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Top 10 of the Gen - LoreSka

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a cura di LoreSka

Pubblicato il 17/12/2013 alle 00:00
Prima di tutto, ho una confessione da fare. Non è l’ennesimo “Loreaneddoto”, come qualcuno ha ribattezzato i miei racconti di vita vissuta, ma una doverosa nota biografica per prepararvi alla classifica che segue. Ho iniziato a fare questo lavoro nel 2006, dopo almeno tre anni di digiuno dalle console. La verità è che avevo lavorato per cinque anni in un negozio di videogames, un’esperienza che mi aveva contemporaneamente temprato come persona, sfracellato i maroni come uomo. Perché, per quanta passione ci mettessi in quel mestiere, alla fine chi entrava in negozio voleva sempre lo stesso gioco di calcio. I miei consigli passavano inosservati dai clienti, e tutti alla fine decidevano per “sentito dire”. O, peggio, per “letto sulla rivista”.
Così, dopo aver lasciato il lavoro e iniziato a studiare, di console non ne volevo più sapere. Mi rintanai nei favoloso mondo dei giochi PC, accumulando un numero di ore in Flight Simulator che un pilota dell’Alitalia, a confronto, risulterebbe un assenteista.
Poi un tizio vestito in frac salì su di un palco agitando un telecomando bianco, e fu di nuovo amore. Nintendo aveva colpito nel segno, avvicinando milioni di persone al mondo dei videogiochi. E, soprattutto, Miyamoto aveva riavvicinato me al mondo delle console.
Questo per spiegare il perché del mio amore per Nintendo, che non è dovuto (solo) ai bei ricordi di bambino, a quel Super Nintendo ricevuto alla mia Prima Comunione, ma anche a quel miracolo che mi ha permesso di riprendere in mano un gamepad, a riacquistare fiducia nel medium videoludico e, soprattutto, a intraprendere uno dei lavori più belli che un appassionato di videogiochi possa desiderare.
Detto questo, sono certo che qualcuno resterà deluso dalla presenza di due soli giochi Nintendo in questa classifica, e soprattutto dall’assenza del franchise che più di tutti adoro, The Legend of Zelda. Ma ho voluto segnalare i giochi che hanno davvero lasciato il segno nel mio cuore, e Skyward Sword non è uno di questi (Twilight Princess lo è, ma essendo un gioco cross-gen è escluso da questa classifica).
QUI trovate la classifica di Pregianza
QUI invece quella di FireZdragon
Dopo essere nato, cresciuto, innamorato nel Vault, sono dovuto fuggire. Dal tepore asettico di un corridoio sotterraneo, abitato da facce amiche e da contraddizioni, mi sono ritrovato sotto la luce del sole. Libero, ma solo. L’abbandono nella Wasteland di Fallout 3 mi ha colpito allo stomaco, creandomi un senso di nausea e di paura che mi ha costretto a spegnere la console e a riprendere a giocare solo dopo due o tre giorni di riflessione. Ancora oggi ricordo quel momento come una delle esperienze più intense della mia vita da giocatore. Fallout 3 è un gioco pieno di difetti, ma i paradossi che mette in scena, le scelte (im)morali, la vita, la morte di una terra stuprata dai suoi stessi abitanti sono una bomba a orologeria emotiva pronta ad esplodere.
Ok, non è un gioco. Gli stessi sviluppatori lo definiscono un software. E in effetti, è proprio così. Ma si tratta comunque di un software le cui componenti ludiche rendono divertente qualcosa di terribilmente complesso. Suono la chitarra da circa quindici anni, e Rocksmith mi ha sorpreso con il suo metodo di insegnamento così chiaro e mai tedioso. Anche se, a conti fatti, Rocksmith non insegna “la musica”, è anche vero che parecchie rockstar non hanno mai saputo leggere uno spartito. Rocksmith coglie questo spirito, e lo traduce in lezioni di chitarra elettrica che non sembrano mai sfociare nella didattica. Ma, alla fine e dopo tanta pratica, quel maledetto riff lo si impara a suonare davvero. Spero che questa serie continui anche con la next gen, ne sentirei davvero la mancanza.
(SPOILER ALERT) Chiamatemi sentimentale, ma quando Lirum è morta ho pianto come una femminuccia. Normalmente la morte di un personaggio non mi fa né caldo né freddo, ma in quel caso gli sviluppatori di questo iper-sottovalutato JRPG per Xbox 360 hanno messo in scena uno dei momenti più toccanti nella storia dei videogiochi. Odiavo il fatto che – all’epoca – Final Fantasy fosse un’esclusiva Playstation. Presi Lost Odyssey come surrogato del mio gioco di ruolo preferito, trovando un’esperienza che andava al di là della mera imitazione, prendendo una forma sua che tutt’oggi adoro. Lost Odyssey è il mio JPRG preferito della scorsa generazione e uno dei miei tre giochi di ruolo preferiti di sempre.
Questo non ve lo aspettavate, dico bene? Beh, Wii Sports è il gioco che ha presentato al mondo Nintendo Wii U, e credo sia anche uno dei party game che più ho giocato negli ultimi sette anni. Ricordo che a Natale del 2007 feci giocare il mio nonnino. Mio nonno era un signore di 80 anni che considerava il Bancomat uno strumento troppo tecnologico. Vederlo divertirsi a giocare a bowling con un videogioco fu qualcosa di meraviglioso e indimenticabile. Ancora oggi è uno dei ricordi più belli che ho del mio nonnino, ma – ricordi personali a parte – credo che il valore di questo gioco nella precedente generazione sia innegabile.
