libertà i suoi punti di forza, abbandonando la tipica concezione del gioco a obiettivi.
Si tratta senza dubbio di una visione affascinante, specie se applicata a un titolo di questa tipologia, ma Elite è anche un’opera lenta, che può alternare momenti di totale esaltazione a fasi di nulla totale, e la cui unica spinta ad avanzare risiede nella volontà di fare più soldi e comprare navi sempre più poderose. Peraltro bisogna agire con il cervello, magari accumulando qualche credito di sicurezza prima di darsi allo shopping selvaggio, o si rischia di perdere tutto in un lampo (esattamente come è successo al sottoscritto). Non fraintendeteci, il gameplay è affinato al punto da catturare anche quando lo scopo finale è così limitato, e la presenza di missioni di trasporto o da cacciatori di taglie nelle stazioni orbitanti dona un po’ di varietà, ma l’assenza di esplorazione planetaria concentra ogni pensiero sull’evoluzione del proprio mezzo, e potrebbe stancare chi non è cresciuto a pane, X-Wing e compagnia bella. Certo è che Elite: Dangerous è ancora in beta, e con il passare del tempo arriveranno un’infinità di aggiunte, tranquillamente capaci di ingigantire il già impressionante universo esplorabile del gioco.
Dal punto di vista tecnico invece nessun dubbio. Elite è splendido, e riesce a rendere le vuote distese galattiche un vero splendore. Le navicelle sono dettagliate e ricche di personalità, l’abitacolo è curato in modo maniacale, e gli interni delle stazioni spaziali, pur assomigliandosi un po’ tutti, fanno la loro porca figura. I programmatori hanno evitato esagerazioni e fuochi d’artificio, si sono attenuti al manuale della flotta galattica creando un gioco dalla grande atmosfera che sorprende con un look pulito e perfettamente adeguato al genere. Non è il più ottimizzato dei motori, ma c’è ancora tempo per migliorare.
– Complesso, appassionante, e privo di semplificazioni
– Scala enorme
– Gameplay affinatissimo e profondo
Per un gioco che non dovrebbe esistere, Elite: Dangerous è fin troppo concreto. Il lavoro di Frontier è incredibilmente curato, ed è capace di trasmettere sensazioni che non provavamo da tempo. La meraviglia dell’ignoto, il piacere del controllo di un’astronave complessa, il brivido delle battaglie fra le stelle, Elite riesce a far vivere con passione al giocatore ognuna di queste cose, e lo fa senza semplificare forzatamente gli elementi che lo compongono. Al momento questa sua durezza lo rende appetibile solo a una nicchia di giocatori, ma rappresenta anche la sua più grande forza, e gli dona un fascino eccezionale, da outsider di qualità. Della trinità di titoli spaziali in arrivo è indubbiamente il più concreto, e se questo è il livello qualitativo che dobbiamo aspettarci dal ritorno del genere… beh, gli amanti dello spazio hanno dei fuochi d’artificio da accendere.