Recensione

NBA Live 14

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a cura di Hybr1d

Il debutto della nuova generazione di console segna anche il ritorno di un franchise importantissimo per Electronic Arts, che tre anni dopo aver perso la bussola è pronto a tornare e a dare battaglia al rivale 2K, saldo al comando ormai da diverse stagioni. Come se non bastasse, i preparativi per il rientro in grande stile non sembrano girare nel verso giusto fin dall’inizio: già l’anno scorso, infatti, il titolo era stato annunciato e poi cancellato, e quest’anno, dopo una presentazione in pompa magna in occasione dell’E3 con tanto di Kyrie Irving sullo stage chiamato a far due canestri virtuali e mostrare al mondo le meraviglie dell’Ignite Engine, NBA Live 14 era nuovamente caduto nel dimenticatoio, disertando inspiegabilmente la GamesCom di Colonia ad agosto. Se da una parte non abbiamo avuto novità dal giugno scorso, dall’altra nessuna notizia di cancellazione è circolata per le redazioni, lasciando adito a due supposizioni: o il colosso di Redwood ancora credeva nel progetto, oppure ormai si erano spinti talmente oltre che il punto di non ritorno era solo un lontano ricordo. E dopo aver provato a fondo il gioco, propendiamo per la seconda.

Per me è no!Calcare il parquet di NBA Live 14 non è stata una bella esperienza. Nonostante lo strapotere dimostrato con Madden, NHL e soprattutto FIFA, EA Sports sembra faticare a trovare la quadratura del cerchio per proporre un’esperienza cestistica profonda, divertente e completa. Viste le risorse messe a disposizione da Xbox One e PlayStation 4 era lecito aspettarsi un ritorno in grande stile, snobbando l’ormai obsoleto hardware current gen per mettere alla frusta fin da subito le nuove console. E l’idea non era male: l’affascinante possibilità di racchiudere tutta la conoscenza sportiva videoludica in un unico motore di gioco che potesse muovere i poligoni di una squadra di calcio piuttosto che il sinuoso braccio di un quarterback tenendo conto di fisica, intelligenza artificiale, animazioni, dettaglio grafico e quant’altro ci aveva fatto ben sperare, ma il risultato ha dimostrato che solo con l’esperienza certi traguardi sono raggiungibili. Se sei a digiuno di NBA da tre anni, è impensabile sopperire a tale assenza facendo affidamento su sport diametralmente opposti. In NBA Live 14 neppure la grafica si salva. Ed è il minore dei problemi.Scesi sul parquet, basta la palla a due per capire che qualcosa non quadra. Le animazioni paiono fin da principio legnose, poco fluide e completamente slegate tra di loro, degne più del suo predecessore piuttosto che di un titolo next gen. Siamo lontani anni luce dalle sinuose movenze del titolo 2K, così come da quelle che siamo abituati a vedere sui campi di calcio di EA Sports. L’Ignite tanto sbandierato non si trova nella gestione dei cestisti, con il risultato di uno sbilanciamento che porta a un certo appiattimento del gameplay e a una gestione della palla davvero poco realistica. Da una parte abbiamo tutta una serie di trick palla in mano fin troppo facili da eseguire, e dall’altra troviamo una difesa avversaria dal comportamento altalenante, talvolta imbambolata, talvolta insormontabile, che dopo un paio di partite lascia interdetti. L’eccessivo sbilanciamento costringe ad affidarsi alle penetrazioni, anche perché imbastire azioni corali con un minimo di complessità si rivela un’impresa piuttosto ardua, a partire dai comandi. Abbiamo a disposizione solamente due tipi di passaggi, uno diretto e l’altro più morbido, ma entrambi lenti e prevedibili. I tiri sono quasi sempre uguali e manca completamente la sensazione di “ritmo” data invece ottimamente dal pro stick 2K, fine strumento di magnificenza cestistica. Chiamare un pick & roll oppure selezionare un compagno utilizzando le icone dei tasti sono operazioni che richiedono un certo contorsionismo delle falangi, impegnate contemporaneamente a mantenere premuti i grilletti posteriori e a premere i tasti frontali con il giusto tempismo, il tutto in un gesto che è diametralmente opposto alla banalità e all’eccessiva semplificazione dei passaggi di cui sopra.

