50 sfumature di grigio fumo e pixel

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

È domenica, fuori il cielo è grigio e piove e l’odiata pausa per le nazionali ti ha tolto l’unico motivo per sopravvivere alla domenica pomeriggio. Così, annoiato, accendi il PC, vedi di salvare la situazione e magari di sfoltire un backlog chilometrico: provi a completare Dark Souls III, rimasto nel limbo per troppi mesi, ma un paio di schiaffoni ben assestati da Lothric ti ricordano quanto tu faccia schifo. Cambi, avvi Football Manager, ti ritrovi alla stagione 2024 ma il consiglio di girarti le mutande per risparmiare un lavaggio ti fa desistere e ti ricorda che hai ancora una vita. Forse. Proprio in queste giornate grigie è facile essere assaliti dalla nostalgia e dai ricordi, con la mente che corre veloce a quando si era più giovani e si approfittava proprio di questi pomeriggi cupi per rinchiudersi assieme al gruppetto di amici in quel tempio del divertimento, che prendeva il nome di sala giochi, il luogo mistico in cui chi scrive e – probabilmente – chi legge ha mosso i suoi primi passi da videogiocatore
Magneti Budelli e Acciaierie Diamine
Se vi aspettate una carrellata di rose e fiori, avete però sbagliato articolo. Sfatiamo subito un mito: nel nostro pensiero le sale giochi sono un tripudio oramai lontano di luci e colori, il punto di ritrovo per ragazzini felici e con le tasche piene, ma in realtà facevano quasi tutte schifo, spesso puzzavano ed erano un coacervo di germi ancora non scoperti, con cicche masticate che rimanevano appiccicate per mesi attorno ai tasti. Forse si salvavano solo quelle del bar che frequentavate al mare, ma la luce era così forte e c’erano tanti di quei riflessi che lo schermo diventava uno specchio e al posto di vedere Haggar ammiravate solo la vostra faccia, ovviamente non abbronzata. La vera delizia era però la fauna che le popolava. In quelle di città, soprattutto in periferia, c’eravate voi, con la vostra compagnia di sfigati (in senso buono, anche io ero/sono così) attorno agli otto o nove anni, che vi aggiravate in quello spaccato della società di inizio/metà anni ‘90, ma non quella patinata dell’allora MTV fatta di balletti imbarazzanti di boy band, ma quella popolata da ragazzi più grandi che non vedevano l’ora di sfogare i propri rancori contro i bambini che ancora avevano il moccolo al naso: noi eravamo i Milhouse, gli altri erano i Patata e i Secco Jones. La situazione più classica era dunque la seguente: si entrava in quel luogo oscuro e maleodorante, ci si dirigeva verso il cambia-monete, si infilavano 1000 o 2000 lire per i più borghesotti, si cercava il cabinato vuoto e con un gioco interessante, si infilava la moneta e si iniziavano a premere i tasti in modo frenetico. Se il titolo in questione era però uno fra i più ambiti della sala, nemmeno il tempo premere start che si avvicinava un losco figuro con gli occhiali da sole – anche se si era al chiuso – che, sbuffandoti in faccia il fumo della sua Marlboro rossa, pronunciava la lapidaria frase: “Vuoi che te lo finisco? Eh, con un gettone te lo finisco io se vuoi”, che voleva dire “Grazie per la partita gratis” e fa niente se eravate ancora contro Dhalism al primo stage e MR. Bison era una visione ancora lontana. A questo punto, l’unica speranza era che si liberasse la postazione vicina alla vostra, magari quella di un Taxi Driver o di un Daytona, perché il vero bullo anni ‘90 che sembrava uscito da Tabboz Simulator, con tanto di giacca fatiscenza e mattoni sotto le scarpe, non si accontentava del suo Phantom modificato, ma già si vedeva con la patente in mano a fare zig zag in mezzo ai passanti. Se questa evenienza non si realizzava, non restava che sorridere e cercare almeno di farsi mettere il proprio nome nella classifica, altrimenti, se si lottava contro il potere, il dito dell’aguzzino calava sull’interruttore del cabinato, via alla classica battuta della corrente che è sfortunatamente saltata e addio soldi e addio gloria. 
Anti-eroi e anti…
Il problema delle sale giochi non era però solo chi le popolava, ma anche chi se ne guardava bene dal metterci piede, nemmeno fosse frequentata da untori colti dalla peste. Sto parlando ovviamente del genere femminile. Adesso la situazione è decisamente migliorata, la statistica che vede nel 50% dei videogiocatori delle ragazze è forse utopia, ma se provate a tirare in mezzo una ragazza al bar discutendo di Mass Effect (non provateci comunque) rischiate magari che lei sappia pure di che cosa si stia parlando, mentre una ventina d’anni fa vi avrebbe semplicemente riso in faccia e se ne sarebbe andata via schifata. Così, l’aver frequentando solo ed esclusivamente persone dal dubbio igiene personale in interminabili sessioni di Sunset Riders ha generato quel mix di ribrezzo e paura verso il genere femminile, che è poi sbocciato in imbarazzo e terribili figure quando alle medie si è scoperto che per forza di cosa ci si doveva anche avere a che fare con loro. Per fortuna, la sala giochi frequentata da piccoli non è stata solo fonte di traumi non ancora del tutto separati, perché proprio lì abbiamo incontrato i nostri primi eroi o lo siamo diventati noi stessi, guadagnando rispetto negli anni