Westworld, dove eravamo rimasti: il riassunto della prima stagione

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a cura di Redazione SpazioGames

A cura di Antonio Maria Abate

Com’era? «Le gioie violente hanno violenta fine». Così si congedò la prima stagione diWestworld, praticamente in quello che potrebbe essere l’inizio delle fine: la ribellione delle macchine. Più che a Shakespeare, tuttavia, viene da pensare all’iscrizione con la quale il meno noto nonché meno illustre Andrew Ryan di Bioshock ci accoglieva a Rapture: «Nessun dio, nessun re. Solo l’uomo». Parole, queste che sembrano quasi suonare beffarde se si pensa proprio a quel finale, alla presa di “coscienza” (termine nient’affatto casuale) di Dolores (Evan Rachel Wood) e Maeve (Thandie Newton), sul cui asse c’è da suppore si giocherà parecchio nella seconda stagione che avrà inizio ufficialmente il prossimo 22 aprile.

Tanta la carne sul fuoco messa da Jonathan Nolan, che attraverso un medium diverso continua la ricerca sua e del fratello Chris relativa alla forza delle storie. Non una in particolare, bensì sull’impatto che ogni storia ha sia su chi l’ascolta che su chi la racconta, perché una storia non è mai solo una storia, dunque si sbaglia chi ritenesse questo antichissimo strumento innocuo. In fondo, se vogliamo, Westworld è una variazione proprio su tale argomento, ossia il sovrapporsi di racconti, il loro intrecciarsi oppure non incontrarsi mai; tutti però in qualche modo legati in una trama che necessita di ciascuno di questi racconti.

Pur non venendo mai del tutto chiarita la collocazione temporale di Westworld, salvo le solite teorie attraverso cui probabilmente certi volenterosi avranno congetturato pure a tal proposito, possiamo immaginare che le vicende si svolgano in un futuro non troppo distante da noi. Eppure, al di là dei mezzi, della tecnologia, del progresso, delle condizioni e quant’altro, una cosa non viene meno, e questa è per l’appunto la pericolosità di ciò che comunemente definiamo storia, o per meglio dire il raccontare. Non importa l’epoca, tanto più che nella prima stagione ci si muove tra futuro e Far West, con quell’accenno verso la fine ad un’altra epoca ancora, presumibilmente il sedicesimo secolo in Giappone – Nolan ha già dichiarato che nella seconda stagione ci sarà un episodio quasi interamente parlato in giapponese.

Impossibile introdurre la nuova stagione senza ricorrere a snodi chiave della prima, i classici spoiler, che nelle ultime tre/quattro puntate assesta una serie di colpi notevoli, svelandoci l’identità di almeno due personaggi chiave, ossia William e l’host di Arnold, Bernard (Jeffrey Wright), colui che insieme a Ford (Anthony Hopkins) ha costruito il parco. Nondimeno, grosse e significative restano le domande senza risposta: per esempio, chi è Wyatt? E chi ha “manomesso” per primo Maeve, programmando la sua fuga prima ancora che lei stessa, per l’appunto, chiedesse di essere “riprogrammata” al fine di organizzarla?

Parte della soluzione c’è da credere che la si abbia avuta sotto gli occhi, ma che solo attraverso la lente d’ingrandimento che a un certo punto ci verrà fornita riusciremo a vedere. Fondamentali, a tal proposito, si rivelano i ricordi, o qualunque cosa siano, delle macchine, la cui ricostruzione di eventi passati tende a suggerire alcune cose senza però chiarire alcunché. Si pensi, per dirne una, ai ricordi di Teddy e quelli di Dolores, sostanzialmente sovrapponibili, secondo un escamotage narrativo che ricorda molto quello di Memento: il medesimo evento scomposto in maniera diversa, confondendo il chi anziché il cosa. Una misura dalle implicazioni notevoli, che ancora una volta gioca coi limiti del nostro cervello, sebbene in questo caso si tratti del cervello di androidi.

Il labirinto strutturato da Arnold è poi un evidente rimando all’intricata struttura di quello che per Nolan è il centro di ogni cosa, ancora una volta, ossia il cervello: non soloInception, ma prima ancora il nome oltre che il logo della compagnia fondata dal fratello Chris, ossia Syncopy, inequivocabile riferimento alla sincope, ovverosia il termine usato in campo medico per descrivere una perdita temporanea di conoscenza, dovuta alla diminuzione improvvisa del flusso di sangue diretto al cervello, anche detto svenimento. D’altra parte, qual era l’opera preferita di Arnold? La Creazione di Adamo, affresco di Michelangelo che, secondo la tesi riportata da Ford, mostra come Dio e gli angeli siano circondati da una forma che ricorda quella del cervello, rimandando ad una visione diversa, che pone al posto della divinità, per l’appunto, quanto abbiamo dentro la testa.

Le questioni evocate sono capitali, e certamente, insieme all’innegabile abilità affabulatoria degli autori, una delle ragioni principali del successo di Westworld sta proprio nel volare così in alto, magarsi senza alzarsi chissà quanto da terra, ma nemmeno rischiando di cadere. Emerge un certo cinismo allorché si parla dell’uomo, ed in generale, su questioni di natura filosofica o teologica, saggiamente ci si limita ad evocare domande più che a fornire scomode, complesse risposte. Come le macchine abbiano per esempio acquisito una coscienza, la propria, ci si limita a quanto la Fantascienza ha già detto più e più volte: sono i ricordi, facoltà esclusiva dell’anima. Qui viene aggiunto uno strato ulteriore, ossia che l’acquisizione di ciò che per convenzione possiamo definire «umanità», passa dalla capacità di soffrire: senza sofferenza non si è umani in buona sostanza.

Altro elemento speculativo non da poco, oltre che più affine all’attualità, sta nell’altrettanto inesaurita questione relativa alla Delos, multinazionale proprietaria del parco. Si è capito che per il consiglio d’amministrazione della compagnia questo parco rappresenta qualcosa di ben diverso rispetto a ciò che rappresenta per i visitatori, e che perciò, secondo quanto in alcuni passaggi Hale (Tessa Thompson) lascia intendere, le aspettative circa lo sviluppo dell’intero progetto puntano da tutt’altra parte: non più svago e sollazzo per facoltosi ospiti bensì qualcosa di ben più ambizioso. Nolan cita espressamente Google: strumento di ricerca o indirizzo mail per l’utente, canale di promozione per il proprietario della piattaforma, che monetizza su tutta quella mole di dati liberamente fornita da noi. D’altronde la migliore Fantascienza, anche quando guarda al futuro, parla sempre del presente.

Se dunque la prima stagione è stato un viaggio verso l’interno, questo lo sarà verso l’esterno, sempre a detta di Jonathan Nolan, sulla falsa riga della nuova narrazione di Ford, che s’intitola, se ricordate, «Viaggio nella notte», la cui duplice è evidente: l’oscurità è tale sia per chi s’inoltra nella ricerca interiore così come per chi s’imbarca in un’avventura verso luoghi che non conosce, perciò non meno carichi di mistero. E a farla da padrone, stando anche a quanto dichiarato proprio dalla Thompson, saranno i personaggi femmili; d’altronde basta vedere chi e in che termini abbiamo menzionato fino ad ora. Dolores, Maeve e per certi versi pure Charlotte Hale debbono per forza avere un ruolo determinante nello sviluppo di questa seconda stagione. Nolan promette che il cerchio verrà chiuso, che non gli piace l’idea di lasciare troppo in sospeso; a maggior ragione stupisce come siano riusciti a confezionare una seconda stagione in un arco di tempo tutto sommato così ristretto.