Next what?La frustrazione di non riuscire ad imbastire un’azione corale per l’approssimativa gestione dei giocatori senza palla viene ulteriormente fomentata da un sistema di collisioni pessimo e da una fisica della palla che sembra uscita da un fps. La sfera è totalmente scriptata, si incastra alla perfezione nella mano del portatore che, indipendentemente dalla sua bravura, la fa rimbalzare baldanzoso anche nel traffico più serrato, senza mai perderla, complice anche la succitata difesa avversaria incostante, il cui divenire imbattibile o bloccarsi del tutto ovviamente è indipendente dalle statistiche dei giocatori. Lo stesso si ripete nei rimbalzi, vera croce sotto canestro, talmente pilotati da rendere inefficace il tempismo nel salto del giocatore. La pessima fisica della palla inficia anche tutte le azioni di intercetto, dalle palle rubate alle stoppate, irrealistiche all’ennesima potenza e arma in più per la difesa avversaria che ne fa un uso indiscriminato e inspiegabilmente sempre vincente. Tra le altre cose inspiegabili di questo titolo dal gameplay raffazzonato, figura un’intelligenza artificiale inebetita sia a livello difensivo che offensivo. Una volta che ci si porta in attacco palla in mano, i compagni di squadra si fissano nella loro posizione aspettando inesorabili un passaggio illuminante: non tagliano, non cercano un dai e vai, non si propongono in alcun modo. Aspettano al più che venga chiamato uno schema, abbattendo ai minimi storici il ritmo di un titolo che per sua natura dovrebbe essere spumeggiante e altamente spettacolare. Gli avversari non se la cavano meglio, proponendosi in attacco quasi esclusivamente con azioni di sfondamento, ignorando il tiro dalla media, le penetrazioni e le più semplici giocate in pick & roll. Cosa ancora più sconcertante è che tutte le squadre si comportano allo stesso modo: sia che giochiate contro i Lakers, gli Heat o i Knick in crisi nera, non ci saranno differenze negli schemi o nell’interpretazione della partita, per un’esperienza all’insegna della ripetitività. Stesso discorso per la pochezza del lavoro di personalizzazione fatto sui singoli giocatori: se dal punto di vista estetico la somiglianza alla controparte reale è visibile, sul fronte delle movenze i conti non tornano. Palleggio, trick, schiacciate, tiri liberi vengono eseguiti da tutti i giocatori nell’unica manciata di varianti disponibili, minando ulteriormente quel castello di carte che è NBA Live 14. Come detto in precedenza, il punto debole è proprio l’Ignite Engine, ancora troppo acerbo per quanto riguarda la palla a spicchi. Non avessimo tastato le sue potenzialità con FIFA, diremmo che si tratta di un fallimento dalle proporzioni epiche, ma visto che il calcistico si è dimostrato solido, curato e divertente non ci resta che sperare in una più assennata programmazione dello stesso per l’anno a venire. I modelli poligonali troppo plasticosi dei giocatori sono già datati all’esordio, rivelandosi una spanna abbondante inferiori a quanto visto fin’ora su next-gen. Le arene sono spoglie, gli effetti di luce approssimativi, il pubblico poco più che una formalità e il bilanciamento dei colori poco riuscito, appiattendo le inquadrature e la spettacolarità di una notte NBA. Nonostante la partnership con ESPN, manca la coinvolgente impostazione da broadcast televisivo. In cabina di commento troviamo il duo Mike Breen e Jeff Van Gundy, per un accompagnamento che, come il resto del titolo, appare piatto, acerbo e monotono: dopo un paio di partite la mancanza di varietà si fa sentire, così come l’eccessiva semplicità dei dialoghi, mai riferiti in maniera approfondita alla storia o alle statistiche delle squadre in campo.

