Epic e Gears of War: un po' di storia

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a cura di andymonza

L’anno è il 1991, lo stesso della nascita del World Wide Web, dell’infuriare della Guerra del Golfo, della scomparsa di Freddie Mercury. A Rockville, nel Maryland, viene fondata una software house di modeste speranze, la Potomac Computer Systems. Non passa molto tempo prima che ZZT, un action adventure in linguaggio ANSI, venga rilasciato, naturalmente con i metodi del tempo: non esistendo ancora il digital delivery, il titolo permetteva di giocare gratis il primo livello e di ordinare il codice completo per posta (il cosiddetto shareware).

Il successo fu discreto, quantomeno sufficiente per permettere alla casa di proseguire il suo cammino: il nome cambiò immediatamente in Epic MegaGames, e anche Jill of the Jungle vide la luce. E’ probabile che il suo successo fu legato all’avere un’amazzone seminuda come personaggio principale, più che all’effettiva qualità del gameplay (si scontrò tra l’altro con un big come Commander Keen).

Poco importa, in quanto la casa si ritrovò la casella postale farcita di bigliettoni e cominciò ad assumere.

Little Cliff, Unreal EpicFu così che, circa un anno dopo, il vicepresidente Mark Rein ricevette la lettera di un ragazzo californiano, tale Clifford Bleszinski, notando immediatamente l’entusiasmo e la ricchezza delle sue idee. Diverse ore spese per imparare a pronunciarne il cognome correttamente, un colloquio ed una scrivania dopo il giovane Cliff si impose subito come un eccezionale talento: prima il timido (ma geniale a livello di concept) Dare to Dream, poi il primo vero successo: Jazz Jackrabbit, un platform che omaggiava Mario e Sonic.Le hit di Epic si susseguirono velocemente, sino al declino del sistema shareware: il mercato PC si stava evolvendo velocemente verso il 3D, nascevano i primi sparatutto destinati a sconvolgere il panorama videoludico. Il team comprese che era tempo di adeguarsi, ma naturalmente facendo le cose a modo suo: invece di angusti corridoi e combattimenti a distanza ravvicinata, Unreal cercava di dare allo shooter in prima persona una dimensione più ampia, proponendo un pianeta in qualche modo credibile ed un abbozzo di trama.

Le avventure del Prigioniero 849 conquistarono critica e pubblico. Per festeggiare, la casa tolse quel “Mega” di troppo e diventò semplicemente Epic Games, iniziò ad ammassare i soldi nel materasso e si rimboccò le maniche per mungere il più possibile il suo brand nuovo di zecca: espansioni e sequel piovvero letteralmente, sfociando negli ultimi capitoli online only.

Rivoluzione GearsMentre il next step prendeva forma nella mente di Cliffy B sotto il nome di Unreal Warfare, ennesimo sequel della saga (poi cancellato) che avrebbe dovuto portare veicoli, punti di controllo ed una lotta tra due fazioni sugli schermi mondiali, in Epic si respirava voglia di qualcosa di nuovo. Si cominciò a lavorare su un nuovo sparatutto in prima persona, ma i buoni risultati ottenuti da Capcom con Resident Evil 4 convinsero il team a spostare la telecamera sopra la spalla del protagonista, un modo per mantenerne la carismatica figura sempre al centro dell’attenzione. L’idea di nemici che sorgessero dal sottosuolo fu recuperata da un altro progetto cancellato di Cliffy, Worm.Ma la vera rivoluzione fu portata dal senior designer, Lee Perry, che un bel giorno varcò le porte dello studio stringendo tra le mani una copia di Kill.Switch, sparatutto in terza persona di Namco, risalente al 2003. Per quanto non certo eccezionale, lo shooter aveva cercato di introdurre la copertura negli scontri a fuoco, rallentando il corso dell’azione ma rendendola molto più credibile e tattica. Cliff ne rimase immediatamente affascinato, riprese in mano il codice del gioco ancora senza nome e fece in modo di portare tra le fila del team Epic Chris Esaki, il designer del titolo Namco. La nuova versione dell’Unreal Engine era ormai pronta, il concept stava prendendo forma.Cliff iniziò a studiare in maniera intensiva un background per la storia, arrivando a delineare i quattro personaggi principali, la guerra tra umani e Locuste ed i suoi retroscena.

