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Recensione

Never Alone

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 20/11/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Le tradizioni radicate della comunità Iñupiaq, la sua incredibile storia e il suo particolare folklore sono oggetti di mistero per la maggioranza degli essere umani. A lungo il popolo dei ghiacci ha cercato di preservare la propria memoria, fino a lottare strenuamente per affermare un’indipendenza e un’identità culturale spesso non capite dall’uomo moderno, e là dove i nativi dell’Alaska conducono una vita completamente diversa da quella a cui siamo abituati, fiorisce un profondo senso di simbiosi con la natura che ormai tutti hanno perso. Kunuuksaayuka è solo una delle innumerevoli storie tramandate dalle tribù di indigeni alle generazioni future, ed è anche il racconto semplice che fa da sfondo a Never Alone, sviluppato con orgoglio da Upper One Games, primo studio fondato da alcuni membri di questa comunità.
Una ragazza e la sua volpe artica
La portata culturale dell’opera è chiara fin dall’inizio, e viene continuamente affermata per tutto l’arco dell’avventura grazie a dei video-documentari che arricchiscono la conoscenza su usi e costumi degli Iñupiat. I ventiquattro filmati vengono sbloccati progressivamente mentre si gioca, con un invito costante a guardarli, come a voler sottolineare l’importanza degli eventi collegati alle tradizioni tipiche di questo popolo. I video hanno un taglio molto professionale ed è evidente sin da subito la grande cura con cui sono stati confezionati; tuttavia, la stessa cosa non può si può dire del gioco vero e proprio, di qualità certamente inferiore e ben lontano dall’immagine dorata di piccola perla che è riuscito a crearsi fino a oggi. 
Nuna è una ragazzina che parte dal suo villaggio, determinata a scoprire l’origine e la causa di una tempesta di neve che sembra non voler terminare più. Ben presto incontra un’adorabile volpe artica, piccola compagna di avventura che l’aiuta a superare gli ostacoli che il clima impervio ha creato lungo il cammino. Nasce così una forma di cooperazione che è parte integrante del concept di gioco, che prevede e anzi invita a giocare assieme a un amico, così da collaborare e rendere meno amaro il continuo cambio di prospettiva a cui si deve far fronte conducendo il gioco in totale solitudine. Il passaggio da Nuna al piccolo animale diventa infatti d’obbligo quasi per ogni ostacolo da superare, ma sebbene questa meccanica abbia una sua logica e permetta di sfruttare a proprio vantaggio la diversa stazza dei due personaggi, lo sviluppo dell’idea rivela quasi immediatamente la critica macchinosità delle sue meccaniche. A questo, bisogna aggiungere un’intelligenza artificiale alleata che complica spesso le cose, col comprimario che si limita a seguire le nostre orme (e imitare gli stessi movimenti) anche quando non dovrebbe. La volpe può arrampicarsi in punti più alti e far calare una corda dall’alto, o passare attraverso delle strettoie per raggiungere una zona sicura e dare una mano alla ragazzina; Nuna, invece, può solo saltare e usare delle speciali bolas per sgretolare grossi blocchi di ghiaccio. Verso tre quarti del gioco, per via di un evento inaspettato, le abilità e l’area di movimento dell’animale cambiano completamente, peggiorando a dismisura la godibilità di gioco per via di un’esasperante lentezza durante lo spostamento attivo delle piattaforme, che rende inutilmente complicato e frustrante ciò che a ben vedere avrebbe potuto essere di una semplicità disarmante.
La tempesta del secolo
