Recensione

One Piece Burning Blood

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a cura di JinChamp

Se siete degli appassionati delle avventure di “Rubber” Cappello di Paglia e della sua ciurma sulle reti Mediaset, vi consigliamo da subito di stare alla larga da questo articolo e dal gioco in oggetto, poiché gli spoiler vi rovineranno senza alcun dubbio alcune delle novità più entusiasmanti che si siano viste in oltre 800 capitoli del manga. Se invece siete dei veri amanti dell’opera di Eichiiro Oda e del suo capitano Mugiwara no Rufy, sarete contenti di sapere che Bandai Namco ha finalmente portato sulle nostre piattaforme di gioco un nuovo titolo dedicato a One Piece, che abbandona il genere musou della serie Pirate Warriors e abbraccia quello del picchiaduro, sulla falsariga dei “cugini” Ultimate Ninja Storm della serie Naruto. One Piece Burning Blood arriva come chiaro fan service, purtroppo però non siamo così convinti che tutti saranno soddisfatti del risultato finale.
Ormai a Marineford c’abbiamo la residenza
Partiamo subito da una delle note positive di questa produzione: i contenuti. One Piece è una garanzia, e chi lo ama lo sa benissimo. La possibilità di rivedere su schermo e poter controllare direttamente tutti i personaggi principali della serie, rappresenta una gioia che solo chi ha seguito il manga dagli inizi fino ad oggi può comprendere totalmente, e ci risulta anche abbastanza improbabile che qualcuno riesca a restare impassibile davanti a tutta la cura e il carisma che trasudano ogni singolo personaggio, ogni ambientazione, ogni tecnica. In questo i ragazzi di Spike Chunsoft, già noti soprattutto per i loro giochi dedicati a J-Stars Victory, hanno avuto la grande fortuna – nonché l’onere – di trovare il loro personalissimo One Piece, inteso come il tesoro leggendario. Parlando invece di modalità, troviamo la classica esibizione e, adibita a storia, la Guerra Suprema, divisa in quattro episodi piuttosto brevi, dedicati nell’ordine a Rufy, Edward Newgate, Akainu ed Ace. Qui viene raccontata per l’essesima volta la guerra tra i pirati di Barbabianca e la Marina, volgendo l’attenzione in particolar modo su questi quattro personaggi. Le missioni non richiedono in ogni caso la vittoria ma, in rare occasioni, anche di resistere fino al tempo limite, mentre altre secondarie offrono un aumento del livello di sfida per poter sbloccare ulteriori personaggi. Sulla falsa riga di quest’ultime troviamo una modalità a parte, VS Ricercato,  con sfide a tratti frustranti per l’estrema difficoltà, di cui approfondiremo tra un momento.
Molta attenzione è stata riservata al comparto online, a cui sono state destinate ben due modalità: una classica e una denominata Bandiera Pirata. Se la prima non ha bisogno di molte spiegazioni, la seconda si è rivelata un’autentica sorpresa, vista come una lotta della community per il dominio dei mari. Ogni giocatore è libero di affiliarsi a una qualsiasi delle 16 fazioni presenti, navigare tra le varie locations spendendo punti Logpose, che si autoricaricano nel tempo, e battagliare sia contro entità mosse dalla cpu sia contro giocatori reali per guadagnare reputazione per sé e per il proprio schieramento, così da scalare le classifiche globali.
“Gear… FOURTH!!”
Che la volontà di Bandai Namco fosse quella di puntare alle tasche dei milioni di fan è stata chiara sin da subito, in particolar modo guardando la campagna di marketing intrapresa da diversi mesi a questa parte. Chiunque abbia visto anche solo un trailer non ha potuto fare a meno di notare che l’accento veniva posto sulle attualissime battaglie di Dressrosa contro Donquijote Doflamingo, con Sabo, fresco di Mera Mera, e Rufy, in forma Gear Fourth Boundman, sugli scudi. Nessuno, neanche chi scrive, avrebbe potuto mai resistere alla tentazione di immedesimarsi nei personaggi mentre si esibiscono nelle loro ultime e super esaltanti tecniche. E’ impossibile negare che sia venuto un principio di ASRM scagliando una portentosa King Kong Gun regalando pura soddisfazione da otaku. Ciò che invece dispiace, e molto anche, è vedere quanta superficialità sia stata riservata al gameplay, proprio l’elemento su cui tutti i videogiocatori riponevano le maggiori speranze. Se credevate di rivedere le meccaniche utilizzate dai Cyberconnect2 nella serie dedicata al ninja della Foglia, resterete molto delusi, poiché il risultato è tutt’altro che fluido e appagante.
Tutto viene gestito con pochi tasti, in maniera anche semplice e intuitiva. Gli attacchi concatenati sono tutti riservati alla pressione del tasto quadrato (riferedoci ad un dual shock 4), di cui è presente solo una variante a distanza abbassando la levetta analogica sinistra, mentre con triangolo troviamo la mossa personale, spesso dedicata agli attacchi a media distanza. Vagamente interessanti, almeno per l’idea di base, sono i comandi dedicati agli altri personaggi, che siano esclusivamente di supporto o da cambiare in corso d’opera durante il combattimento, i quali offrono delle combo sia offensive che di contrattacco. Ciò che rovina veramente tutto è la parata, un elemento quasi alieno e incapace di incastrarsi nel puzzle del gameplay, ma che si impone con forza fino a smussare e rompere gli altri elementi della composizione. Con la pressione del tasto cerchio si è praticamente immuni alla quasi totalità degli attacchi, eccezion fatta per i rompi-difesa, ovviamente. Il problema è che questi riescono molto spesso ad essere contrattaccati, per via del delay di almeno mezzo secondo dell’animazione addirittura evidenziata da un chiaro bagliore caratteristico. In questo modo, prima che la mossa faccia effettivamente presa col bersaglio, risulta fin troppo semplice per l’avversario concatenare una serie di combo e portare a casa lo scambio di colpi, uscendone addirittura illeso e con il coltello dalla parte del manico. Se a questo aggiungiamo che ogni personaggio ha un suo livello di potenza (allenabile giocando), ci troviamo davanti a scontri che perdono molto quell’adrenalina e spettacolarità tipiche di One Piece. Il risultato è un gameplay molto legnoso e macchinoso. D’altra parte però si può chiudere un occhio tra l’esaltazione scaturita dalla positiva riuscita delle abilità caratteristiche, che trasmettono una potenza stratosferica e l’emozione che viene amplificata da un forte senso di immedesimazione.
Le battaglie possono essere in pratica di tre tipologie: difese ad oltranza che culminano in tempestive quanto devastanti controffensive, matchup assolutamente squilibrati contro personaggi in grado di bombardare letteralmente da una parte all’altra dell’arena in tutta sicurezza, e infine scontri a senso unico a causa della differenza di livello tra i personaggi. Vi basti provare una delle taglie dai 300 ai 500 milioni di berry, o anche una delle apparentemente semplici missioni secondarie nella Guerra Suprema. Se pure riusciste ad assediare il vostro avversario concatenando un buon numero di combo complete, vi potreste ritrovare col sedere per terra nel giro di qualche secondo non appena l’altro avrà sfruttato quell’unica e minuscola occasione per inanellarvi 3 o 4 attacchi, mandandovi da full vita a zero. Viceversa, quale potrebbe mai essere il divertimento nel battere un avversario notevolmente sottolivellato paragonabile a un mobbino di un musou? E pensare che era proprio quello che l’utenza chiedeva di evitare, a cui si aggiungono anche movesets molto più limitati rispetto a quelli visti in Pirate Warriors 3. Sia perché ogni personaggio ha la sua combo standard affidata a un solo tasto, sia perché le altre varie abilità sono in molti casi così difficili da piazzare da scoraggiarne l’utilizzo. Quando si dice “oltre al danno la beffa”…
Per quanto concerne l’aspetto tecnico della produzione, non siamo molto lontani dal livello del recente cugino action della saga. Considerando che qui non c’era neanche la necessità di gestire mappe estese e orde di nemici, era logico aspettarsi una cura maggiore nei dettagli, nei modelli dei personaggi e nelle ambientazioni. Il cel shading è per sua natura molto affine al mondo giapponese di anime e manga, ma se prendiamo come termine di paragone anche in questo caso la serie Naruto, non si può negare una certa delusione per un risultato che poteva essere ancor più delizioso per gli occhi,  e che invece è segnato da modelli simil plasticosi contornati da tratti neri molto più marcati del dovuto. Abbastanza stabile il framerate, anche se tristemente limitato a 30FPS (almeno per la versione PS4), e buono il netcode, privo di lag significativi. Sul sonoro forse si poteva osare un po’ di più, con musiche di accompagnamento piacevoli ma che non riescono a rievocare quelle della serie animata, di ben altra caratura.

