Top 10 of the Gen - Pregianza

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a cura di Pregianza

Eccoci qua, con il periodo natalizio in arrivo e le nuove console di Sony e Microsoft che iniziano a prendere possesso dei salotti di tutto il mondo. Le uscite in questi giorni sono notoriamente pochette, quindi perché non concentrarsi sulla generazione appena passata con una bella lista di preferenze personali? Avete capito bene, preferenze personali. Durante il mese di dicembre io, FireZdragon e LoreSka butteremo giù un elenco dei titoli che abbiamo apprezzato di più nella passata generazione su console. 
Purtroppo quel “su console” mi ha limitato parecchio nelle decisioni, visto che quei maledetti dei miei colleghi mi hanno obbligato a lasciar fuori le esclusive PC dalla classifica (che, precisiamo, non è numerata). Non che comunque io non abbia avuto l’imbarazzo della scelta… di roba eccezionale ne è uscita tanta su Wii, Ps3 e Xbox360, e non è stato facile lasciare fuori dal gruppo certi capolavori.
Ecco dunque le mie scelte, selezionate cercando di trovare un giusto equilibrio tra i miei gusti personali e l’importanza avuta per i rispettivi generi di appartenenza. 
Il link alla lista del Valentini lo trovate QUI
Mentre il link a quella del buon Loreska è QUI
Parto da un videogame che mi ha bruciato un weekend, per poi divenire passatempo fisso di molti altri giorni. E quando dico “bruciato” intendo dire che ho iniziato a giocare alla mattina del sabato e ho finito a notte fonda di domenica, pausando solo per mangiare o fare brevi “pause pisolino” nel mezzo. Dragon’s Crown è un hack ‘n’ slash a scorrimento di quelli vecchio stile, una sorta di evoluzione di Shadow Over Mystara (titolo su cui in sala giochi ho buttato più monetine di quante stelle ci siano nel cielo) creata da quel geniaccio di Kamitani e dai suoi Vanillaware. Il gioco ha un gameplay semplice, ma non privo di finezze notevoli, ed è dotato di un sistema di sviluppo alla gdr lodevolissimo. Insomma, una droga bella e buona, con in aggiunta un comparto artistico eccezionale (lo stile dei Vanillaware è inconfondibile) e una bella vagonata di “fattore nostalgia” che sul sottoscritto fa sempre un certo effetto. 
Vi ho mai detto che ho in casa un altarino di Kamiya? No? Beh, ora lo sapete. Quell’uomo sarà anche una brutta persona caratterialmente, ma tra i game designer/director è uno dei più grossi geni dell’universo. Parliamo di un tizio che non ha mai sfornato un gioco brutto. MAI. E che da solo ha rivoluzionato il concetto di action hack ‘n’ slash. Dopo Devil May Cry era difficile pensare che potesse superarsi, ma poi se n’è uscito con una strega attizzante e indiavolata, capace di manovre completamente fuori di testa. Bayonetta è l’apoteosi del combat system, un insieme di meccaniche eccezionale, fuso alla perfezione in un sistema di combattimento di una varietà e un acume quasi inverosimili. Insomma ragazzi, qua si possono bufferare le combo durante le schivate, equipaggiare armi alle mani e ai piedi, e variare gli stili di gioco in base ad accessori che donano abilità extra, il tutto tra avversari che picchiano sul serio. Per un amante del genere è pornografia pura. Menare bestioni virtuali non è mai stato così divertente.
Io adoro i gdr, sono il mio genere preferito in assoluto. Dunque, se uno studio relativamente piccolo se ne esce con un seguito di un ottimo action-gdr e riesce a migliorarlo in tutto, creando uno dei titoli più completi, tecnicamente maestosi e significativi dell’ultimo decennio, vado comprensibilmente in brodo di giuggiole. I ragazzi di CD Projekt dovevano confermare la loro bravura, con The Witcher 2 invece hanno dimostrato di essere dei maestri. Il secondo episodio delle avventure di Geralt vanta un livello di difficoltà superiore alla media e soddisfacente, un combat system ben strutturato, un gran sistema di sviluppo, un bel po’ di maturità, e la possibilità di fare scelte “davvero” importanti durante la campagna, al punto da essere in grado di modificarla quasi completamente. Ci vuole coraggio per creare un’opera così, e CD Projekt ne ha a bizzeffe. C’è un motivo se inizio a sbavare ogni volta che sento parlare di The Witcher 3. Anzi, ce ne sono un bel po’.
