Elite: Dangerous

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a cura di Forla

In attesa della recensione, che giungerà nel corso della prossima settimana, abbiamo preparato per voi un diario di bordo di Elite: Dangerous. Il gioco è di una vastità straordinaria, e al fine di metabolizzarlo abbiamo pensato di prenderci tutto il tempo necessario. Ma, per non lasciare i nostri lettori a bocca asciutta, ecco un resoconto delle prime sensazioni ed emozioni a bordo della nostra navicella spaziale.
Diario di bordo: postino spaziale
E’ da poco trascorso il Natale e mentre il dispensatore di doni dalla barba canuta sprona le sue renne dirigendosi verso casa a bordo della sua slitta, io sono qui, ai comandi del mio Sidewinder, in procinto di cominciare la mia avventura. Ho accettato un paio di contratti mercantili prima di lasciare la base spaziale e ora fluttuo a pochi metri dalla zona di attracco. 
All’accademia non ero certo quello che si definisce “il primo della classe”, ho saltato qualche lezione e mi annoio a passare il tempo nel simulatore, così ho deciso di salpare e dirigermi “là, dove nessuno è mai giunto prima”, senza troppi preamboli.
Data una rapida occhiata al terminale di sinistra individuo il sistema dove devo dirigermi, lo seleziono sulla mappa stellare e spingo in avanti la leva per dare energia ai motori. Il suono che fanno quando prendo velocità mi galvanizza e mi sento come un piccolo capitano Kirk prima di pronunciare il fatidico ordine: Velocità curvatura!
Una barra di caricamento appare e si riempie, un conto alla rovescia di pochi secondi e la voce del computer di bordo mi conferma l’ingresso nell’iperspazio con un deciso: Engaged!
Vengo inghiottito da un tunnel di oscurità, l’universo si fa nebuloso mentre sfreccio tra le pieghe dello spazio tempo. La strumentazione è in fermento e la nave traballa pericolosamente, solo pochi istanti e vengo vomitato al cospetto di un’enorme stella. 
Non ero pronto per questo.
La possibilità di terminare il mio viaggio ancor prima di cominciarlo sembra diventare più concreta ogni istante che passa. Tiro nervosamente indietro la leva del gas e riduco al minimo la potenza dei motori, per il momento l’eventualità di trasformarmi in un hamburger spaziale sembra essere sfumata. Sposto la cloche e finalmente individuo la stazione alla quale devo consegnare il mio carico. La stella è a babordo ora e non me ne preoccupo più, imbaldanzito dallo scampato pericolo spingo di nuovo a tavoletta e macino senza pietà i chilometri che mi separano dal mio obiettivo. Sono vicino, i numeretti sull’HUD sembrano impazziti e il pianeta attorno al quale orbita la base spaziale dove sono diretto diventa sempre più grande. Mi avvicino sempre più velocemente… troppo velocemente! Tiro indietro la leva del gas ma è troppo tardi: una scritta rossa lampeggia, sento un suono che non mi piace. In un attimo sono fuori dall’iperspazio.  
Faccio vagare lo sguardo per la cabina di pilotaggio, sperando di scorgere qualcosa oltre il vetro che mi separa dal freddo spazio. Nulla, solo le stelle e il buio infinito.
Mi rivolgo ancora al terminale di sinistra e seleziono la stazione, ora la vedo: è distante, dovrò saltare nuovamente nel’iperspazio per raggiungerla, sperando di non finire chissà dove come l’ultima volta. Aggancio il bersaglio, spingo la leva, aziono il comando del FDS e veleggio verso nuovi e sconfinati orizzonti.
Questa volta sono più vicino, non devo attraversare un intero sistema, mi trovo già in quello giusto, devo solo stare attento a moderare la velocità. Faccio fatica a mantenere una prospettiva corretta del mio viaggio, mi sembra di andare troppo lentamente e accelero un po’. Nulla sembra essere cambiato e anche se la strumentazione mi dice che mi stò avvicinando a me pare di essere praticamente fermo. 
