Recensione

Metal Gear Rising: Revengeance

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a cura di Pregianza

“Il troppo stroppia”, è concezione comune. Portare all’eccesso qualcosa conduce spesso a strabordare, ad uscire da canoni sicuri provocando un caos indicibile capace di mandare all’aria tutti i progetti fatti fino a quel momento. Ben ancorati a questo tabù, non avevamo grosse speranze per Metal Gear Rising: Revengeance dopo le dimostrazioni osservate alle varie fiere e la prova della demo. Il gioco sembrava discretamente solido, ma non all’altezza di alcuni grandi esponenti del genere action e privo di quella scintilla distintiva che rende un sistema di combattimento davvero eccezionale. Pur consapevoli dell’abilità dei Platinum Games in questo campo, abbiamo dunque approcciato il progetto con un atteggiamento più pessimista del solito.  
Lezione numero 1: sempre meglio aspettarsi l’inaspettato. Dopo un paio di ore di gioco, eravamo incollati allo schermo felici e urlanti come bambini. Raiden ha fatto completamente a pezzi i nostri preconcetti , e si è dimostrato in grado di ricoprire egregiamente la parte del protagonista in uno dei videogame più fuori di testa mai creati. Vediamo insieme perché.
La glorificazione dell’eccesso
Precisiamo subito una cosa. Cercare di seguire la narrativa in Rising è come tentare di ascoltare la lettura di un saggio durante un rave party. Le persone nelle immediate vicinanze possono vedere il tizio che legge, e intuiscono che nello scritto tra le sue mani c’è qualche concetto intelligente, ma in sottofondo c’è un tale casino che l’unica soluzione è ignorarlo e mettersi a ballare.
Pur tenendo in considerazione questo fattore, una persona particolarmente attenta può però notare che la storia di Rising è calcolata dannatamente bene. Meglio dimenticare i balletti visti in Bayonetta, o il blando plot di Vanquish, i Platinum sembrano aver lavorato duro sullo script e hanno quasi sicuramente collaborato con Kojima e compagnia bella per tirar fuori personaggi e dialoghi di una certa qualità. 
Non aspettatevi una trama estremamente complessa o indimenticabile, l’avventura inizia cronologicamente dopo Metal Gear Solid 4, e vede semplicemente Raiden impegnato a fermare i piani di una misteriosa compagnia di mercenari chiamata Desperado Enforcement in un turbinio di battaglie ed eventi semi-apocalittici. Eppure in mezzo a questa linea narrativa disossata non mancano i tocchi di classe e le tematiche interessanti, così come molteplici sono i collegamenti diretti ai capitoli “veri” della saga.
Certo, ci sono cadute di stile pesanti qua e la, e l’indicibile brodo primordiale di esplosioni, scene improponibili e combattimenti in cui il giocatore viene buttato rende difficile appassionarsi ai temi proposti, ma, in quei brevi attimi in cui la storia e i suoi protagonisti attecchiscono, Rising riesce a stupire senza prendersi troppo sul serio.
Furia action in salsa nipponica
Il gameplay in un action game hack n’ slash è fondamentale, si tratta dopotutto di un elemento che nella stragrande maggioranza dei casi sorregge l’intera baracca, studiato nei minimi dettagli per essere abbastanza accessibile e al contempo incredibilmente complesso. Tra i Platinum c’è l’uomo che praticamente da solo ha posto le basi per le meccaniche attuali dei giochi di questa tipologia, Hideki Kamiya, ma il contributo di questo geniaccio in Rising è stato purtroppo solo spirituale. Kenji Saito, game director designato, non ha tuttavia buttato all’aria gli insegnamenti del maestro e ha deciso di costruire un sistema di combattimento basato almeno in parte su di essi, anche se sostanzialmente diverso. 
La struttura è quella vista nei Devil May Cry e in Bayonetta: le combinazioni sono molteplici e mutano a seconda della tempistica dei colpi e della direzione dell’attacco. C’è un sistema di targeting piuttosto preciso che fissa il bersaglio più vicino facilitando l’esecuzione di mosse specifiche sul suo povero grugno, la velocità delle combo è elevatissima, e le manovre difensive richiedono un tempismo notevole, perché i comandi ad esse dedicati garantiscono pochi frame di invincibilità. Proprio nella difesa iniziano a mostrarsi le prime grandi differenze, perché in Rising il principale strumento da utilizzare per evitare di venir fatti a brandelli dai nemici non è la solita schivata, bensì una parata, che costringe a spostare rapidamente l’analogico in direzione contraria al colpo nemico e di premere al volo l’attacco leggero per essere attivata. Le novità non finiscono qui, infatti al posto delle tipiche manovre evasive è stata introdotta la Ninja Run, una corsa acrobatica che permette al protagonista di superare automaticamente gli ostacoli e di spostarsi come un fulmine sul campo di battaglia. Infine, la meccanica più unica dell’insieme e quella che più di ogni altra distingue questo prodotto dalla massa è il Blade Mode, una speciale modalità attivabile con l’ausilio di una barra dell’energia, che permette di rallentare il tempo e tagliare a piacere qualunque cosa ci si pari davanti.