Le altre possibili scelte sarebbero state Mass Effect 2 e Dragon Age Origins: con il primo alla fine l’hanno spuntata ambientazione e comparto tecnico, mentre il secondo, da me amato alla follia, non era lontanamente all’altezza della versione pc su console, quindi l’ho dovuto lasciare fuori.
Come dite? Sto barando perché questo è un titolo per computer? Falsità! Dopotutto c’è un ottimo port su Xbox di questo giochissimo. 1 a 0 e palla al centro.
Un capolavoro, non ho altro da dire. The Last of Us non presenta un gameplay strabiliante o particolarmente innovativo, ma fonde meccaniche di più generi in una formula unica e funzionale, adeguata a ogni tipo di giocatore e apprezzabile in ogni suo elemento. Questo basterebbe a renderlo un ottimo gioco, ma è la narrativa a innalzarlo a livelli incredibili. Quest’opera contestualizza alla perfezione la violenza in un videogame, e riesce ad essere un’esperienza indimenticabile e brutale, un pugno allo stomaco che resterà negli annali e nella memoria di qualunque videogiocatore. Non bastasse, prende tutti gli zombie game fatti fino a questo momento e li supera senza voltarsi indietro, forte di una premessa più originale e “realistica” del solito e di uno degli inizi più stratosferici mai concepiti in un videogioco. I Naughty Dog hanno dimostrato ancora una volta di essere sviluppatori geniali, ora resta da vedere cosa hanno in serbo per la nuova generazione.
Un videogame dovrebbe portare a un giocatore gioia e divertimento. Questo gioco, invece, tende a portare bestemmie e furia. Eppure è un capolavoro. Dark Souls non prende il giocatore per mano, e ha il coraggio di riproporre un livello di difficoltà punitivo e barbaro che non si vedeva da anni. Pochi giocatori sono in grado di affrontare tale malvagità senza spaccare il pad o abbandonare il tutto dopo una manciata di ore, ma chi ha il coraggio di farlo si trova ben presto immerso in un mondo magnifico ricchissimo di segreti e trovate fantastiche, e in un titolo di una complessità e finezza rare. Ah, ha pure uno dei pochi multiplayer “originali” in circolazione. Eliminare un boss in Dark Souls imparando dalle proprie (innumerevoli) morti, o anche solo aprire un passaggio alternativo a una nuova area sono soddisfazioni enormi, e in un’era nella quale il motto sembra essere “accessibilità a ogni costo”, lavori del genere sono tanto rari quanto necessari. Adesso datemi il due per favore, non ho ancora finito le imprecazioni.
Questo me lo dovete concedere, perché è il mio “momento ignorante” della lista, e una scelta obbligata. Premetto che sono un grosso amante dei picchiaduro, e in particolare ho sempre rispettato profondamente quelli nipponici molto tecnici, tra cui il mio preferito in assoluto rimane Garou: Mark of the Wolves. Ultimate Marvel vs Capcom 3 è però stato l’ultimo fighting game a cui posso dire di aver giocato con un po’ di serietà, un turbinio inarrestabile di caciaronaggine, esplosioni, colori e combo esagerate praticamente irraggiungibile da qualunque altro esponente del genere. Il gioco è molto più tecnico di quanto appare, credetemi, e richiede riflessi spaventosi per essere padroneggiato a dovere (anche se l’esecuzione di combo complesse è nettamente più semplice rispetto alla media), inoltre io l’ho adorato per la sua capacità di aggirare i problemi di bilanciamento nel modo più assurdo possibile… ovvero rendendo tutti i personaggi delle divinità devastanti. Quando qualunque scelta può massacrare un avversario con un tocco, non importa chi si sceglie, perché si possono fare disastri con chiunque. E’ una situazione unica, che ovviamente non basta a eliminare le tier list o i combattenti avvantaggiati, ma rende le partite un vero spasso, ampliato dalle tante sinergie tra membri della squadra e dalle innumerevoli combinazioni che partono o si allungano grazie agli assist. Io adoro questa supernova travestita da videogame, anche se non ha avuto l’importanza di Street Fighter 4, non ha i contenuti dei picchia picchia Netherealm, o non è affinata come i Blazblue. Mahvel is HYPE.