Oso ulteriormente con il gas. 
Ora si ragiona, a motori spiegati vedo il sistema ingrandirsi a vista d’occhio. Forse troppo, la scritta rossa lampeggiante si palesa di nuovo accompagnata dal rumore fastidioso, premo due volte il pulsante per l’iperspazio forzando la nave ad uscirne, nella speranza di essere abbastanza vicino alla mia destinazione.
Macché! Attorno a me solo il nulla cosmico che mi sbeffeggia silenzioso.
Ripenso alle ore di teoria saltate e di come ora avrebbe fatto comodo un po’ di sana secchionaggine. Non tutto è perduto: alt-tabbo un attimo dal terminale principale e mi documento nell’area tutorial messa a mia disposizione dalla infinitamente gentile Frontiers Developments. In meno di dieci minuti mi si apre un mondo fatto di dati di prossimità e indicatori di traiettoria. Comprendo come si debba approcciare cautamente alla propria destinazione per non essere catapultato nel vuoto dall’effetto fionda.
Torno spavaldo ai comandi del mio catorcio spaziale e mi rimetto in marcia sulla mia rotta. 
Questa volta sono preparato. Tengo d’occhio l’HUD e, appena arrivato in zona, appare una finestra che mi indica la velocità da mantenere in relazione alla distanza dalla stazione spaziale. Non ho confidenza con la manovra e la faccenda si fa più lunga del previsto. Le barrette della strumentazione, intantom proseguono quasi all’unisono la loro lenta discesa verso l’agognata zona azzurra. Dopo poco ecco comparire la scritta “safe disengagement”, non perdo tempo e premo il pulsante. Solo pochi secondi e davanti a me si palesa la stazione spaziale della Federazione, fluttuante in tutta la sua maestosità.
Apro le comunicazioni e richiedo il permesso di atterrare. Non sono troppo restii a concedermelo e io mi avvicino incerto. Partire è stato facile, arrivare un po’ meno. Ora so cosa prova la mia ragazza quando deve fare parcheggiare! Comunque, dopo aver fatto il pelo ad un’antenna e aver dato un paio di colpetti allo scafo esterno mi ricordo di estrarre il modulo di atterraggio e attracco. Spero solo che la merce che gli ho portato mi frutti abbastanza da fare il pieno e magari comprare qualche buon cannone laser, muoio dalla voglia di fare a pezzi qualcosa!
Diario di bordo: lo spazzino spaziale è un mestiere pericoloso!
Ho fatto qualcosa come 4000 crediti con la merce, soldi buoni per riempire i serbatoi della nave e il mio gargarozzo con carburanti fin troppo simili tra loro per i miei gusti. Non ho speso molto, ma il restante non mi è nemmeno lontanamente sufficiente per comprare l’armamentario che desideravo, ansioso di portare la devastazione nella galassia. Qui però mi pagano per recuperare la scatola nera di una nave in un sistema non troppo lontano. Sul piatto ci sono quasi 10.000 crediti e la prospettiva  mi alletta. Prima di ripartire do un’occhiata al mercato e ai vari pezzi di ricambio disponibili, vengo sommerso da miriadi di dati riguardanti pesi, velocità, possibilità di allocazione ecc. Minimizzo sul fatto di capirci poco o nulla, autogiustificandomi con la scusa di non avere abbastanza soldi per comprare alcunché. Ad ogni  modo accetto l’incarico di recupero e salpo immediatamente verso la mia prossima fonte di guadagno. Questa volta mi sento più sicuro, so come muovermi e giungere a destinazione non sarà più un problema. Una volta lasciata la zona di attracco procedo al salto, mi muovo agile e veloce tra i vari sistemi fino a raggiungere quello di mio interesse. 
Ci sono, ora devo solo trovare la scatola, una bell’impresa, considerato che probabilmente starà galleggiando libera e felice chissà dove. Sfrutto la velocità dell’iperguida e gironzolo un po’ a casaccio. 
