Wonderswan

Avatar

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

La storia, si sa, la scrivono i vincitori. Può sembrare ovvio, ma, se vi soffermate un attimo a pensarci, non è affatto giusto, perché spesso le cose sono andate diversamente da come le si racconta, perché è umano ingigantire determinati eventi e soprassedere su altri, che invece avrebbero meritato un’analisi più approfondita.Il mondo dei videogiochi non fa eccezione e, anzi, conferma a pieno la regola: quando si parla di portabilità, di videogiochi in movimento, l’associazione con il Game Boy è istantanea, naturale, giustificata.La console portatile di Nintendo rivoluzionò il mercato, il modo stesso di intendere il videogioco, ma non è in questa sede che parleremo (se non di striscio) dei suoi infiniti meriti.Oggi ci soffermeremo su una console concorrente, figlia della stessa mente geniale che partorì il primo Game Boy, ma non baciata, ahinoi, dalla stessa fortuna commerciale e dallo stesso supporto delle terze parti.I meno giovani (e i più “alternativi”) tra voi, avranno già capito che stiamo parlando del Wonderswan, il “cigno delle meraviglie” di Bandai.

Un po’ di storia non guastaDopo averci regalato i Game & Watch, indispensabile anticamera per le meraviglie del Game Boy, ed aver lavorato sodo affinché quest’ultimo segnasse una svolta epocale (la realtà andò poi oltre le più rosee aspettative), Gunpei Yokoi, brillante ingegnere informatico della Nintendo, fece il passo più lungo della gamba, e si imbarcò nel vano tentativo di portare la realtà virtuale a casa di tutti gli utenti del mondo, a costi contenuti e con un parco software di cui il marchio Nintendo era garante.Se l’idea di partenza non era affatto male, la sua realizzazione, nota con il nome di Virtual Boy, deluse, e di molto, le aspettative, e a oggi è ricordata, nonostante qualche buon titolo, come uno dei pochi passi falsi della grande N: la riconoscenza, purtroppo, è una merce rarissima, e Yokoi fu messo in minoranza all’interno della società, e di fatto costretto alle dimissioni a circa un anno dall’immissione sul mercato della sua ultima sfortunata creatura.Senza perdersi d’animo, fondò la Koto Laboratory, e iniziò, in collaborazione con Bandai, i lavori di progettazione di un nuovo dispositivo di gioco portatile, che potesse spezzare il monopolio Nintendo nel campo.Ma il Wonderswan non nacque sotto una buona stella. A circa metà dei lavori (1997), Yokoi morì, a soli 56 anni, in un incidente stradale, lasciando senza padre il suo progetto, che gli ingegneri di Bandai portarono comunque a termine (sebbene con un notevole ritardo) seguendo minuziosamente le indicazioni del geniale game designer.Così, il 4 marzo del 1999, arrivò sugli scaffali giapponesi una console dal design innovativo, disponibile inizialmente in diverse colorazioni pastello (sulla falsariga di quelle, guarda caso, del Game Boy Color), e fu subito chiaro che il suo percorso sarebbe stato decisamente in salita.Innanzitutto, la morte di Yokoi e il conseguente ritardo accumulato dal progetto rappresentarono una palla d’acciaio al piede del prodotto, pensato per essere immesso sul mercato durante i primi mesi del 1998.Al momento del lancio, infatti, Nintendo aveva da poco assestato un altro colpo vincente con il lancio della versione a colori della sua popolare console, che faceva sembrare antiquato lo schermo monocolore del Wonderswan, che pure era più ampio di quello della concorrenza.Di lì a poco (meno di un anno), esattamente come era stata costretta a fare anche SNK con il suo Neo Geo Pocket, Bandai lanciò la versione a colori, denominata appunto Wonderswan Color, per combattere Nintendo sul suo campo.Ma era una corsa ad handicap, e contro un avversario decisamente in forma: i dati di vendita dei due modelli di Wonderswan commercializzati erano incoraggianti se valutati in sé, soprattutto considerando la scarsa esperienza della casa produttrice in fatto di console portatili, ma sconfortanti se paragonati a quelli del mostro Nintendo, che pure era tecnicamente inferiore tanto alla console Bandai quanto a quella SNK.La situazione andò peggiorando, tanto che il lancio americano della console, inizialmente nei piani di Bandai, venne cancellato, relegando questo gioiellino portatile al solo mercato nipponico: nel 2001 Nintendo diede il colpo di grazia, mostrando al mondo la potenza del suo nuovo Game Boy Advance e chiudendo, di fatto, una generazione di gioco portatile, nella quale lasciò Bandai a leccarsi le ferite.

