Ju-On: Rancore

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a cura di Dr. Frank N Furter

Non è sempre possibile catalogare ogni singolo gioco in base al suo gameplay; questo perché a volte gli sviluppatori scelgono di mixare più di una componente per ottenerne di nuove o, in rari casi, inventano un genere del tutto originale. E’questo il caso di Ju-On: The Grudge titolo ispirato ad una delle più famose serie horror giapponesi dei nostri tempi. La denominazione data dai ragazzi di Feel Plus è stata simulatore di casa infestata (o paura, secondo l’adattamento europeo). Se al primo impatto può sembrare una definizione inusuale questa si trasforma mentre giocherete, facendovi capire cosa intendono gli sviluppatori con “casa infestata”. Per cercare di descrivere al meglio la particolare tipologia dell’esperienza ludica in oggetto, si è deciso di realizzare uno speciale al posto della consueta recensione, per non affiancare questo prodotto ai classici survival horror, in quanto generi molto diversi per dinamiche e struttura, seppur ne condividano degli aspetti.

Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altruiL’unico strumento in vostra dotazione sarà una torcia elettrica. Oltre ad essere indispensabile per esplorare l’ambiente circostante, essa fungerà anche da “barra dell’energia vitale”. In sostanza, se non troverete abbastanza batterie per illuminare il cammino sarete preda dell’oscurità con immediato game over, ma non tutto è semplice come appare. Come avrete intuito, il gameplay di Ju-On: The Grudge si basa sull’esplorazione quale elemento portante ed in grado scatenare diverse situazioni, il tutto cercando di non far spegnere la propria fonte luminosa per arrivare alla fine del capitolo. In virtù di questa meccanica, potrete perdere la partita solo nel caso di black-out totale o se durante una serie di eventi quick time sbaglierete nel seguire le indicazioni a schermo. Pochissime possibilità di perdere dunque, ma perché? Il motivo risiede nella peculiare tipologia di gioco che i ragazzi di Feel Plus hanno voluto realizzare. Un “simulatore di paura” ha come scopo principale quello di spaventare a morte il giocatore, laddove ucciderlo nel gioco sarebbe una scelta brusca e poco coerente con l’intento finale degli sviluppatori. Ecco perché si muore solo se a corto di batterie, il concetto di paura vuole essere espresso tramite continue sorprese, avvenimenti bruschi e violenti, atti a portare chi sta davanti allo schermo ad un climax di paura altissimo, tale da far scattare ogni muscolo al minimo accenno di pericolo. Se tutto ciò fosse stato realizzato in maniera impeccabile, saremmo di fronte al capostipite di una nuova generazione di giochi, ma purtroppo così non è in quanto la sensazione di paura e terrore, se espressa in maniera “fisica” e “visiva”, deve essere disturbante e di effetto. Proprio in considerazione del fatto che tale meccanica va ad incidere enormemente sulle emozioni, il punto di vista è molto soggettivo: la tensione del giocatore può seguire un percorso molto rigido, ma allo stesso tempo non è facile identificare la percezione di ogni utente attraverso una reale analisi delle emozioni.

Vietato spegnere la luceIl fatto di voler sperimentare il concetto di paura come divertimento è sicuramente un elemento molto originale e realizzato in maniera pregevole, ma affinché funzioni alla perfezione è necessario instaurare una dimensione di angoscia molto complessa. Non basta prendere due mostri di una saga famosa per scatenare le fobie del pubblico poiché a volte si potrebbe ottenere l’effetto contrario. Alcune situazioni potrebbero avere ben poco di terrorizzante, anzi, la maggior parte delle volte potrebbero rivelarsi, per alcuni soggetti, come elementi fin troppo prevedibili in certe apparizioni. Un esempio di esperienza ben riprodotta è invece la ragazza dai lunghi capelli, con notevoli possibilità di farvi saltare dalla sedia, ma anche qui le sue apparizioni risultano troppo “telefonate” dal tipico ticchettio che l’accompagna. Come da previsione, i momenti migliori sono quelli meno aspettati, una presenza costante ma nascosta allo stesso tempo, a conferma del fatto che probabilmente il messaggio di “presenza” fa più effetto della sua effettiva materializzazione. Purtroppo in tal senso manca la sostanza, quella sottile componente psicologica utile a spaventare la mente e non il corpo, in grado di interpretare questa dimensione di tensione attraverso un costante ed oggettivo riflesso umano, questo perché non esiste una storia a far da filo conduttore, o dei personaggi da analizzare e nei quali immedesimarsi. Mancando un pilastro della “paura d’autore” non si può parlare di una sensazione valida per tutti, ma solo di qualche brivido in rare occasioni e di una struttura che, pur senza risultare esente da difetti cerca comunque con continuità di proporre degli spaventi studiati con cura e in grado di mettere alla prova il coraggio e l’attenzione di ognuno.

