Recensione

Sideway: New York

Avatar

a cura di musehead

I platform sono rinati. Evviva i platform! Ovviamente parliamo di quelli bidimensionali, nella meccanica o nella grafica, che sembravano destinati ad essere fagocitati e che invece sono tornati con grande fulgore sulle piattaforme virtuali. Fra tutti gli esperimenti che ne sono scaturiti, è lecito attendersene anche qualcuno poco felice. 

La via digitale 
Il nuovo segmento di distribuzione online dei giochi ha permesso a tante compagnie senza grandi mezzi di proliferare, innescando l’esplosione del fenomeno indie. In realtà, il team dietro Sideway: New York, per quanto rimanga una realtà di modeste dimensioni, cerca di seguire un’organizzazione più professionale, al punto che la realizzazione di questo platform ha conosciuto la collaborazione di ben due compagnie esterne e l’ingaggio di un artista professionista per la preparazione della soundtrack. Lo sviluppatore si chiama Playbrains ed è stato coadiuvato dalla Fuelindustries e dalla Wildbrain per questo titolo che ha conosciuto il suo debutto sul Playstation Network della Sony ad Ottobre e che solamente da poco è sbarcato sui lidi Steam per offrirsi alla comunità PC
Bidimensionale sì, tridimensionale pure 
Dopo le meraviglie di Braid, le conferme dei nuovi Mega Man, la poesia di Limbo e la magnificenza di Rayman Origins sembrava quasi lecito convincersi che tutto andasse da sogno per gli appassionati di questa longeva categoria videoludica, sia quando i designer cercavano di inventarsi qualcosa di inedito sia quando provavano a ripristinare emozioni lontane. Sideway: New York prova ad imporre qualcosa di ulteriormente nuovo. La trama ci racconta di questo nostro avatar chiamato Nox che viene risucchiato nel mondo dei graffiti metropolitani, in un universo piatto come non mai “in cui il colore può uccidere”, come gentilmente ci spiega il nostro tutor virtuale. Com’è potuto accadere? Colpa dell’acerrimo rivale di Nox, graffitaro come lui, chiamato Spray e dotato, evidentemente, di poteri ben più temibili di quelli di una bomboletta, e non poteva che rapire anche la ragazza di Nox, giusto per non farci mancare nessun cliché.Fatto sta che la prigione di muri e colori diventa l’occasione per inventarsi un gameplay atipico, almeno relativamente. Il movimento del nostro character è vincolato alla parete sulla quale viene a trovarsi ed un tubo, un condizionatore o un rilievo qualsiasi diventa insormontabile. Ogni edificio, tuttavia, ha più lati e giungendo all’estremità di una parete sfoceremo sull’altra, come se cambiassimo schermata. E’ molto interessante, però, come questo valga per tutte le “facce” degli edifici, comprese quelle superiori, nelle quali cambia anche la bizzarra forma di gravità implementata, la quale è relativa unicamente all’inquadratura. L’accesso al tetto, però, può avvenire da diverse pareti ed in base a queste ultime cambierà l’orientamento della schermata. Concetto non di immediata comprensione, ma provate ad immaginare il tetto di un edificio con un disegno: ce lo troveremo di fronte da una prospettiva diversa in base al lato dal quale abbiamo scalato. Metteteci delle piattaforme ed avremo un’idea di come funzioni Sideway: New York. Il gioco, in questa maniera, riesce a trarre profitto anche dalla tridimensionalità, seppure incidente in maniera solo marginale nello spostamento. 
Spruzzi di colore ed hip-hop 
I presupposti già enucleati non fanno che reclamare uno stile grafico che sia d’uopo. L’impegno profuso appare da subito massiccio, al punto che vien da domandarsi se non sia stata l’idea sulla grafica a tirarsi dietro il resto del progetto piuttosto che il contrario. Il disegno di Nox e dei nemici ricalca molto da vicino i tratti tipici dei graffiti metropolitani, con colori molto accesi ed un look acido nel quadro generale, linee comprese. Anche gli elementi dello scenario sono molto curati e ricchi di dettaglio ed ogni singola piattaforma si configura come uno schizzo sorprendentemente elaborato. La corrente seguita è talmente peculiare e invadente che, tuttavia, sussiste il rischio che finisca col dispiacere a chi non ne è un cultore, evenienza assai più probabile nel pubblico europeo che americano. Per quanto concerne le animazioni, invece, non si può che constatare la loro ordinarietà, costituita da un numero contenuto di fotogrammi che solo raramente, e prevalentemente in occasione dei boss, risaltano per la riuscita. Non funziona molto bene l’amalgama tra fondali ed elementi attivi, troppo poco differenziati e che tendono a camuffarsi l’uno con l’altro per comunanza di colorazione, troppo poco contrastata, ed è un problema non secondario considerando che alcuni elementi veramente poco distinguibili sono letali per il nostro avatar. L’impressione finale è che il buono spunto di partenza non sia stato gestito saggiamente e che finisca col risultare pedante nel bilancio complessivo. 
