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Recensione

Taken

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 23/07/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

3

Le produzioni horror indipendenti sono spesso brillanti, innovative e capaci di terrorizzare più dei decadenti titoli ad alto budget che vivono in costante crisi d’identità. Dietro le scie di successo lasciate dai progetti più meritevoli si inseriscono spesso i cloni, che sfruttano le medesime idee cercando di dare una parvenza di diversità che dopo breve tempo viene sempre smascherata. Ci sono poi quei giochi che ci provano sul serio, quelli che hanno tutta l’intenzione di offrire qualcosa di buono senza tuttavia riuscirci in alcun modo, i frutti di una volontà ben precisa puntualmente tradita dalla mancanza di budget o di capacità. Esistono infine gli horror pessimi, che si distinguono dai disastri assoluti per via di qualche elemento che tutto sommato riesce a essere in minima parte apprezzato. Taken non ne ha nessuno, ed è per questo che rientra con “lode e bacio accademico” nell’ultima delle categorie, rivelandosi il gioco più brutto e imbarazzante di questa estate.
Labirinti di desolazione
Dal menù principale potrete scegliere tre varianti di labirinto: Thicket, Blizzard e Giza, ossia dei re-skin raffazzonati dello stesso scenario, che sembrano più delle passate di vernici differenti su pareti in procinto di crollare. Nella prima versione c’è una pioggia battente e senza rumore che cade copiosa, con gocce enormi e difformi che creano glitch visivi quando si ruota la visuale; le superfici del labirinto sono coperte invece da una fitta vegetazione chiazzata qua e là di sangue, che non dà mai alcun punto di riferimento al giocatore. In Blizzard c’è la foschia che sfuma una profondità di campo risibile, di pochi metri, accompagnata da un nevischio che cade senza posa e senza mai accumularsi sul terreno. In Giza invece non c’è nulla. Sul serio, proprio nulla. Al di fuori delle solite pareti anonime e di un parquet che stona visibilmente con tutto il resto, ci sarà solo il buio e una sensazione di profonda noia e imbarazzante inconcludenza che non vi toglierete mai di dosso, nemmeno quando spunterà lei: la bambina “zombie” che dovrebbe farvi saltare dalla sedia con un poderoso scarejump ma che in realtà è in grado di provocarvi solo un tiepido sorriso compassionevole. Questa presenza ostile, che però è sorprendentemente innocua, immobile e a suo modo tenera, è l’unico ostacolo che si frappone tra voi e il vostro obiettivo: trovare la chiave che serve per aprire il cancello, uscire dall’area e portare così a termine Taken. Questa operazione può avvenire anche in meno di cinque minuti, perché il gioco è talmente pieno di bug e mal messo che potreste trovarvi immediatamente nei pressi del cancello di uscita e superarlo senza aver bisogno della chiave. 
Mi è capitato. Ho cominciato un nuovo labirinto generato proceduralmente, mi sono avvicinato alla cancellata, l’ho superata con discreto sbigottimento e mi sono trovato davanti la scritta: “Complimenti! Adesso prova un altro livello di difficoltà”, mentre sullo sfondo l’orsacchiotto della bimba dondolava pigramente su una specie di altalena di legno. Probabilmente non esiste modo peggiore per sentirsi così sconfitti da un gioco.
Si guarda ma non si tocca
Taken è stato sviluppato utilizzando l’Unreal Engine 4, ma se non aveste visto l’inconfondibile logo durante l’avvio del gioco, non ve ne sareste mai accorti. La modellazione poligonale è approssimativa, il caricamento delle texture ritarda molto spesso, sugli effetti atmosferici di base non è stato fatto alcun lavoro di rifinitura, l’ottimizzazione è scadente, non esistono opzioni grafiche all’infuori della risoluzione video, la generazione procedurale è un disastro e restituisce volentieri risultati con varianti davvero minime, non esistono animazioni perché la bambina si muove solo lontano dalla vostra vista, la sua realizzazione tecnica è inferiore persino ai progetti amatoriali da scaricare gratuitamente, bug e glitch abbondano, e non mancano nemmeno delle oscene compenetrazioni poligonali. Soprattutto quelle causate dalla bambina, che resta per metà dentro una delle pareti mentre vi osserva stolidamente, forse in cerca di un disperato aiuto. 
L’unico nemico del gioco, più che essere uno zombi, si comporta da fantasma: si trova in un punto imprecisato dell’area e tende ad avvicinarsi a voi lentamente, senza che ve ne accorgiate; passa attraverso i muri “perché lei può” e potrebbe anche chiudervi in un angolo, senza lasciarvi via di scampo. Nel frattempo girerete a zonzo lungo i soliti corridoi, a caso, con la speranza di trovare la via che porta a un appartamento al cui interno si trova la famigerata chiave, usando fino a un massimo di dieci bengala per segnare le zone da cui siete già passati. 
Ma potrete anche non farlo, perché il più delle volte vi troverete bloccati d’improvviso, fin quando una scena d’animazione non fa girare il vostro personaggio verso il volto della ragazzina: un pastrocchio con gli occhi cerchiati di rosso, le sclere nere e una forma del viso che fa paura per i motivi sbagliati.

– Pro? Quali pro?

– Unreal Engine 4 umiliato

– Può anche finire in una manciata di secondi

– Non fa paura, ma solo tanta compassione

3.0

Cinque euro per questa roba inclassificabile è un’umiliazione totale verso gli utenti e verso chi i giochi li sa fare sul serio. Non c’è nulla da salvare in questo gioco concepito male e sviluppato peggio, perché persino alcuni titoli horror che si trovano in giro per la rete gratuitamente sono di caratura superiore. Taken è un colabrodo che fa acqua da tutte le parti, e solo il più forte dei colpi di calore potrebbe spingervi a dargli una possibilità.

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