– One Piece è sempre One Piece

– Bandiera Pirata dovrebbe coinvolgere la community

– Alcune meccaniche sono idealmente valide…

– Tecnicamente c’è ancora tanto da fare

– Guerra Suprema è limitata solo a Marineford

– Il roster è meno ampio di quanto non sembri e i moveset sono ridotti all’osso

– … il gameplay è affetto da evidenti problemi di sbilanciamento e di fluidità

6.0

Spike Chunsoft purtroppo non è riuscita ad onorare il brand One Piece con il suo picchiaduro Burning Blood, e questo non può che dispiacere un po’ tutte le parti in causa. A spunti interessanti, come la modalità Bandiera Pirata o alcuni elementi del gameplay, viene corrisposta una realizzazione tecnica e meccanica troppo superficiale, che ne pregiudica il risultato e lascia un amaro retrogusto. Anche se è vero che questo è un videogioco rivolto alla fanbase dell’opera del maestro Oda, e che chi lo comprerà riuscirà a ritenersi comunque in qualche modo soddisfatto, non è possibile incoraggiare più di tanto iniziative del genere ma, al contrario, ci sarebbe sembrato opportuno puntare su un prodotto di alta qualità e non soltanto sul mero fan service.

Voto Recensione di One Piece Burning Blood - Recensione


6