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Videogiochi su tela - Bloodborne

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Avatar di Roberta Pagnotta

a cura di Roberta Pagnotta

Pubblicato il 04/12/2017 alle 00:00

Articolo a cura di Roberta “Momoka” Pagnotta

La dimensione macabra e oscura dei sogni, il mistero e la scoperta, tutto ciò che ai nostri occhi e alla nostra mente appare impenetrabile inevitabilmente ci attrae verso di sè.  Esplorare un universo narrativo celato ed inaspettato, capace di dare carne e anima ai nostri incubi più profondi e di risvegliare le nostre capacità sopite, può renderci parte attiva di uno straordinario processo di creazione e molto più che semplici viandanti.Lo sa bene il visionario creatore di Bloodborne e dei Souls, Hidetaka Miyazaki che nel lontano 2009 decise di sperimentare per la prima volta la sua personalissima concezione di gioco di ruolo, dando vita a un nuovo tipo di esperienza videoludica, che attraverso una vena di gameplay tipicamente hardcore e la narrazione ambientale doveva dar forma e contenuto a una storia che veniva di volta in volta plasmata in base alle abilità, alla curiosità e alle capacità d’osservazione del singolo giocatore.

“Il senso di un’opera non è in questa o altra sua interpretazione, ma nell’insieme delle sue letture”Rholand Barthes

Brandelli di identità sono racchiusi nei suoi mondi di gioco, nei dettagli, negli oggetti e nelle frasi criptiche dei personaggi che vi dimorano. I suoi viaggi sono ambientati in mondi sorprendentemente folli, inquietanti e fantastici, sospesi continuamente fra l’indefinito e l’imperscrutabile.In questa nuova puntata di Videogiochi su Tela ci occuperemo di trasportarvi all’interno dell’incubo terrificante, marcio e bestiale partorito dalla mente di Miyazaki, cercando di approfondire la sua poetica sanguinaria confrontandola con il surrealismo distopico di Zdzislaw Beksinski, l’artista polacco che desiderava “dipingere l’inferno per non impazzire”.

  L’uomo che fotografava l’incubo“Ciò che conta è quello che appare nella tua anima, non quello che i tuoi occhi vedono e puoi definire”

Cosi Zdzislaw Beksinski era solito descrivere la sua arte: come una rappresentazione visiva di ciò la dimensione più profonda e oscura dell’individuo cela. Le opere del pittore polacco sono descritte come incubi surreali: oggetti, persone, paesaggi sono deturpati e scheletrizzati, resi aridi da un tempo che sembra divorarli e imprigionarli. Una leggenda racconta che l’ispirazione per i suoi dipinti gli sarebbe giunta in seguito a un grave incidente automobilistico che lo avrebbe coinvolto nel 1970 in uno scontro con un treno nel cuore della fredda campagna polacca. Da quel momento in poi, la sua arte cambiò radicalmente: abbandonò la fotografia e si diede alla pittura ad olio su masonite. In quei giorni egli affermò di aver visto l’inferno e di doverlo rappresentare nelle sue opere per esorcizzarlo e non impazzire. Beksinski amava “fotografare i suoi incubi” e riportarli sulla tela: i suoi paesaggi desolati, le donne con il volto bendato e le bambole mutilate definiscono mondi angoscianti, dai toni gotici e spettrali. Fra architetture impossibili e inquietanti cominciano ad agitarsi una moltitudine di figure mostruose, dalla carnalità putrida e corrotta, essere semifusi con la pietra e privi di umanità. 