Si tratta di un sistema molto corposo, frenetico e capace di dare soddisfazioni, ma non privo di difetti. A livello di combinazioni Revengeance non offre una varietà eccessiva, specialmente nelle armi secondarie, che vanno spesso a sostituire attacchi più efficaci eseguibili con la spada primaria. Le serie di colpi aeree e quelle complesse a terra sono ancora attuabili, ma gran parte dei nemici sono dotati di armatura o estremamente pesanti, ed è pertanto difficile eseguire su di loro attacchi acrobatici molto variegati. La parata, dal canto suo, rappresenta un’altra parziale debolezza. Nonostante la finestra in cui inserire l’input sia piuttosto ampia e la risposta dei comandi spesso e volentieri molto precisa, con tanto di possibilità di eseguire una “perfect parry” con contrattacco istantaneo annesso, si tratta di una manovra poco funzionale contro larghi gruppi di nemici, perché lascia Raiden immobile per qualche istante e permette ai presenti di circondarlo facilmente. La breve invulnerabilità della mossa garantisce di difendersi da attacchi contemporanei, ma la schivata classica risulterebbe una soluzione migliore in molte situazioni, inoltre si è spinti a usare quasi esclusivamente combinazioni rapide con la katana per avere sempre la possibilità di interromperle con una parry, portando quasi tutti gli scontri a ruotare attorno ad essa. 
La Ninja Run e il Blade Mode sono invece accorpati meglio nell’organismo. Gran parte delle boss fight sono state adeguate all’uso della prima, con attacchi ad area poderosi, ma prevedibili e schivabili con una corsetta al momento giusto. L’uso ravvicinato della lama di Raiden è a sua volta ben congegnato, può venir sfruttato per allungare le combo cancellando le animazioni e ha permesso ai programmatori di sbizzarrirsi con combattimenti che ne richiedono l’utilizzo saltuariamente per rendere innocui proiettili giganteschi in arrivo o sferrare un preciso assalto ad uno dei punti deboli del nemico. 
Goemon Ishikawa style
Possiamo capire che le mancanze descritte poco sopra possano sembrare misere rispetto ai lati positivi, ma il combattimento in Rising presenta un altro crudele difetto. E’ una passeggiata. Raiden è l’incarnazione stessa del personaggio overpowered, un cyborg devastante che può fare a pezzi qualunque cosa si ponga sul suo cammino. Ci sono molti tipi di antagonisti nel gioco, ma selezionando la difficoltà normale la loro aggressività è piuttosto limitata, e qualunque ostacolo viene annullato dalla possibilità di utilizzare la tecnica Zan-datsu per rigenerarsi. Tale manovra permette al nostro eroe di recuperare tutti i punti vita e l’energia della spada semplicemente tagliando un malcapitato nella zona in cui si trovano le sue celle di energia (comodamente visibile grazie a un indicatore che appare durante il Blade Mode), una capacità fin troppo poderosa che rende qualunque scontro nel quale ci siano soldati “leggeri” fin troppo permissivo. Non parliamo poi del Jack The Ripper Mode, uno status che rende il cyborg ninja una macchina da guerra inarrestabile attivabile con il massimo dell’energia, davanti a cui anche il più corazzato dei problemi si disintegra in una manciata di secondi.
Tale dilemma potrebbe sminuire il lavoro di Platinum Games agli occhi di molti, ma sarebbe errato sottovalutare l’arguzia del team nipponico. Revengeance riesce infatti a fare l’incredibile: bypassa le mancanze del gameplay con la sua spettacolarità. Sembra assurdo, eppure questo è un titolo così esagerato e adrenalinico, da ricoprire tutto con il suo roboante carisma, anche la coscienza critica del giocatore che lo affronta.