Mentre in Epic i lavori procedevano, in casa Microsoft si tentava di risolvere ben altri problemi. La software house di Redmond era pronta a lanciare sul mercato la sua nuova console con incredibile anticipo rispetto alla concorrenza, e quello che le serviva era un gioco che la facesse vendere, la proverbiale killer application.

Killer ApplicationDopo qualche ricerca, il nome di Epic e del nuovo gioco in sviluppo saltarono fuori, Microsoft fiutò l’affare e fece la sua offerta. Le specifiche tecniche di quella che sarebbe diventata l’Xbox 360 non sembravano però sufficienti a realizzare la visione di Rein&soci: 256Mb di RAM non erano abbastanza per rendere il gioco il simbolo della nuova generazione in alta definizione, l’esca capace di far comprare un hardware nuovo e fiammante. Fu così che fu raddoppiata la memoria interna e la piccola software house di Cary (North Carolina), che da sempre si era professata come assolutamente fedele al mercato PC, saltò il fosso, ottenne una considerevole iniezione di fondi e si buttò in pieno crunch. Microsoft pose infatti una condizione ben precisa: il titolo doveva vedere assolutamente la luce nell’ultimo quarto del 2006, ovvero la stagione natalizia subito prima che anche Sony e Nintendo si mettessero in pari con lo sviluppo delle rispettive piattaforme.Mentre Cliff tentava di difendere la violenza del suo fucile con motosega dagli attacchi di Peter Moore, che non vedeva di buon occhio tutto quel sangue sullo schermo, la macchina del marketing cominciava a girare a pieno ritmo.A Maggio 2006 il titolo venne ufficialmente presentato presso l’E3 di Los Angeles. Salì sul palco come una “nuova esclusiva”, scese come una Killer Application ormai a tutti gli effetti.

Mentre Bill Gates in persona si complimentava con Cliff per le sue idee, in particolare per “quella motosega” (prendi questa, Moore!), la casa mise insieme un indimenticabile trailer sulle note di Mad World di Gary Jules, dando il tocco definitivo al tono della produzione, quel disperato machismo a tinte dark che l’avrebbe portata alla ribalta.Non si può dire che Gears of War abbia inventato qualcosa di assolutamente nuovo. A funzionare piuttosto è stato il perfetto mix dei suoi elementi. La copertura dinamica e conseguente pop and shoot. Il roadie run, ovvero quella corsa accucciata con telecamera traballante. La ricarica attiva. Le violentissime finisher ravvicinate. La motosega.Un cocktail che ha fruttato 2 milioni di copie in meno di un mese ed ha dato a Microsoft esattamente quello che voleva. Un successo tuttavia non privo di difetti, ben presto emersi dopo migliaia e migliaia di ore di sessioni multigiocatore.Un successo proprio come il suo sequel, tuttavia anch’esso “macchiato” dalla refrattarietà di Cliff nei confronti del beta testing, la quale ha portato ad un nuovo rilascio con problemi di matchmaking. Allo stesso tempo, il multiplayer cooperativo “ad ondate”, al secolo Orda, è diventato il nuovo tormentone del videogame, confermando la capacità di Epic Games di stabilire delle vere e proprie pietre miliari nel concept e nel level design della grammatica ludica legata agli sparatutto.Il terzo capitolo sta per arrivare. Sarà finalmente, virtualmente “perfetto”? Porterà con sé nuovi elementi destinati a rimanere a lungo nella storia del videogioco?Da oggi in redazione possiamo finalmente affondare di nuovo la motosega nelle Locuste e, tra una kill e l’altra, vi racconteremo ogni retroscena.Rimanete con noi.