Recensione

The Stanley Parable

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a cura di Francesco Ursino

Per fare felice un certo tipo di videogiocatore basta poco: prendete una mod di Half Life 2, una stanza spoglia e con poche texture, e mettetelo davanti a una scelta semplice. Ci sono due porte, una a destra e una a sinistra, e tutto quello che il giocatore deve fare è sceglierne una. Aggiungete a questo una voce narrante che vi dice già quale porta avete scelto. Quante possibilità di gioco si possono dischiudere in un così semplice espediente?Scopriremo che, con The Stanley Parable, queste possibilità saranno moltissime o, alternativamente e paradossalmente allo stesso tempo, nessuna. Curiosi? Continuate a leggere.

Press any keyThe Stanley Parable, piccola produzione sviluppata da Galactic Café, non è altro che il remake rivisto e ampliato di una piccola mod di Half Life 2 del 2011 basata sul Source Engine di Valve. Il titolo, uscito da poco su Steam, viene proposto a € 11,99, un prezzo che per una produzione del genere non è forse il più indicato, ma che come vedremo val bene un piccolo sacrificio.Arrivati a questo punto della recensione di solito sarebbe bene fermarsi e contestualizzare un attimo il prodotto di cui si sta parlando, ma con The Stanley Parable la cosa diventa assai difficoltosa: come dice la stessa descrizione del titolo, ”si seguirà una storia, e non si seguirà una storia. Si avrà una scelta, e non si avrà una scelta. Il gioco finirà, e il gioco non finirà”. Che significa tutto ciò?Volendo essere schietti, è possibile rispondere: un bel niente. L’unico punto fermo del versante narrativo del titolo, infatti, è l’incipit: il gioco racconta di Stanley, un impiegato che nella stanza 427 del palazzo della compagnia per cui lavora ha un solo compito, ovvero premere il tasto che gli viene indicato sul monitor che ha davanti. Il quadro sembra essere stabile e solido fino a quando un giorno il nostro si accorge che è rimasto completamente solo in ufficio: l’unica cosa da fare, dunque, è alzarsi e andare a vedere cosa sia successo. Parte da qui l’intera esperienza di gioco, talmente singolare e peculiare che durante il resto della recensione cercheremo di spiegare il meno possibile, pur lanciandoci nel (veramente) difficile compito di descrivere cosa gli sviluppatori abbiano voluto dire veramente.

Un gioco importanteIl compito di noi recensori, la maggior parte delle volte, è quello di elencare in maniera sensata i pro e i contro di un qualsivoglia videogioco, di fatto creando una netta differenza tra quello che succede dentro i nostri monitor e quello che accade nella nostra mente. In un certo senso, dunque, qualsiasi giocatore che si metta a scegliere cosa vada bene o meno in un titolo si pone in una certa posizione di superiorità. Con The Stanley Parable, invece, la sensazione è che sia il titolo a giudicare il giocatore, le sue azioni e la sua condotta. Questo perché l’intera esperienza sarà accompagnata dalla presenza straordinaria di un narratore terzo, uno di quelli che i bene informati chiamerebbero “onniscente”: sa già cosa Stanley ha fatto, dove è andato, quali scelte ha compiuto. Come dicevamo prima, la scelta principale e iniziale è quella relativa alle due porte che si incontreranno dopo pochi passi: andare a destra, dunque, o a sinistra?

Spoilerando inevitabilmente, dobbiamo dire che il nostro narratore dirà che Stanley (e quindi il giocatore) ha scelto la porta a sinistra, ma ecco che al giocatore viene subito proposta una scelta: seguire quanto detto, o andare a destra, e vedere che succede. In sostanza, dal punto di vista delle dinamiche di gioco, il titolo è tutto qua: scegliere cosa fare essendo fortemente condizionati da una voce al di sopra di noi, e del protagonista Stanley. Ci rendiamo conto che la mera descrizione a parole di questo processo potrebbe essere poco chiara, ma la verità è che per capire appieno The Stanley Parable bisogna giocarci: solo allora, infatti, si potrà capire che il titolo stesso non è altro che una incredibile riflessione sul potere della scelta, sulle sue ripercussioni nei videogiochi e sulle esperienze quotidiane. E’ qui che il videogioco ferma la sua classica funzione ludica, si pianta sullo schermo e comincia a guardarci dentro. Sarà la voce narrante a giudicare i nostri pro e i nostri contro, a rinfacciarci le nostre scelte, sempre pronta a schernire il povero Stanley e a mostrare la sua (presunta) superiorità. In pochi altri titoli è successo che il gioco stesso uscisse dalla sua finzione narrativa per scappare fuori dal monitor e sedersi vicino al giocatore. E’ successo (attenzione ai possibili spoiler!) negli splendidi deliri allucinati del primo Max Payne, quando il tormentato eroe Remedy, sognando, si rendeva conto prima di essere in un romanzo illustrato, e poi in un videogioco. E’ successo ancora nel primo Bioshock, con lo strabiliante ”would you kindly?” che ribaltava tutta l’esperienza di gioco, e spingeva a chiedersi cosa significassero veramente tutte le azioni compiute fino a quel punto dell’avventura.Una delle cose che più colpiscono di The Stanley Parable è la straordinaria sensazione che, da un momento all’altro, qualsiasi nostra piccola azione possa avere una conseguenza. Rimanete fermi per un po’ di tempo in una determinata location, ed ecco che la voce narrante comincerà a commentare in modo sarcastico. Prendete una porta piuttosto che un’altra, e verrete accolti da ambienti e situazioni mai visti prima.La cosa incredibile, però, è che le considerazioni del narratore spesso continueranno per interi minuti, e tutto ciò spinge a rigiocare il titolo fino a scoprire ogni piccola linea di dialogo pensata dagli sviluppatori. Questo ci porta al discorso relativo ai vari finali di gioco: The Stanley Parable è uno di quei titoli esplorativi dove l’attività principale è quella di girare per i vari ambienti, i quali porteranno a circa una decina di epiloghi differenti. Una volta terminata una linea narrativa, il titolo ricomincerà esattamente dalla stanza 427, con Stanley di nuovo pronto alla ricerca dei suoi colleghi. Proprio alcuni frangenti finali si riveleranno essere esperienze didascaliche e incredibilmente profonde, varie anche dal punto di vista ambientale e, crediamo di non sbagliarci, anche di gameplay. Ogni porta, ogni sentiero, porta a un’esperienza diversa, a un punto di vista differente e, spesso, a easter egg talmente piccoli e nascosti che per trovarli tutti ci si deve mettere veramente d’impegno (e magari fare un giro su Youtube).Ma cosa qual’è il significato di tutto? Forse che ogni piccolo finale diverso ci darà il senso di cosa voglia dire veramente il gioco? Non necessariamente, perché il messaggio del gioco esisterà solo nella misura in cui il giocatore si sentirà coinvolto. I meno interessati potrebbero bollare il tutto dicendo che è solo una serie di porte da scegliere, ma anche a questi giocatori suggeriamo di prendere in considerazione il titolo, che senza timori di particolari smentite risulta essere alla fine una tra le esperienze meta-videoludiche (intesa come un videogioco che parla di videogiochi) più importanti di sempre.

Ma perché tutti questi paroloni?Cosa ci spinge, oltre quanto già detto, a dire che The Stanley Parable è un titolo così importante? E’ difficile da spiegare. Potrebbe suonare come una scusa, come una voglia di non fare fino in fondo il proprio lavoro di recensore, ma la verità è che spiegare di più vorrebbe dire rovinare tutta l’esperienza. Parliamo allora dei piccoli particolari che imperniano l’esperienza di gioco: nell’epoca delle leaderboard a tutti i costi (il titolo avrà da dire la sua anche su questo aspetto), The Stanley Parable ci propone solo dieci achievement, uno più spassoso dell’altro: si parte da quello chiamato Commitment (che si ottiene giocando al titolo per la durata di un intero martedì) e si arriva a Go Outside (che premierà il giocatore che non giocherà al titolo per cinque anni di fila). Si tratta di una parodia piccola, ma riuscitissima, di una delle mode che negli ultimi anni ha preso piede prepotentemente nel gaming, sia mainstream che di nicchia. In un titolo del genere, in cui veramente niente è stato lasciato al caso, perfino i credits finali avranno una realizzazione che ha del sorprendente (e che, forse, sa di citazione al finale di un certo sparatutto Infinity Ward di qualche tempo fa).Possiamo solo accennare, poi, la descrizione di tutte le altre piccole parodie sparse qua e là per il gioco (come altre citazioni, di sicuro poco velate, di titoli famosi), oppure dei frangenti che obbligheranno il giocatore a entrare e uscire dal titolo attraverso il menu principale, che in un certo senso ci trasformeranno per davvero nella marionetta che in fondo ci si rendeva conto di essere per buona parte del primo Bioshock.Non si può non parlare, però, dello splendido lavoro di creazione delle linee di dialogo del narratore: un dialogo, a ben vedere, che dialogo non è, considerato che il nostro beffardo compagno parlerà sempre da solo. Ma chi è questa voce, e cosa rappresenta? Sono domande a cui non dobbiamo rispondere noi, in questa sede, ma il doppiaggio di Kevan Brighting è uno dei lampi dell’intera produzione videoludica 2013, reso ancora più godibile e accessibile dalla localizzazione italiana integrale (e di buona fattura) dei testi. Capace di far trasparire una gamma di sentimenti veramente molto ampia, il nobile accento inglese del narratore saprà regalare momenti sia intensi che spassosi, e possiamo dire senza timore di essere smentiti che il vero recensore del titolo stesso, quello che snocciola pro e contro, alla fine sarà proprio lui. E allora noi, poveri Stanley in cerca di un senso alla nostra esistenza, verremo giudicati per ogni nostra scelta, per ogni nostro volere, sempre obbligati a pagare le conseguenze delle nostre intenzioni.

HARDWARE

Requisiti minimi:OS: Windows XP/Vista/7/8 Processore: 3.0 GHz P4, Dual Core 2.0 (o superiore) o AMD64X2 (o superiore) Memoria RAM: 2 GBScheda grafica compatibile DirectX 9 con 128 Mb di memoria dedicata, e supporto a Pixel Shader 2.0b (ATI Radeon X800/ NVIDIA GeForce 7600/ Intel HD Graphics 2000 o superiori).Spazio su HDD: 3 GB

– Ironico, profondo e intenso

– Una delle più sorprendenti riflessioni sulla natura dei videogiochi

– Doppiaggio inglese a ottimi livelli

– Capace di sorprendere

– Rigiocabile…

– …sebbene la longevità generale sia comunque bassa

– Il prezzo, considerata la natura bizzarra del titolo, potrebbe scoraggiare qualcuno

9.0

A qualcuno farà ridere, ad altri riflettere, ad altri ancora potrebbe venire a noia. Ma se tra qualche tempo avrete da parte poco più di dieci euro (un prezzo che per un titolo indie capiamo essere magari non così basso, specie in periodo di titoloni natalizi), e non avrete acquisti arretrati da ultimare, il consiglio che vi diamo è di provare The Stanley Parable senza indugi. Un prodotto bizzarro, sopra le righe, che, giudicando il giocatore e tutte le sue scelte, riesce anche a far riflettere sulla direzione che alcuni videogiochi e sviluppatori hanno preso da qualche tempo ingraziandosi i favori del pubblico.

Insomma, va a finire che una mezza mod di Half Life 2 spiega come vanno la vita, i videogiochi e il continuo mescolarsi tra causa ed effetto? Facciamo come dicono i Galactic Café: diciamo di sì, e non diciamo di sì…

Voto Recensione di The Stanley Parable - Recensione


9