Occhio di bue sul WonderswanNonostante i propositi iniziali, abbiamo fin qui parlato, anche troppo (ma d’altronde non se ne poteva fare a meno…), dell’ingorda console Nintendo. Analizziamo adesso punti forti e deboli del prodotto Bandai, dimenticando, per un attimo, i dati di vendita e concentrandoci sulle caratteristiche hardware e software.Il design della macchina era rivoluzionario e consentiva grande libertà di gioco: la presenza di due D-pad posti uno sull’altro a sinistra della macchina permetteva di poter godere di alcuni giochi anche girando la console in senso verticale, nella fattispecie diversi puzzle game (come l’ottima conversione di Tetris) o sparatutto a scrolling verticale, come l’osannato Judgement Silversword, affidando alla croce direzionale inferiore i comandi normalmente delegati ai due tasti presenti sul lato destro della console.Oltre a questa brillante (ma sotto sfruttata) scelta di design, la macchina poteva contare su uno schermo dalla diagonale di 2.49 pollici, che però perdeva in definizione quello che acquistava in termini di dimensione rispetto alla succitata concorrenza: particolarmente spiacevole era l’effetto scia, che imprimeva nei cristalli dello schermo l’ultima immagine visualizzata anche diversi secondi dopo lo spegnimento della stessa, generando panico negli utenti.Il modello in bianco e nero soffriva di una bassa definizione e la situazione migliorò sensibilmente solo con la versione a colori: un deciso passo in avanti lo si ebbe con lo SwanCrystal che, uscito solo pochi mesi prima del GBA, finì con l’essere ricordato come canto del cigno (scusate il gioco di parole) più che come versione definitiva.Il processore a 16 bit NEC V30 era il cuore del Wonderswan, e batteva ben più forte di quanto non abbia mai battuto quello del Game Boy, ma la migliore resa grafica, e un audio considerevolmente più massiccio non bastarono a garantire il sorpasso: dove davvero Bandai perse la battaglia è in campo software, con le più famose terze parti del mondo a fare la fila per sviluppare giochi su un semplice chip a 8 bit mentre pochi grandi nomi si cimentarono con il ben più performante engine del cigno di Yokoi.Eppure gli assi nella manica non mancavano a Bandai, che probabilmente finì con il giocarli male: al lancio della console strinse un accordo di partnership in esclusiva con Squaresoft, che portò delle versioni rivedute, corrette e tecnologicamente migliorate dei primi due episodi della saga di Final Fantasy, che da sola in Giappone avrebbe potuto far pendere l’ago della bilancia da una parte piuttosto che dall’altra; inoltre, grazie ad accordi simili con i più grandi produttori di manga e anime, il Wonderswan divenne la casa di giochi su licenza per moltissime serie, dai robottoni di Super Robot Taisen alla spensierata ciurma di One Piece!, attirando così a sé migliaia di fan delle rispettive saghe.Sebbene spesso poco sfruttata, la supremazia tecnica nei confronti del concorrente Game Boy si esplicitò in versioni assolutamente inarrivabili per quest’ultimo di classici come Space Invaders, Gunpey (di cui ora sarà chiara a tutti l’origine) o Crazy Climber.Un peso di soli 93 grammi senza batteria, e una vita media di gioco di circa venti ore con una sola pila AA ne fecero peraltro una console estremamente portatile, con il solo rischio di graffiare lo schermo, particolarmente sensibile e esposto, per la struttura stessa della console, a urti e segni.