A risentirne sono soprattutto i ritmi di gioco, che risultano essere oltremodo rallentati senza una reale ragione; inoltre, c’è da considerare un altro fattore che di certo non aiuta, ossia una certa imprecisione dei controlli, spesso impacciati, che rendono meno fluidi movimenti basilari come la giravolta o il salto improvviso all’indietro. Il codice di gioco avrebbe poi necessitato di una ripulitura finale capace di eliminare bug e glitch, perché allo stato attuale, Never Alone soffre di qualche compenetrazione e di comportamenti innaturali da parte dei personaggi, soprattutto quando atterrano in punti non previsti dal gioco. Niente di eccessivamente grave o umiliante, ma considerata la grandissima semplicità del design dei livelli (tutti molto prevedibili e con strutture prive di arzigogoli), riuscire a risolvere questi problemi prima dell’uscita era un obbligo che non avrebbe portato via troppo tempo agli sviluppatori, che hanno tra l’altro dovuto rimandare la versione PS4 di una settimana. 
La mancanza di varietà è un altro problema non da poco, per Never Alone: per tutto l’arco dell’avventura, al giocatore verrà chiesto di superare sostanzialmente due tipi di sezioni, che vengono reiterate sin dall’inizio con timidi cambi di facciata. Si saltano piattaforme e si superano ostacoli ottenendo il massimo dalla collaborazione tra i due personaggi, e si scappa da un orso polare o da un altro nemico che evitiamo di rivelare per ovvi motivi. Il tutto, per circa tre ore di gioco circa, al termine delle quali non avrete la voglia di ricominciare una storia che ha già detto veramente tutto. Artisticamente i guizzi della cultura dei nativi d’Alaska si fanno sentire, e non mancano degli splendidi artwork in movimento a inframmezzare la storia, narrata nell’affascinante lingua locale che sembra venuta fuori da un tempo antico e dimenticato, dove la saggezza dei capi tribù sembrava essere l’unica fonte di verità dalla quale attingere. Le atmosfere magiche – quasi mistiche – e le stupefacenti note folkloristiche che approfondiscono la storia oralmente tramandata (Kunuuksaayuka), sono valori aggiunti non da poco. Giusto per fare un esempio, il verde corallo dell’aurora boreale, secondo le antiche credenze Iñupiaq, è in realtà l’alone irrequieto dei fantasmi di bambini morti, capaci di staccare le teste dei più piccoli per giocarci a pallone qualora costoro fossero sprovvisti del cappuccio che li ripara dal gelo. Never Alone rappresenta questi spiriti in una particolare sezione di gioco, per poi mostrarvi il filmato in cui un indigeno ne racconta la genesi. C’è tanto fascino, in Never Alone, ma anche tanta amarezza nel constatare che sotto la superficie c’è davvero poco in grado di lasciare il segno. Ciò che resta di questa coraggiosa opera è la grande nobiltà d’intenti, che mira a dare dignità, attraverso il medium videoludico, a una cultura troppo spesso poco considerata, ma che ha tanto da offrire e da insegnare a ciascuno di noi. Quello di Upper One Games è un videogioco culturale capace di avere una cura encomiabile per quanto riguarda la qualità dei contenuti extra-ludici, che apre una finestra in un mondo che merita di essere scoperto, apprezzato e capito. Peccato che pad alla mano, nonostante l’innegabile dolcezza del comprimario a quattro zampe, ci sia poco di veramente sostanzioso o quantomeno apprezzabile. Anche i giochi semplici, talvolta, possono avere problemi complessi.

– Un vero e proprio videogioco culturale

– Memoria storica di un intero popolo e narrazione interattiva in perfetta simbiosi

– Contenuti extra-ludici superbamente realizzati

– A tratti, la prova artistica è molto buona

– Sistema di controllo legnoso

– Meccaniche di gioco lente e mal implementate

– Presenza di bug e glitch

– Game design debole e sottotono

7.0

Never Alone è presentato in maniera magnifica e sa bene come dare rilevanza all’aspetto più importante della produzione: la diffusione della cultura Iñupiaq. Il gioco è interamente basato su questa forte volontà di affascinare, incuriosire e far conoscere un mondo molto distante da quello moderno. Tuttavia, è proprio la parte che più ci interessa a essere piuttosto anonima, con scelte di design non proprio felici, qualche legnosità di troppo nel sistema di controllo e un design dei livelli sin troppo elementare e per nulla esaltante.

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