Discorso molto similare per quanto concerne il reparto audio: gli effetti sonori sono nulla più che funzionali e sono del tutto assenti i dialoghi, opportunamente dato che striderebbero con l’espressione artistica di riferimento, certamente più debitrice verso il fumetto. Quel che non va è la colonna sonora, che pure si avvale di una firma di relativo prestigio, quella di Mr. Lif, artista hip-hop statunitense attivo da oltre un decennio. L’opera dell’americano, infatti, calza male alla funzione di accompagnamento e prevale la sua costituzione da “pezzo” tradizionale. Si tratta, inoltre, di un hip-hop abbastanza hardcore, palesemente rivolto ad una nicchia di pubblico e che mal si presta ad un ampliamento dell‘audience come quello richiesto da un platform game tutto sommato abbastanza generalista. Il martellamento acustico sofferto dai meno avvezzi a questa tipologia di hip-hop, infine, rischia di aggravarsi a causa della ristretta proposta di brani che sfociano in un loop potenzialmente più che fastidioso. 
Per concludere, l’intera produzione pare molto più sbilanciata verso il modello di pubblico americano piuttosto che europeo, distante dalla corrente ultrametropolitana e umoralmente più affine al profilo del platform di matrice nipponica. 
Lo stile è nulla senza il controllo
Analizziamo il “gioco giocato” partendo da un handicap ingiustificabile: senza un controller X360 è possibile utilizzare solo la tastiera. E’ ingiustificabile perché, beffardamente, Sideway: New York è stato un’esclusiva Playstation 3 e perché l’impossibilità di sfruttare una periferica da gioco configurabile è una mancanza da titoli per DOS degli anni Ottanta. Considerando che la mappatura dei controlli richiede l’utilizzo di numerosi tasti ciò pesa ancor di più. Le contorsioni richieste saranno necessarie per venire a capo delle schermate di gioco.
In una visione d’insieme, il gameplay di Sideway: New York non sembra ispirato in maniera paragonabile al lato tecnico, perdipiù, come in quest’ultimo, si ha la sensazione che all’impegno non sia seguita una grande competenza. Nox può saltare, effettuare scivolate, attacchi dall’alto, attivare piattaforme col suo fido spray ed altro ancora, ma alle numerose azioni possibili non corrisponde un’implementazione creativa né da parte dei designer né del giocatore: ogni volta che bisognerà adottare una particolare strategia ci verrà puntualmente segnalato dal nostro tutore e l’estrema rigidità nelle meccaniche ci impone affrontare il problema sempre e solo secondo quanto previsto dagli sviluppatori. Si avverte un senso di costrizione irritante nel dover seguire un pattern molto ben definito, ancora di più quando bisogna sorbirsi il “messaggio dalla regia” sul come andare avanti non appena si tenta di usare la fantasia. L’azione, inoltre, fallisce nel restituire una sensazione di fluidità, ed in questo la tastiera poco aiuta, e l’avanzamento tra le piattaforme risulta talvolta macchinoso alla pari dei combattimenti. 
Luci ed ombre per quanto riguarda i nemici: mentre i boss sono ottimamente disegnati ed animati, oltre che stilisticamente meritevoli, gli avversari “standard” sono di qualità trascurabile tanto nel tratto quanto nell’opposizione che ci ostentano, vincolata a script poco evoluti (movimento perpetuo destra-sinistra, fuoco a intervalli regolari e così via). Per superare le varie schermate, insomma, bisogna pensare poco (anche perché verremo informati sul da farsi dopo qualche fallimento) ed azzeccare il timing esatto per innescare la trafila di tasti da premere sulla tastiera. Manco fosse Guitar Hero
Purtroppo, neanche la durata dell’esperienza risalta per meriti, dato che consta di quattro livelli principali suddivisi in altrettante sezioni ciascuno, tutte molto simili fra loro e caratterizzate da un tasso di sfida più che sormontabile in virtù di checkpoint molto ravvicinati.

Stile molto ricercato

Colonna sonora d’autore

Gameplay molto rigido

Troppi nemici anonimi

Senza pad X360, i controlli sono insoddisfacenti

Per molti l’audio risulterà invadente

5.0

Sideway: New York è un prodotto vincente solo su carta. Il peculiare tratto grafico funziona come idea, ma si spreca disegnando nemici spesso anonimi e elementi troppo impastati col fondale; alla stessa maniera, nelle musiche lo sfruttamento della firma dell’artista Mr. Lif è criticabile per le poche tracce presenti che non tardano a divenire petulanti, per quanto possano essere accattivanti per gli amanti della cultura hip-hop e metropolitana. La giocabilità soffre di meccaniche rigide che patiscono l’input da tastiera, inevitabile per tutti coloro i quali non sono muniti di controller X360.

Voto Recensione di Sideway: New York - Recensione


5