Parco titoli e collezioniSebbene largamente meno nutrita di quella della concorrenza, la libreria di titoli per Wonderswan si può dire più che soddisfacente, con un unico, grande, limite: il giapponese.Come detto, la console non ha mai varcato i confini del Giappone, e questo riduce fortemente la lista dei titoli giocabili per noi occidentali, e la cosa è particolarmente delittuosa se si pensa che alcuni tra i migliori titoli della line-up della piccola di casa Bandai sono fortemente text-oriented, come i due Final Fantasy (portati da Square su PlaystationPortable nel 2007), SaGa, Chocobo Mystery Dungeon, Front Mission e i due Super Robot Taisen.Questo non impedisce, tuttavia, di godere di giochi più spiccatamente arcade, o di alcuni titoli che comprendevano anche l’opzione per settare il linguaggio inglese.Citiamo alcuni tra i migliori, senza alcuna pretesa di esaustività o di completezza assoluta:oltre al già citato One Piece Colosseum, e nonostante una certa difficoltà a fare le diagonali correttamente (per via della particolare croce direzionale “disunita”), non si possono non citare Guilty Gear Petit e il suo seguito, che sono probabilmente la migliore offerta a livello di picchiaduro insieme a Pocket Fighter della Capcom.Ampiamente giocabile anche quel piccolo capolavoro che è Judgement Silversword, ad oggi uno dei migliori shooter bidimensionali mai usciti nel mondo portatile, così come una simpatica conversione dell’immortale Lode Runner, una versione ampliata di Rainbow Island, un porting di Mr. Driller e il godibilissimo Final Lap Special.Menzione d’onore ad un trittico di giochi che, pur non essendo delle esclusive, rappresentarono a lungo le migliori versioni disponibili sul mercato, trasversalmente:Rockman EXE (Megaman qui da noi) non ha temuto per anni confronti e ha dovuto inchinarsi solo alle numerose uscite per Game Boy Advance, tanto quanto risulta un piacevole diversivo una versione riveduta (e con un livello di difficoltà decisamente meglio calibrato) di Makaimura, che altri non è che quel capolavoro conosciuto da noi come Ghosts’n Goblins.Last but not least, un’eccellente versione di Golden Axe, che, pur non essendo lontanamente paragonabile a quanto visto su Genesis offriva sprite di dimensioni ragguardevoli e un sistema di controllo estremamente preciso nonostante le limitazioni connesse all’hardware portatile.Reperire oggi un Wonderswan non è affatto impresa ardua e dovrebbero bastare una sessantina di euro per un modello in ottimo stato e completo di scatola e manuale: circa la metà se vi accontenterete del solo corpo macchina, forse qualcosa in più se opterete per lo SwanCrystal.Qualche difficoltà in più potreste averla nel reperire i giochi, soprattutto quelli “import friendly”, e cioè giocabili anche per chi non parla giapponese come Shigeru Miyamoto, ma con un po’ di tempo e di pazienza dovreste riuscire a mettere su una collezione di tutto rispetto.Un solo, fondamentale consiglio: quando non usate la console, soprattutto per lunghi periodi, rimuovete sempre la batteria, per evitare spiacevoli sorprese!

Mentre sarebbe un delitto se tra le vostre mani non fosse mai passata una console portatile a marchio Nintendo, se vi siete persi il Wonderswan di certo nessuno ve lo verrà mai a rinfacciare.

Nella storia dei videogiochi, però, in accordo con la teoria evoluzionistica di un certo Darwin, anche le strade senza uscita hanno contribuito a migliorare il prodotto finale, sebbene la selezione naturale sia spesso crudele.

Questa macchina avrebbe meritato ben più successo di quello che ha effettivamente avuto e ancora oggi risulta un acquisto sensato se siete amanti degli sparatutto vecchia scuola (Judgement Silversword vale da solo l’acquisto della console) o se volete recuperare classici del passato, come Lode Runner, Golden Axe, Rainbow Island per portarli sempre con voi, con una spesa irrisoria e un consumo di batterie altrettanto conveniente.

Se poi avete una conoscenza almeno sufficiente degli ideogrammi giapponesi, allora vi si schiuderà una ludoteca ampia e completa, con gemme di rara bellezza.

Chi scrive ha un Wonderswan, un Wonderswan Color (nella splendida Final Fantasy II Limited Edition) e uno SwanCrystal , li custodisce gelosamente e non li cambierebbe con niente al mondo.

Ma, si sa, i gusti son gusti, e non tutti hanno voglia di spulciare tra le righe della storia scritta dai vincitori.