Verrete letteralmente sommersi da situazioni spettacolari fin dai primi minuti di gioco, grazie a una campagna strutturata a puntino per infilare Raiden in scene gradualmente sempre più iperboliche, intervallate da intermezzi “calmi” solo perché paragonati al resto. Oltre agli immancabili scontri, il team ha voluto inserire brevi fasi stealth dalle meccaniche semplici ma funzionali, e momenti spaventosamente cinematografici dove si assiste ad evoluzioni che farebbero impallidire Dante e Bayonetta in coppia. Il punto più alto della produzione sono però le boss fights, molto ispirate e diversificate, che richiedono almeno in parte strategie specifiche legate alle abilità del personaggio principale. 
E’ un tripudio di botti, botte ed estro, marchiato a fuoco dai Platinum in ogni sua parte, ma comunque pensato per strizzare l’occhio ai fan della saga di Snake. Essere riusciti a sfornare una campagna simile malgrado le problematiche del gameplay è un’impresa davvero degna di rispetto. Specialmente se si considera che molti giochi hanno tentato di abbracciare questa cultura dell’eccesso fallendo miseramente. 
I puristi a loro volta non devono disperare. Alle difficoltà maggiori il titolo offre un livello di sfida degno, che costringe a usare la parata alla perfezione, a conoscere a menadito i pattern dei nemici e a utilizzare saltuariamente le armi secondarie equipaggiabili (quella finale, non disponibile da subito, è una sfida a dir poco traumatica). Sono addirittura presenti degli elementi gdr, con mosse e potenziamenti sbloccabili guadagnando punti nelle missioni, che migliorano sensibilmente sia Raiden che il sistema di gioco. Un paio di picchi di difficoltà legati ad alcuni boss dimostrano una stima non impeccabile da parte della software house, ma il fulcro di ciò che rende un videogame appetibile a un veterano del genere non manca.
Cut (almost) everything
Tecnicamente Metal Gear Rising si difende piuttosto bene, ma il motore grafico ha luci e ombre. I modelli tridimensionali di soldati e comprimari sono estremamente dettagliati e ricchi di verve (il tocco di Shinkawa c’è, ed è sempre magistrale) e le animazioni sono ben fatte, ma le ambientazioni sono molto blande e spesso lasciano a desiderare. Questo è dovuto chiaramente alla elevata distruttibilità degli ambienti, visto che buona parte degli oggetti a schermo può essere fatta a pezzettini tramite Blade Mode. L’effetto è riuscitissimo, ma il fatto che vari elementi principali nelle mappe siano del tutto indistruttibili stona un po’, senza contare che il tagliuzzare del protagonista ha dato più volte vita a qualche curioso bug grafico minore nella nostra prova.
Di notevole qualità il sonoro, con una soundtrack esaltante quanto la campagna e doppiaggi di alto livello. Quest’ultima qualità brilla in particolare grazie al gran numero di dialoghi legati al codec, una chicca inserita puramente per i fan di Kojima, ma ben riuscita, che dona ai compagni di Raiden sentiti via radio una certa profondità caratteriale. 
La campagna non è particolarmente longeva e può essere finita nel giro di 5/7 ore, peraltro intervallate da alcuni filmati sostanziosi in puro stile Metal Gear Solid, ma vi verrà voglia di rigiocarla quasi subito a difficoltà maggiori, che fanno salire non poco il timer, e la presenza di numerose missioni VR aumenta discretamente l’offerta complessiva. Sappiamo che non è molto, ma vi assicuriamo che sono ore degne di essere provate.

– Campagna completamente folle, spettacolare e adrenalinica

– Narrativa più degna e curata del previsto, nonostante qualche caduta di stile

– Combat System frenetico, più tecnico di come appare e ricco di idee

– Colonna sonora notevole

– Difficoltà troppo bassa in normal, con un paio di picchi mal calcolati

– Il sistema di combattimento ha alcune mancanze

– Campagna piuttosto breve

– Qualche bug grafico e non

8.5

Metal Gear Rising: Revengeance non è un gioco, è una dose da elefante di adrenalina iniettata in pieno petto, un prodotto completamente folle, esaltato ed esaltante, che è riuscito a divertirci come pochi altri videogame hanno saputo fare. Le mancanze del sistema di combattimento e la longevità non eccelsa della campagna gli impediscono di ergersi tra i capolavori assoluti del genere, ma l’opera dei Platinum merita comunque di venir presa in considerazione da tutti gli amanti dell’azione, perché non teme di eccedere e riesce a lasciare continuamente a bocca aperta con la sua incredibile spettacolarità. Non sarà un Metal Gear puro, ma è un action game con i fiocchi. Non fatevelo scappare.

Voto Recensione di Metal Gear Rising: Revengeance - Recensione


8.5