futuri mettendo in campo a Virtua Striker – qua si era già più cresciuti – l’undici titolare della Yuki Chan, composto da mariachi, fantasmi ed ermellini e fa niente se il portiere tartaruga non poteva parare un rigore perché praticamente non aveva le braccia. Ogni sala aveva però il suo vero eroe, il suo re Mida dal tocco d’oro, ossia l’uomo che passava a ritirare i gettoni. Alcuni erano dei veri despoti, consci nei loro baffi del proprio potere infinito, ma altri, colti da pietà verso bambini e ragazzi con gli occhi gonfi per le troppe ore passate davanti agli schermi, lasciavano inseriti nei vari cabinati decine e decine di crediti: in quelle giornate sono nate leggende che narrano di gente arrivata al centesimo livello di Bubble Bobble, oppure di un cugino che aveva portato a termine Mortal Kombat, superando in agilità anche gli stage dove si dovevano affrontare due avversari uno di fila all’altro. Ogni arcade era una vera calamita per monete e gettoni, ma quel giorno del mese eravamo tutti meno poveri e le differenze di classe venivano appianate: uomo dei gettoni ultimo baluardo del proletariato.
Forza! Bravo! Dai!
C’è un secondo mito da sfatare, quello che forse non andrà giù a tutti, soprattutto a quelli che tanto amano lamentarsi della qualità dei giochi odierni che, paragonati a quelli del passato, sono tutti uguali, pieni di bug e senza anima. Può anche essere vero in parte, la storia del medium è stata scritta soprattutto dalle pietre miliari degli anni ‘80 e ‘90, ma fidatevi che in un buon numero di sale ci si ritrovava a giocare a titoli dalla dubbia qualità, perché va bene Puzzle Bubble, ma concedetemi pure il fatto che l’opera di Taito era divertente solo se giocata da un amico daltonico! Il secondo vero problema è che nella maggior parte dei casi, vuoi perché eravamo poco allenati, vuoi perché ci sarà pure un fondo di verità nella leggenda della difficoltà dei giochi di una volta, una partita durava spesso e volentieri una manciata di minuti: ora siete tutti lì che acclamate il grande ritorno di WindJammers su PlayStation 4, ma voglio vedere in quanti superavate il primo livello con il buon Loris Biaggi e lo stesso discorso vale per tutti i vari Soccer Brawl o Power Spikes, che però con la sua Unione Sovietica era nostalgia pura ma generava anche un po’ di confusione nelle interrogazioni di geografia. Per fortuna, accanto ai vari Miss World ‘96 Nude c’erano anche dei cabinati su cui io stesso ho consumato i polpastrelli e che tuttora sono capaci di regalare momenti di spensierato divertimento in compagnia, in primis quelli dove si menavano le mani contro ogni genere di nemico, su tutti Cadillac & Dinosaurs e il suo “fratello” The Punisher, dove Nick Fury con il suo sigaro sempre acceso era l’idolo incontrastato. Questi due giochi avevano un immaginario tutto loro, talmente impattante che usciva fuori dallo schermo e invadeva la vita di tutti i giorni: non che vedessi tirannosauri agli incroci o sicari con giacche rosa shock e nemmeno sognavo di investire persone in mezzo ad una prateria, ma quando si giocava al picchiaduro di Capcom ognuno aveva il suo personaggio, che non era mai Mess o Hannah ovviamente, ma era soprattutto la sfilza di improbabili scagnozzi e boss a rimanere impressa nella testa con più forza. Quelli a cui mi sentivo più legato erano sembra ombra di dubbio i Punk, vestiti con chiodo e dalla cresta colorata, proprio come la strana compagnia che frequentava il mio parco, ma a cui io non mi potevo avvicinare. Su un piedistallo stava però Morgan, il boss del villaggio in fiamme in Cadillac & Dinosaurs, che era del tutto uguale al custode della mia biblioteca alle elementari: noi lo chiamavamo Morgan, lui non capiva il perché, ma ci sorrideva lo stesso. 
Insomma, le sale giochi erano stanze buie, l’odore era pesante, spesso il fumo rendeva l’aria quasi irrespirabile, erano frequentate da tipi non sempre rassicuranti, che senza una vera ragione si accanivano contro quelli che erano lì solo per divertirsi. Aggiungiamo poi la povertà cronica, che rendeva anche il gettone o la moneta da cinquecento lire un prezioso tesoro e la presenza di titoli dal nome impronunciabile e che forse fanno ora compagnia all’E.T. dell’Atari, eppure tutti abbiamo un felice ricordo di quei posti, un po’ il luogo della memoria per molti nerd – scusate la brutta parola – ora più o meno adulti ma che tornerebbero volentieri ogni tanto a schiacciare quei quattro tasti. E magari a vendicarsi sui ragazzini più piccoli.

Non volevo far diventare questo speciale una carrellata di luoghi comuni e di “Ah, si stava meglio quando si stava peggio!” ma nell’andare a ruota libera ammetto di aver magari superato quel confine, ma c’è poco da fare, è impossibile non ricordare con felicità e un velo di malinconia quelle sale giochi che ora sono praticamente estinte, ma grazie alle quali ci siamo fatti le osse, e che ci permettono ora di sopravvivere anche a un Dark Souls senza esagerare nelle imprecazioni. Forse è proprio per questo che ogni tanto, pur avendo una libreria sconfinata di titoli tra PC e console è ancora bello sfoderare il proprio M.A.M.E, invitare a casa gli amici di sempre, e riprendere in mano uno Snow Bros o Pang qualsiasi.