Sì, lo so, ho barato pure qui, ma questo titolo vanta un port impeccabile anche su console, quindi non potete dirmi nulla. Tiè.
Il primo Portal fu un fulmine a ciel sereno, un nuovo modo di vivere i puzzle game, tutto basato attorno a meccaniche tanto semplici quanto brillanti. Il secondo prese le basi di questo esperimento, e le trasformò in un gioco completo, con una narrativa di fondo appassionante, puzzle ancora più brillanti che sfruttavano vari tipi di gel, e un gran numero di momenti leggendari. A Valve bazzicano menti inarrivabili, Portal 2 ne è l’ennesima, indimenticabile, dimostrazione. Se solo non facessero uscire un gioco ogni morte di papa…
Ok, se non l’aveste notato dalla mia lista, io amo i gdr. Quello che forse non è chiaro è che amo sia quelli occidentali che quelli orientali, avendo giocato in gioventù un numero smodato di jrpg. Xenoblade è forse uno dei migliori in assoluto, perché è un titolo che prende i canoni del genere e li rivede sensibilmente, rimodellandoli uno ad uno, eppure lo fa senza sforare e mantenendo un gusto squisitamente orientale nei sistemi e nelle meccaniche. Xenoblade non ha schermi di transizione, né un overworld, ma è un gioco contenutisticamente enorme, con mappe estese e tutte da esplorare, una premessa originale e tante trovate interessanti legate alla Monado, e a un sistema di combattimento che ruota attorno alle affinità con i personaggi (e alle combinazioni tra abilità). Oltre a questo, i protagonisti sono estremamente diversificati e piacevoli da utilizzare, cosa che non vedevo così ben introdotta dai tempi di Final Fantasy VI. Tra questo e Ni No Kuni per me è stata una gara dura, ma, per quanto io sia un fan sfegatato di tutto ciò che è Ghibli, alla fine il lavoro di Monolith ha prevalso.
Probabilmente mi considerate una sorta di orso umanoide privo di emozioni e con la tendenza ad arrabbiarsi con facilità. Tra barba che copre metà faccia, peso corporeo ben sopra la media e modi da scaricatore di porto è comprensibile. Fatto sta che… avete assolutamente ragione. Io sono una persona irosa, sono emozionale quanto un Moai (per chi non sa cos’è, googlatelo) e non piango da quando avevo 12 anni. No, non scherzo, 16 anni senza una lacrima. Eppure Journey è riuscito a farmi venire un po’ di magone, e il tutto senza una parola, solo con immagini splendide e un gameplay ridotto all’osso in favore dello spettacolo audiovisivo. Se ha smosso una bestia immonda come me, merita il posto nella lista. C’è poco altro da dire.
Ho giocato per anni a Pokémon, ma non sono mai stato uno dei “collezionisti”. No, ho sempre cercato il team dalla sinergia perfetta, addestrato tutti i miei mostriciattoli curando attentamente IV ed EV, e cercando le combinazioni migliori per dominare durante le battaglie. Ho sempre adorato la serie per la sua complessità nascosta, per le sue finezze note a pochi eletti, finché, dopo anni di ripetizioni e meccaniche stantie, è riuscita a stancare persino me. Poi è arrivato Pokémon X, e mi si sono riaccesi gli occhi. Non solo i Gamefreak hanno finalmente smaltito molto del vecchiume del marchio, ma hanno strizzato l’occhio ai giocatori competitivi, rendendo visibili gli EV e, udite udite, facilitando il breeding con il passaggio di più IV. Sicuramente molti di voi non avranno capito una mazza di quello che sto dicendo, ma poco importa. Sappiate solo che Pokémon X e Y sono una reale evoluzione della saga, un passo avanti capace di riavvicinare alla serie persino un pessimista cosmico del mio calibro. Si meritano pertanto il posto in lista senza dubbio alcuno.