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Recensione

The Suffering: Ties That Bind

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Avatar di Cyberdex

a cura di Cyberdex

Pubblicato il 25/10/2005 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Midway ci riprova, c’era da aspettarselo. Un seguito annunciato e decantato come risolutore dei problemi che affliggevano il primo The Suffering. Metà delle promesse sono state mantenute, ovvero il seguito è uscito: per il resto lasciamo perdere. Non che si tratti di un brutto gioco, tutt’altro. The Suffering: Ties That Bind risulta un valido prodotto senza ombra di dubbio, peccato che non si discosti affatto da ciò che si è visto nel primo capitolo, difetti inclusi.Un sequel destinato soprattutto a coloro che hanno giocato ed apprezzato il primo The Suffering, dato che ora vi è la possibilità di venire a capo ad ogni interrogativo lasciato in sospeso. Il solo anno di distanza fra i due capitoli non ha permesso purtroppo agli sviluppatori di fare miracoli, né sul piano grafico, né su quello dei contenuti.

Nel panorama del genere…Facciamo il punto della situazione per quanto concerne gli Horror Game: in cima vediamo due nomi, i soliti noti, Silent Hill e Resident Evil. Il primo offre atmosfere da infarto e un’impostazione da survival horror, il secondo invece, con l’ultimo capitolo, si è spostato verso una direzione sfacciatamente action, mantenendo del suo genere natio solo atmosfera e personaggi. The Suffering: Ties That Bind è un ibrido fra i due, tenta di accontentare i fruitori di entrambe le tipologie di horror, mixando un gameplay votato all’azione con un’atmosfera ed uno storyline degni di un film horror.Il paragone con la produzione cinematografica non è preso a caso. Mentre si gioca si ha come l’impressione di essere all’interno di un film horror, proprio per alcune scelte particolari degli sviluppatori, in linea con quelle dei registi, come l’uso di trucchetti per far salire alle stelle la tensione del giocatore/spettatore: avere la sensazione di essere seguito alle spalle da qualcosa in procinto di attaccare, voltarsi e scoprire che era frutto dell’immaginazione; oppure avvicinarsi ad un telefono e ricevere un’enigmatica chiamata da uno sconosciuto interlocutore.

Fra litri di sangue e tanti corpi senza vita si nasconde una trama“Cinque anni prima”, la dicitura che compare appena iniziato il gioco. Mezzo decennio prima dell’avventura lasciata in sospeso alla fine del primo The Suffering. Siamo in un carcere, chissà dove. Torque si trova nel cortile insieme al suo compagno di cella, quando ad un certo punto si avvicina minaccioso un gruppo di prigionieri. Il principio di rissa viene interrotto sul nascere dal suono delle sirene, che mette in allarme tutto il carcere. Le guardie sparano a vista, non ci sono luoghi in cui nascondersi, una situazione davvero poco invidiabile, ma i guai devono ancora cominciare. La struttura inizia ad essere invasa da esseri terrificanti che seminano morte ovunque. In un batter d’occhio ci ritroviamo su un motoscafo, in fuga verso Baltimora, in altre parole cominciamo dalla fine, quella del primo capitolo della saga. Torque è in fuga verso la salvezza, o almeno così spera, Baltimora però non si rivelerà un posto molto sicuro.

L’aspetto dolente, il gameplaySotto l’aspetto del gameplay non è cambiata di molto la formula. Torque potrà portare con se solo due armi, scegliendo fra un campionario discretamente ampio di armi bianche e da fuoco. Essendo un gioco votato principalmente all’azione gli scontri saranno numerosi, e spesso non semplici, anche per colpa della macchinosità troppo accentuata della manovra. Con l’analogico sinistro muoviamo Torque, con quello destro lo facciamo ruotare esattamente come negli fps per per PC, dove con la tastiera si controlla il protagonista e con il mouse ci si orienta. Su PC ormai è una formula ultra-collaudata, su console (e soprattutto in un survival horror) perde un po’ della sua immediatezza, anche per colpa del gioco stesso. Le visuali selezionabili dal giocatore sono due, entrambe molto classiche: una in terza persona ed una in prima persona, con tutti i pro e i contro del caso. Uccidendo quante più creature è possibile aumenterà il livello dell’apposita barra, che una volta piena, ci darà la possibilità di trasformarci in mostro, e quindi di acquisire molta più potenza di attacco. La trasformazione in mostro subirà qualche modifica con il proseguire del gioco, visto che è concesso al giocatore il libero arbitrio per quanto concerne il carattere di Torque: se vogliamo dare un aiuto alle persone indifese che ci troviamo davanti prenderemo una piega buona, viceversa se vogliamo dare corda alle voci che rimbombano nella mente di Torque, che gli suggeriscono di uccidere, la piega sarà, per così dire, oscura. Il gioco segue molto marcatamente la struttura a binari che può far storcere il naso a molti e purtroppo presenta diversi picchi di difficoltà sproporzionata e mal calibrata, indice di una scarsa attenzione alla curva di difficoltà.

La cosmesi dell’HorrorDiscreto il comparto grafico. Probabilmente, anzi sicuramente, migliore del primo The Suffering, ma siamo davvero ben lontani non solo dalla perfezione, che con tutta probabilità non è raggiungibile, ma anche dall’eccellenza. I modelli poligonali sono discretamente dettagliati senza mai far gridare al miracolo, stesso discorso per le textures che non sono di infima qualità ma neppure da mostrare come esempio di ottimo lavoro. Gli ambienti sono ben costruiti, anche se ogni tanto si soffre di ripetività; l’interazione con gli oggetti che si limita quasi esclusivamente all’apertura di porte e armadietti (un classico dei survival horror soprattutto pre-Resident Evil 4). Il giudizio quindi attribuibile non va oltre il “buono” con una dovuta precisazione: “senza infamia e senza lode”.

– Atmosfera da vero Horror

– Sapiente utilizzo del sonoro

– Trama coinvolgente

– Gameplay migliorabile

– Forse troppo splatter

– Poche novità rispetto al prequel

– Alcune pecche tecniche

7.0

“Paura eh?”, direbbe il Lucarelli “Gialappiano”. Sicuramente vi provocherà po’ di tensione sia grazie all’intelligente lavoro svolto sul piano del sonoro sia grazie al taglio cinematografico di alcune scene. Consigliato soprattutto a coloro che hanno finito ed apprezzato il primo The Suffering, che avranno finalmente una risposta a tutti gli interrogativi lasciati in sospeso dal precedente episodio. Peccato però che sia troppo simile al primo capitolo e che si porti dietro anche i suoi difetti…

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