Manca la scintillaCome da tradizione EA Sport, il fronte delle modalità si presenta corposo e variegato, anche se, con tutte le criticità evidenziate fino ad ora, non si possono fare miracoli. I menu di gioco riprendono l’interfaccia a mosaico del collega calcistico, organizzando i contenuti in maniera semplice e accessibile. Dalla ricca offerta spicca la modalità Scenario, che ci permette di rivivere le partite della stagione in corso con la squadra del cuore oppure ripercorrerne i momenti particolarmente importanti. Ad esempio avremo nove secondi a disposizione per segnare la tripla decisiva nei panni di Russell Westbrook contro i Golden State Warriors e portare alla vittoria i Thunder, oppure mettere a referto un certo numero di assist nei panni del play dei Clippers, Chris Paul. La varietà è eccellente e le sfide sono in continuo divenire grazie a costanti aggiornamenti basati sulle partite realmente disputate. Più banali e prive di mordente le classiche modalità Carriera e Dinastia, con il solito percorso verso la Hall of Fame nei panni di un singolo giocatore o di un general manager. La prima è quella che soffre maggiormente il confronto con la controparte made in 2K, perdendo di realismo già alla prima partita. Dopo lo showcase pre draft, notiamo che si passa subito alla notte dei pick senza alcun colloquio con i general manager dei team interessati a metterci sotto contratto. Arrivati nella nuova squadra, qualunque essa sia, indipendentemente dal ruolo e dal turno in cui siamo stati scelti nel draft, veniamo subito buttati in quintetto base già dalla prima partita, anche se questo significa lasciare in panchina stelle come LeBron James, Kobe Bryant o Kevin Durant. Come se non bastasse, veniamo messi in competizione diretta con i nostri pari ruolo più blasonati con la richiesta di superarli nelle statistiche fin dall’esordio in NBA, abbandonando qualsiasi velleità di realismo. Una volta in campo le cose non migliorano, complice una gestione del giocatore palla in mano troppo macchinosa, l’annosa questione delle chiamate di schemi e pick & roll e una gestione delle statistiche troppo limitante. In tal senso il nostro alter ego virtuale risulta eccessivamente ancorato al suo ruolo iniziale, con uno stile di gioco predefinito incapace di evolvere in più direzioni: questo si traduce in un assottigliamento del ventaglio di possibilità su cui fare affidamento, riducendo a una manciata il numero di azioni efficaci per il tipo di giocatore selezionato. A sostenerne il percorso di crescita ci sono come al solito i punti esperienza da guadagnare sul campo, con un sistema che mostra profonde lacune in fase di assegnazione. Oltre a perdere puniti per aver perso palla, aver fatto segnare il nostro pari ruolo o esserci presi un tiro forzato, verremo penalizzati anche solo per non aver tirato nel momento giusto o per aver effettuato un movimento a vuoto. Le penalizzazioni a livello di punti per ognuno di questi “errori” diventano presto pesanti da recuperare, contando anche che non verremo premiati per aver subito un fallo, realizzato tiri liberi o subito uno sfondamento. Il tutto trascina il giocatore in un vortice di frustrazione che lo costringe ad affidarsi quasi esclusivamente alle penetrazioni e alle azioni personali per evitare ogni penalizzazione, rendendo inevitabilmente l’esperienza noiosa e ripetitiva. Come se non bastasse, fuori dal campo non c’è niente, il nulla cosmico. La nostra vita si ricuce ad una scatola, l’arena. Niente rapporti con la stampa, con i compagni, con la dirigenza. Niente contratti pubblicitari, niente social network, niente coinvolgimento. L’esatto opposto di quanto accaduto con il titolo 2K, che con un minimo di trama era riuscito nell’intento di far fare un ulteriore salto di qualità alla modalità, rendendola coinvolgente anche fuori dal campo. Male anche la Dinastia, talmente incentrata su numeri e statistiche da perdere ogni appeal dopo qualche minuto in sua compagnia. Altro fiore all’occhiello dei titoli EA Sports è la modalità Ultimate Team, presente anche in questa occasione ma poco profonda e solo abbozzata rispetto a quella di FIFA, riconfermando, se ce ne fosse stato bisogno, che NBA Live 14 allo stato attuale delle cose è un grande cantiere aperto in cui ci sono lavori da terminare in ogni dove. La formula è quella solita: tutto ruota attorno allo scartare i pacchetti nella speranza di trovare le superstar da utilizzare nelle partite online, ma la mancanza di una feature importante come l’affinità tra i giocatori ne fa calare le quotazioni, senza contare che poi bisogna scendere in campo, e ormai abbiamo imparato a cosa andiamo incontro…

– Modalità Scenario

– L’alternativa è NBA 2K14

– