The Legend of Zelda: A Link Between Heroes

Avatar

a cura di Redazione SpazioGames

Questo romanzo, scritto da Andrea Paone, è il vincitore del nostro concorso dedicato al concerto The Legend of Zelda: Symphony of the Goddesses. Giunto in un documento di cinquantotto pagine, il romanzo sarà pubblicato a puntate su Spaziogames. Buona lettura.

The Legend of Zelda: A Link Between Heroesdi Andrea Paone

PrologoLa cacofonia prodotta dai macchinari sembrava una piccola orchestra disorganizzata, in cui ogni membro suonava uno strumento con un ritmo diverso ma costante, andando a produrre una melodia dissonante ma stranamente ipnotica. Era mattino presto, e l’uggioso sole d’autunno iniziava a far filtrare debolmente i propri raggi attraverso la coltre di nubi che copriva l’azzurro del cielo, andando a rischiarare la penombra della stanza dall’unica finestra che dava sull’esterno. Carl era steso sul piccolo letto, coperto fino alle spalle da un lenzuolo bianco, da cui era possibile intravedere il suo emaciato corpicino, tanto sottile da sembrar potersi spezzare al minimo movimento. Le sue braccia erano abbandonate lungo i fianchi, mentre il suo sguardo sembrava essere perso nel vuoto, fissando, con occhi semichiusi, un punto non ben preciso sopra di sé. Carl non era un bambino come tutti gli altri, o meglio una volta lo era stato, ma tutto era cambiato nel giorno del suo quinto compleanno. Al fanciullo era stata diagnosticata una rara malattia debilitante, che lenta ma inesorabile aveva compromesso la sua mobilità, fino a costringerlo permanentemente a letto. Il bambino paffutello e sorridente di una volta non esisteva più, sostituito ormai da un ragazzino pelle e ossa, dal volto scavato e dall’espressione assente. I suoi occhi azzurri come il cielo d’estate, avevano ormai perso la brillantezza che li caratterizzava, mentre lunghi e sottili capelli castani gli ricadevano sulle spalle, incorniciandogli il minuto volto punteggiato da lentiggini, da cui sporgeva un piccolo naso all’insù e una bocca dalle labbra sottili. Carl aveva raggiunto i nove anni di età, ma quasi metà della sua vita l’aveva trascorsa in quel letto di ospedale, divenuto ormai la sua casa e la sua prigione. La rarità della patologia che lo affliggeva aveva reso impossibile trovare una cura in tempi brevi, lasciando il ragazzo e la sua famiglia con ben poche speranze. Mentre il tepore del sonno si diradava, Carl ripensava a tutto quello che aveva dovuto passare durante la sua breve vita, e a tutto ciò che avrebbe dovuto ancora passare rimanendo in quelle pietose condizioni. Che senso aveva vivere quando anche le attività più semplici e banali gli erano precluse? Che senso aveva vivere senza poter camminare all’esterno, facendosi accarezzare dalla brezza del vento o baciare dalla pioggia scrosciante? Carl era semplicemente stanco, stanco di combattere quel male terribile, stanco di vivere una vita che chiunque avrebbe faticato a definire tale. Il suo unico desiderio era quello di poter riposare, libero dalle catene che lo tenevano prigioniero, lasciandosi cullare dall’oblio per l’eternità. Lentamente il ragazzo chiuse le palpebre, i sensi si fecero via via più annebbiati, mentre il mondo intorno a lui disfaceva e si scomponeva, come se non fosse altro che un’illusione fatta di fumo. Il suo respiro, già debole, divenne sempre più fievole, fino a spegnersi del tutto. La macchina accanto a lui iniziò a produrre un lungo e penetrante suono, non dissimile ad un’elegia il cui compito era porgere gli ultimi saluti a quel povero ragazzo, il cui destino era stato segnato non concedendogli l’opportunità di vivere la propria vita e di essere il protagonista della propria storia. Alla fine non rimase altro che il freddo e il buio.

RisveglioCarl era alla deriva. La sua coscienza vagava senza meta in quello che sembrava essere un vero e proprio mare di tenebra, dove l’oscurità era talmente fitta da non lasciar penetrare alcuna luce. Niente più dolore, niente più amarezza o dispiacere, tutto sembrava essere finalmente sparito in quell’immenso oblio, capace di alleviare anche la più profonda sofferenza. Nonostante fosse ormai libero dalle catene che lo avevano tenuto prigioniero per buona parte della sua breve vita, Carl era triste. La sua tristezza veniva dalla consapevolezza di non aver mai avuto scelta, di essere stato costretto a percorrere dei binari che lo avevano portato a recitare il ruolo di comparsa nella storia in cui avrebbe dovuto essere protagonista. Tuttavia il suo dramma si era finalmente concluso, non c’era più motivo di rimpiangere il passato, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. Il dolce abbraccio dell’oscurità era tutto ciò di cui aveva bisogno. La staticità di quell’oblio senza inizio né fine venne improvvisamente perturbata, giusto un momento prima che anche l’ultimo fioco barlume di coscienza del giovane si spegnesse. Nelle tenebre si aprì uno squarcio da cui fuoriusciva una candida luce, calda e rassicurante. Una dolce melodia inondò l’oblio, la cui oscurità sembrava diradarsi, come se fosse aggredita dalla voce cristallina che accompagnava il motivo. Questa apparteneva ad una giovane fanciulla, dal timbro fragile come la rugiada mattutina, ma tenace come un’antica quercia. «Non arrenderti alle tenebre Carl, la speranza non ha ancora abbandonato il tuo cuore. Solo tu puoi aiutarci. Ti prego, non è più rimasto molto tempo!» La testa del fanciullo era attraversata da uno sciame di domande, le cui risposte sembravano fuori dalla sua portata. Chi era la ragazza che gli stava parlando? Da dove provenivano la sua voce e quella strana luce? Perché avrebbe dovuto cercare l’aiuto di qualcuno inutile come lui? Carl era nello smarrimento più totale, ma dentro di sé sapeva di dover fare qualcosa. Lasciarsi andare tutto alle spalle sarebbe stato certamente la soluzione più semplice, ma forse non quella più giusta. Tra le innumerevoli persone presenti nel mondo qualcuno aveva richiesto proprio il suo aiuto, come poteva rifiutarsi di offrirlo? Ignaro di ciò che gli sarebbe accaduto, Carl attraversò lo squarcio di luce, cercando disperatamente di raggiungere la dolce fanciulla, ovunque ella fosse.

La prima cosa che Carl riuscì a percepire furono gli odori. Un misto di fragranze a lui estranee gli attraversarono le narici, giungendo fino ai polmoni. Inspirando profondamente il ragazzo assaporò quel profumo insolito ma visceralmente familiare: era l’odore della natura incontaminata, delle piante e degli alberi, della foresta e degli abitanti che vi risiedevano, grandi o piccoli che fossero. Lentamente il giovane aprì gli occhi, lasciando che questi si abituassero alla luce solare. Le prime sensazioni avvertite furono confermate dalla visione che gli si aprì davanti: si trovava al centro di una piccola radura, circondata interamente da intricati alberi, dalle fronde così fitte da lasciar trasparire una manciata di raggi di luce. La sua schiena era poggiata al tronco dell’unico albero che punteggiava la radura, mentre il resto del suo corpo era adagiata sul manto erboso, ancora umido per via della rugiada del mattino. Nonostante non avesse idea di dove si trovasse, Carl era stranamente tranquillo. Quel luogo così diverso dalla stanza di ospedale in cui aveva passato innumerevoli giornate, lo rassicurava, trasmettendogli un gratificante senso di pace. La sorpresa di trovarsi nel mezzo di una foresta fu infinitamente minore rispetto a quella che il ragazzo provò quando i suoi occhi si posarono sul proprio corpo. Esso era ancora avvolto dal camice celeste che indossava all’ospedale, ma qualcosa era cambiato: i suoi arti prima sottili quanto fuscelli, adesso era più robusti, forti come quelli di qualunque ragazzino della sua età, mentre il resto del corpo era decisamente meno smagrito e più in carne. Un presentimento balenò nella testa di Carl, talmente assurdo da essere considerato impossibile, eppure qualcosa nella mente del ragazzo lo indusse a provare, per quanto riluttante fosse. Con estrema cura e lentezza il giovane cercò di muovere gli arti inferiori, che dopo un primo momento di scoraggiante immobilità, si spostarono, seppur di poco. Carl scoppiò in una risata di pura gioia, ricordando quanto piacevole fosse ridere spensieratamente. Quelli che in principio non erano altro che movimenti appena accennati, divennero presto sempre più evidenti, fino a tramutarsi in gesti rapidi e precisi, possibili solo a chi possedeva la totale mobilità degli arti inferiori. Tanto incredulo quanto entusiasta, il giovane cercò di alzarsi in piedi, sfruttando il solido tronco come appoggio. Nonostante le numerose incertezze nell’assumere quella postura così estranea, Carl riuscì a compiere quel gesto apparentemente semplice, ma che in quel momento gli costò enorme fatica. Compiendo lentamente un passo alla volta, il giovane riuscì ad allontanarsi dall’albero al centro della radura, portandosi al confine di quest’ultima, dove la prima fila di fronde si stagliava come una linea difensiva, quasi a voler proteggere l’interno della foresta. Quel momento per Carl fu come una seconda nascita, un risveglio da un brutto sogno, durato fin troppo a lungo. Al giovane non interessava minimamente dove si trovasse o perché fosse nuovamente in grado di muoversi, tutto quello che gli importava era godere con ogni fibra del proprio corpo di quella magnifica sensazione che era data dal semplice camminare. Con il sorriso stampato sul volto, il fanciullo superò i margini della radura addentrandosi in quella misteriosa foresta, desideroso di proseguire fino a quando le sue gambe avessero retto. Col tempo l’euforia che attraversava la testa di Carl si dissipò, consentendogli di riflettere più lucidamente sulla propria condizione e su ciò che gli stava attorno. La situazione in cui vessava non era certamente semplice: smarrito in luogo apparentemente ostile e sconosciuto, senza alcun indizio su dove si trovasse o cosa dovesse fare. L’unico elemento di cui disponeva era la dolce voce della fanciulla, colei che aveva chiesto il suo aiuto. Carl era assolutamente convinto di doverla trovare, ma non aveva alcuna idea del suo aspetto e della sua possibile ubicazione, cose che rendevano tutto estremamente più complesso. L’altro mistero era rappresentato dalla sua miracolosa guarigione, che non riusciva a spiegarsi in alcun modo. Più volte aveva ascoltato i medici parlare con i suoi genitori, realizzando quanto aggressiva fosse la sua patologia. Ancora una volta brancolava nel buio, impossibilitato ad ottenere risposte alle sue tante domande. Alla fine giunse ad una conclusione: doveva procedere per gradi, affrontando un problema alla volta. La sua priorità era quella di uscire dalla foresta, una volta fatto avrebbe pensato al resto.

Più si addentrava nella foresta più Carl diventava inquieto. Erano passate diverse ore da quando aveva lasciato la radura e ancora non aveva visto nessuna traccia di una possibile uscita. Quel luogo che prima gli infondeva tranquillità, adesso lo metteva a disagio, come se l’intera foresta lo stesse spiando. Il suo passo divenne sempre più scomposto, e più di una volta incespicò su una delle radici degli alberi, che sembravano quasi volerlo intralciare intenzionalmente. Nonostante fosse sicuro di star proseguendo dritto aveva l’impressione di girare in tondo, come se si trovasse all’interno di un labirinto. La cosa iniziò seriamente a preoccuparlo, e prima che se ne rendesse conto, si ritrovò a correre a perdifiato, ansimante e coperto di sudore. Dopo alcuni minuti di puro terrore, Carl individuò una schiera di alberi oltre la quale sembrava esserci uno spazio aperto privo di fronde. Ritenendolo come uno dei possibili confini della foresta, il giovane accelerò ulteriormente in tale direzione, desideroso di lasciare quello strano luogo il più velocemente possibile. La troppa veemenza del giovane unita alla stanchezza che gravava sul suo corpo, furono tali da farlo ruzzolare sul terreno dopo aver superato l’ultima fila di alberi. Dolorante ma sollevato per essere riuscito a fuggire da quel luogo, Carl rimase diversi secondi supino, con gli occhi sbarrati, mentre il suo respiro affannato si andava pian piano normalizzando. Aperti gli occhi il fanciullo si guardò intorno, in modo da capire dove si trovasse effettivamente. La caduta lo aveva disorientato, e ciò gli impedì di realizzare immediatamente cosa era successo. Davanti ai suoi occhi si apriva uno spiazzo erboso circolare, limitato dalla foresta. Al centro un unico albero si stagliava solitario. Il terribile senso della consapevolezza si abbatté su Carl come uno Tsunami: era tornato al punto di partenza, la radura in cui si era risvegliato. Aveva voglia di gridare e di piangere, ma la sua gola era stretta in una morsa e i suoi occhi completamente prosciugati. Claudicante si avvicinò all’albero centrale, allungando la mano destra per toccarlo, quasi sperando che tale gesto potesse dissipare l’illusione in cui era imprigionato. «Qualcuno mi aiuti…» Disse Carl con un filo di voce. «Hee, hee. Ti sei perso?» Pronunciò in tono beffardo una voce alle spalle del ragazzo. Carl si voltò immediatamente, allarmato da quelle parole. Davanti a lui si trovava la creatura più strana che avesse mai visto: aveva le dimensioni di un bambino, ma le similitudini con esso finivano lì. Indossava una cappa e un cappello rosso, che coprivano parzialmente lo strato inferiore di indumenti, composti da un materiale simile alla paglia, mentre tra le mani teneva un flauto di legno, di fattura piuttosto rozza. La cosa che però terrorizzava di più Carl era il suo volto, completamente in ombra, se non fosse per un ampio becco e degli inquietanti occhi gialli, simili ai fuochi di due lanterne circondate dall’oscurità. Esso stava in piedi su un ceppo, che non era presente nella radura quando si era svegliato. «T-tu chi sei?!?» Disse Carl arretrando fino ad appoggiare la schiena al tronco d’albero, visibilmente spaventato. «Io sono solo un’abitante di questi boschi. Tu invece non sembri appartenere a questo luogo… almeno per il momento hee, hee.» Disse la strana creatura con un ghigno malevolo sul volto. «Devi sapere che è molto pericoloso perdersi nei boschi, soprattutto per dei bambini come te. Cose assai spiacevoli potrebbero capitarti, io lo so bene hee, hee!» «S-se tu abiti qui, allora saprai di certo come uscire dalla foresta, v-vero?» «Certamente, io so tutto dei boschi… ma non lo farò.» Lo strano essere sembrava divertirsi particolarmente. «Posso fare qualcosa per farti cambiare idea? Devo trovare una persona, non posso perdere tempo!» Carl non si fidava di quel tipo, il suo atteggiamento sprezzante e saccente lo infastidivano, tuttavia esso rappresentava la sua unica possibilità per uscire da quel posto. «Effettivamente sono piuttosto annoiato. Potresti intrattenermi, magari rispondendo ad un mio indovinello!» Carl osservava perplesso il capriccioso individuo, mentre quest’ultimo accompagnava le proprie parole con gesti talmente articolati ed enfatici, da poter essere considerati quasi teatrali. Decise di stare al suo gioco per quanto la cosa non gli piacesse. «D’accordo. Risponderò al tuo quesito.» La misteriosa creatura restò in silenzio, limitandosi a sorridere maliziosamente. Poi dopo diversi secondi iniziò improvvisamente a parlare. «Corri veloce ma non sai dove andare, tutto sembra stranamente uguale; sarai bloccato qui per sempre, se l’allegra melodia non tieni a mente.» Carl capì immediatamente a cosa l’abitante della foresta di stesse riferendo. Si stava ancora prendendo gioco di lui e della sua incapacità di uscire da quel luogo. «Credo che tu stia parlando di questa foresta.» Anche se era certo della sua risposta, il giovane non riusciva bene ad interpretare la parte sull’allegra melodia. Era sicuro di non aver sentito nulla del genere, ma forse era stato troppo distratto per farci caso. «Esatto! Il Bosco Perduto è molto pericoloso per chi vi si addentra inconsapevole delle insidie che nasconde hee, hee.» «Ho fatto quello che mi hai chiesto, mi poterai fuori di qui?» «Effettivamente ho detto che lo avrei fatto, anche se…» L’essere aveva gli occhi puntati su Carl, come se non attendesse altro che una sua reazione di frustrazione, tuttavia quest’ultimo aveva compreso come gestire il lunatico individuo e pertanto si limitò a reggere il suo sguardo, impassibile. «Come sei noioso! D’accordo ti condurrò fuori di qui, tanto mi sono ormai stancato di te. Seguimi.» Così dicendo l’abitante del bosco scese dal ceppo su cui era stato fino a quel momento, iniziando a recarsi verso la vegetazione più fitta. Carl lo imitò a sua volta, speranzoso di essere finalmente in grado di abbandonare quell’inquietante luogo.

Attraversare la foresta fu più difficile del previsto: lo strano essere procedeva molto velocemente, destreggiandosi fra la vegetazione con grande agilità. Carl al contrario era lento e impacciato non essendo ancora abituato a camminare, specialmente in quel tipo di terreno. «Potresti rallentare, non riesco a…» «Basta parlare! Ascolta piuttosto.» Esordì bruscamente l’abitante del bosco, interrompendo Carl. Quest’ultimo inizialmente contrariato, decise di ascoltare più attentamente, proprio come gli era stato detto. In un primo momento tutto ciò che riuscì ad udire furono il rumore dei suoi passi e del suo respiro pesante, tuttavia dopo diversi secondi iniziò a percepire della musica, molto flebile, provenire dalla direzione in cui si stavano dirigendo. Sembrava un motivo molto allegro, e più procedevano avanti, più il suono si faceva intenso. Carl capì immediatamente che ciò che stava udendo era la stessa melodia menzionata dall’abitante della foresta nel suo indovinello. Quella era la chiave per orientarsi nel Bosco Perduto. Il ragazzo decise dunque di non aggiungere altro, così da non coprire la melodia che avrebbe dovuto condurli all’uscita. Dopo una decina di minuti l’abitante della foresta si fermò improvvisamente, davanti a lui si stagliava un grosso tronco d’albero cavo, poggiato per la sua lunghezza sul terreno. Sembrava essere una sorta di passaggio, ma Carl non aveva idea di dove potesse condurre. «Ci siamo, qui troverai alcune delle risposte che cerchi. Addio… ragazzo dell’altro mondo hee, hee!» «Altro mondo, di che stai parlando?!?» Carl che si era fatto avanti per esaminare meglio l’inusuale passaggio, si voltò in direzione della sua lunatica guida, ma quest’ultima era sparita senza lasciare traccia. Il giovane avrebbe voluto chiedergli il suo nome, per poterlo ringraziare, ma era ormai troppo tardi. Nuovamente solo, il ragazzo rifletté sulle parole dello strano abitante della foresta: quel posto era certamente strano, ma possibile che si trovasse perfino in un mondo diverso dal proprio? Con rinnovata decisione Carl si addentrò nel tronco cavo, aveva bisogno di quelle risposte.

Fine della prima puntata