Bello il panorama, ma della scatola nessuna traccia.
Come ogni volta nei momenti di disperazione faccio appello al terminale di sinistra il quale decide di aiutarmi indicandomi tra i vari obiettivi presenti in zona un segnale sconosciuto. 
E’ lei, me lo sento!
Faccio una virata stretta e punto il segnale, spingo la leva del gas e mi frego le mani.
Improvvisamente compare un gigantesco indicatore in mezzo alla visuale. Un portale si apre mentre gli strumenti gridano impazziti avvertimenti che non riesco a decifrare. Sono nel panico, cerco di dirigermi al portale indicato con “escape qualcosa” ma invano. La nave è incontrollabile e l’iperspazio mi sputa fuori proprio come un rozzo cowboy si libera del tabacco da masticare ormai vecchio .
Solo pochi istanti e una minacciosa scritta in alto a sinistra mi informa di come a breve le mie spoglie saranno consegnate al vuoto siderale.  
Due secondi dopo è il delirio totale.
Ricevo dei colpi e gli scudi iniziano inesorabilmente ad abbassarsi. Capisco di essere sotto attacco e, mentre cerco di orientare la navicella verso il mio assalitore, spingo furiosamente la leva di smistamento dell’energia cercando di convogliare più potenza a scudi e armi. 
Eccolo! Ora lo vedo, il gaglioffo, tronfio nella sua astronave, pronto a far valere con i fatti le minacce che fino a qualche istante fa erano solo righe di testo sul mio monitor. 
Bella nave comunque, la mia sembra un pezzo di Toblerone metallico, mentre la sua ha quel design figo che mi fa capire che a breve le cose si metteranno molto male.
Decido che è meglio morire con onore che fuggire come un vigliacco, quindi estraggo i cannoni laser, li punto e faccio fuoco. Vedo i raggi impattare e venire assorbiti dalla superficie azzurrina dei suoi scudi mentre lui viene verso di me e da un taglio aerodinamico il mio mezzo a suon di cannonate. L’HUD mi informa che gli scudi sono giù ora e l’abitacolo conferma, cominciando a sparare scintille manco fosse il capodanno cinese. Mentre io mi deprimo per la mia probabile imminente dipartita, la strumentazione fa festa, lampeggiando e gridando segnali di pericolo dei quali non ho bisogno. 
Rivedo la mia posizione e decido che preferisco essere un vigliacco vivo che un eroe morto. Sposto tutta l’energia ai motori, punto (la coda) verso il mio nemico e cerco di fuggire. Provo qualche manovra evasiva: qualche giro su me stesso, un paio di virate strette e cerco di seminarlo. Quando vedi Han Solo fare quella roba sembra così facile ma in effetti non lo è. In men che non si dica vengo inondato da scintille, sento il cockpit stringersi come la scatola di spinaci nel pugno di Braccio di Ferro e poi il botto.
Ora sono il capitano del nulla. 
Ma nuove avventure mi aspettano, a bordo del mio Sidewinder seminuovo; ricco dei 1000 crediti che mi vengono elargiti di base solo per darmi la possibilità di liberare il parcheggio per la prossima nave che attraccherà alla base dalla quale sono di nuovo in procinto di partire.

Forte delle esperienze vissute sono consapevole di come, per solcare le onde dello spazio infinito, serva preparazione, sangue freddo ed una buona dose di tattica. Inutile fare gli spacconi e girare con la bandiera con teschio e tibie sventolante, qui prima degli arrembaggi bisogna fare la gavetta. Non ci si può sedere ai comandi della nave senza aver studiato un po’ e senza la consapevolezza che questo è un simulatore e non Ace Combat nello spazio. Elite: Dangerous è, per quantità di contenuti e complessità del sistema, uno dei giochi più profondi con cui abbia mai avuto a che fare. Consapevoli di questo, il titolo saprà essere foriero di grandi soddisfazioni, ma non aspettatevi di padroneggiarlo in poco tempo, perché nessuno diventa capitano in un giorno.