Anche se il secondo capitolo è sostanzialmente migliore del primo, Super Mario Galaxy fu il ritorno di Mario in grande stile, dopo quell’episodio un po’ sottotono chiamato Sunshine. Il concept dei pianetoidi e del passaggio dal 3D al 2D è qualcosa di inimitabile e unico. Chi ha osato copiarlo ha sempre fallito, e tutt’oggi Galaxy resta uno dei migliori Super Mario dopo l’irraggiungibile 64. Ma a differenza del titolo per Nintendo 64, Galaxy ha qualcosa in più: una storia narrata e disegnata in stile Saint-Exupéry che è passata dallo schermo direttamente ai nostri cuori. Mario Galaxy è il Piccolo Principe della vecchia generazione.
Troppo cinematografico. Questa è l’accusa che è stata mossa più e più volte al quarto episodio della serie creata da Hideo Kojima. E, in effetti, è proprio così. Metal Gear Solid 4 è un gioco tremendamente cinematografico, bulimico di cutscene e incapace di narrare senza sospendere il continuum videoludico. Eppure, nelle fasi in cui giochiamo Guns of the Patriots è solidissimo, capace di regalare emozioni e di tenere con il fiato sospeso. Se a questo aggiungiamo una sceneggiatura scritta e diretta da chi conosce gli stilemi e le (non) regole del cinema contemporaneo, surfando tra narrazione forte, debole e l’antinarrazione, ecco che ne esce un prodotto squisitamente postmoderno, capace di una messa in scena che la maggior parte delle produzioni videoludiche non riescono neppure a imitare maldestramente. Probabilmente il videogioco più filmico di sempre. Più di Heavy Rain. Più di Beyond.
Non poteva mancare l’indie da tossicodipendenti del videogioco. Trials Evolution, gioco sviluppato da un piccolo team finlandese, ha la capacità di catturarti dopo qualche secondo grazie a un gameplay semplice, che spinge il giocatore a migliorarsi di centesimo in centesimo e a sfidare costantemente i propri amici. Ma non è finita: Evolution include un editor capace di trasformare un gioco di motocross in qualunque cosa. Letteralmente. Abbiamo visto il gioco trasformarsi in sparatutto, platform, persino in giochi sportivi. Il tutto grazie a un editor e alla passione di tanti giocatori che, pad alla mano, hanno pazientemente creato e condiviso contenuti. Se credevate che Little Big Planet fosse il re del “Gioca, crea, condividi” vi sbagliavate di grosso.
Lo ammetto, qua c’è un po’ di campanilismo. Ma il secondo episodio di questa saga resta un gioco straordinariamente valido. Infinitamente meno ripetitivo del primo, infinitamente più profondo e con un ambientazione che non sviliva certo il nostro belpaese. Credo che Assassin’s Creed II abbia contribuito a creare un fenomeno che potremmo chiamare “videoludoturismo”: molte persone hanno visitato l’Italia grazie al gioco, e ancora oggi so di stranieri che vengono in visita nel nostro Paese per una sorta di “Assassin’s Creed tour”. Io stesso sono stato in pellegrinaggio nerd a Monteriggioni, un luogo che non avrei mai visitato se non lo avessi conosciuto attraverso il gioco. Assassin’s Creed II è un gioco che ti lascia dentro volti e soprattutto luoghi, e che – per una volta – ha evitato di dipingere la nostra terra come quella della pizza, della mafia e del mandolino.
La prima volta che sentite Eye of the Tiger in versione mariachi, il tutto saltando fra mostri e precipizi a tempo di musica, immersi tra colori pastello, non potete non innamorarvi di questo gioco. Rayman Legends, assieme a Origins, è uno dei platform più belli di questa generazione. Non ha davvero nulla di innovativo, se non un motore grafico semplicemente mozzafiato, capace di anticipare di almeno un anno la next gen in quanto a qualità. Da giocare assolutamente in compagnia. Barando un po’ sulla classifica, vi direi di giocarvelo su Wii U, dove il gioco dà davvero il meglio di sé. Ma anche su PS3 e 360 è validissimo.
I tie in fanno schifo. Inutile negarlo: tutte le volte che si parla del connubio videogioco-supereroe, l’effetto in termini di gusto è quello di un piatto di tagliatelle alla Nutella. Eppure in passato non era così: tanti grandi giochi dell’era arcade erano dei tie in. Qualcosa si perse verso la seconda metà degli anni Novanta, per poi sparire definitivamente con la generazione precedente. E poi arrivò lui, il Cavaliere Oscuro, che con Arkham Asylum ci fece rimangiare anni ed anni di pregiudizi. Questo Batman è un gioco semplicemente straordinario, capace di raccontare una splendida storia accopagnandosi ad un gameplay sempre divertente e in grado di svelare le sue carte lentamente. Nel corso del prossimo anno uscirà la trilogia contenente Asylum, City e Origins: se non avete giocato a tutti e tre gli episodi, ecco un degno titolo con cui concludere l’onorato servizio delle vostre console di vecchia generazione.
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