I suoi dipinti, tutti mancanti di titolo e classificati tutt’al più con codici, si presentano privi di elementi narrativi, e lasciano l’osservatore in balia di una sensazione di mistero e curiosità, desideroso di inoltrarsi in una terra sconosciuta, di scrutare le assenze, di scoprire cosa si nasconde dietro quei volti privi di identità. Non vi è alcun intento descrittivo, ciò che preme all’artista è soltanto rappresentare la dannazione e le creature che vi dimorano, cercando di indagare ciò che vi è al confine tra il cosciente e l’onirico, tra la veglia e l’incubo.Visioni di morte e di un orrore senza nome che appaiono familiari a chiunque abbia vagato tra le presenze bestiali e le anime perdute che popolano la vittoriana Yarnham. I toni sporchi e sanguigni, il senso di perdizione e solitudine sovrastano i paesaggi ombrosi e le cattedrali desolate di quest’abisso oscuro avvolto dal delirio delle sue maledizioni e dalle flebile luce delle lanterne sepolcrali. “Ora diamo inizio alla trasfusione. Oh, non devi temere. Qualunque cosa accada, forse ti sembrerà soltanto un incubo…”

La dimensione onirica oscura e distorta, richiamo narrativo e iconografico all’universo Lovecraftiano, è il punto focale attorno al quale si sviluppano le intere vicende del protagonista. Il sogno del cacciatore è una dimensione sospesa, una realtà “altra” partorita dalla nostra mente ( oppure da quella di qualcun altro) in cui tutto sembra aver perso di significato, anche il tempo.  La vecchia Yarnham appare come una città devastata dall’orrore cosmico delle tele di Beksinski e martoriata da una piaga incontrollabile, all’interno della quale aleggiano simboli di morte ( lapidi, croci, tombe, ossa…) e vagano bestie infette, deformate e senza speranza, con in mano fiaccole e forconi, convinti di dare la caccia ad un mostro che in realtà si nasconde dentro di loro, pronto a sterminare anche il più piccolo bagliore di coscienza e di lucidità rimasto.

Bloodborne è un’amara riflessione sulla cupidigia e sulla follia, concentrata in un’allegoria affascinante quanto terribile. L’incubo di Yanham è il risultato di chi bramava avidamente il Sangue per farne un uso spasmodico, un terribile eccesso che ha portato esclusivamente allaq morte ed all’autodistruzione. Le belve, rappresentate visivamente come esseri logorati, putridi e dannati, raffigurano il lato incontrollabile dell’uomo, la rappresentazione degli istinti furiosi e dell’incoscienza. I nobili di Cainhurst, come orrendi vampiri dell’immaginario gotico ottocentesco, si nutrono avidamente di sangue e sono nient’altro che metafora del nobile visto come parassita della società dei suoi tempi, nella quale consuma risorse e non produce nulla.  Miyazaki, cosi come Beksinski, ci mostra la desolazione di ciò che non è più uomo, un uomo che si è annullato cosi tanto che si trova a regredire ad una forma malsana e corrotta. L’horror vacui è un elemento predominante delle sue visioni: l’angoscia del tormento eterno e della morte aleggia sulle anime in pena di un mondo senza luce, forse privo di qualsiasi speranza, ma pur sempre vivo per quanto flebile.

Il gusto dell’orrido, il disturbante, i personaggi in bilico sul baratro della dannazione eterna dominano l’immaginario grottesco generato dalla mente di questi due artisti visionari e straordinariamente oscuri. Quei vuoti e quelle assenze costruiscono storie da raccontare ed immagini da definire. Una semiotica del silenzio che rende possibile, con il supporto di dovute e opportune suggestioni visive, l’instaurarsi di molteplici interpretazioni e sensazioni a livello sensoriale. Guardando le tele di Beksinski si respira l’odore del sangue che tinge le strade di Yarnam, ma anche l’atmosfera cupa e assorta che avvolge Boletaria e la stessa angosciosa disperazione delle anime in pena riposanti attorno ai falò. Il pittore lascia che sia l’osservatore a sbrigliare l’immaginazione, a tentare delle associazioni, a dipanare la nebbia che avvolge i suoi incubi, esattamente cosi come Miyazaki dona al giocatore il potere di definire la sua opera, di rendere il suo viaggio quasi pienamente autografo, ponendo la narrazione su un piano strettamente bidimensionale. D’altronde si sa: “un mondo ben costruito è in grado di narrare la sua storia anche in silenzio”.

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