L’unica cosa di cui aver paura è la pauraLa struttura del gioco prevede l’esplorazione di quattro ambientazioni ognuna diversa dell’altra e tutte rigorosamente “abbandonate” o “isolate”. Tutto ciò porta ad una prima considerazione in relazione alla longevità del prodotto, che analizzata nell’ottica di un normale videogame potrebbe apparire ben inferiore alla norma. In realtà, vista la particolare natura del gioco, l’esperienza ludica può essere definita come breve ma intensa, anche se di sicuro gli sviluppatori avrebbero potuto migliorare questo aspetto introducendo un numero di aree sensibilmente più ampio. Ad appesantire ulteriormente la longevità ci pensa una rigiocabilità purtroppo ridotta ai minimi termini, in quanto gli stage non cambieranno mai nella loro forma e negli script previsti, in sostanza giocato una volta non avrebbe più senso affrontare le sfide proposte, che però risultano estremamente divertenti se osservate per verificare l’impatto su altri soggetti. Esiste infatti una componente multiplayer, anche se potrebbe essere improprio definirla in questi termini. Quest’ultima si svolge nelle stesse quattro location della modalità avventura, con la differenza che un secondo giocatore può agire da “disturbo” durante l’esplorazione dell’altro. Premendo i tasti del Wii Remote, o semplicemente scuotendolo, otterrete diversi effetti come l’apparizione di macchie di sangue sullo schermo, urla, la comparsa d’insetti vomitevoli, impronte di mani e altri trucchi che potrebbero impressionare l’altro partecipante. Oltre ad avere un tempo di recupero tra uno scherzo e l’altro, il secondo giocatore non potrà fare altro per interagire con l’esperienza di gioco se non guardare il primo mentre avanza lentamente verso la fine. In ultimo, vi segnaliamo la presenza di due indicatori alla fine di ogni quadro, essi rappresentano il grado di paura trasmesso al giocatore (il programma elabora il risultato analizzando quante volte avrete scosso il Wii Remote improvvisamente), queste due barre non hanno alcuna funzionalità extra se non quella “informativa” utile a rendere note anche quelle situazioni in cui pensavate di non esservi spaventati.Analizzare il comparto tecnico di Ju-On è abbastanza semplice, in quanto gli elementi proposti risultano ancora acerbi per complessità, senza dimenticare un design delle ambientazioni in linea con l’opera originale che potrebbe non piacere a chi non apprezza le produzioni horror di origine asiatica. Queste ultime appaiono spesso troppo spoglie e rigide, non giocano con l’utente, né cercano di fargli sentire quanto sia pesante l’atmosfera. Da questo punto di vista è doveroso premettere che, trattandosi del primo esperimento in tal senso, un eventuale seguito ha ampi margini di miglioramento, fermo restando che ci saremmo aspettati un livello d’immersione superiore.Semplicemente sfruttano l’effetto “buio” per rendersi spaventose, non sempre le situazioni proposte risulteranno davvero efficaci nel loro intento. La poca complessità non solo mina l’esperienza di gioco, ma anche la longevità poiché la ristrettezza degli ambienti non consente di esplorare e sviluppare una meccanica più complessa e approfondita. Anche il sistema di controllo necessiterebbe di un’ottimizzazione per quanto riguarda il rilevamento del puntatore a schermo, ma considerando che l’unica mossa disponibile è una rotazione di centottanta gradi è indubbio che diversi elementi potessero essere perfezionati maggiormente. La colonna sonora del gioco è per lo più composta da rumori improvvisi e qualche brano creato ad arte nelle situazioni “pericolose”, nulla di più, ma nel complesso si lascia apprezzare.

Ju-On: The Grudge è un esperimento interessante anche se sviluppato in maniera poco approfondita in molti punti, tra cui spicca l’effetto “spavento” proposto in maniera molto soggettiva per impatto sulle situazioni proposte. Si possono chiudere gli occhi su alcuni difetti grafici ma la quantità di ambientazioni e la loro breve durata minano seriamente la longevità, in quanto un’ora potrebbe essere sufficiente ad esplorarle tutte quante, dopodichè non resterà che utilizzare i propri conoscenti e metterli alla prova. Se fossero state aggiunte delle attività secondarie ad ogni location o una gestione procedurale degli avvenimenti, la rigiocabilità del titolo ne avrebbe giovato enormemente. Nonostante tutti questi difetti vi invitiamo comunque a provarlo e a considerare il gioco nella giusta ottica, quindi assolutamente non come un survival horror alla Resident Evil, ma per la tipologia con la quale si propone, ossia un simulatore di paura nel vero senso del termine. Una volta da soli nella vostra stanza con le luci spente, potreste davvero provare qualche brivido di paura, ma avrete il coraggio di provarci?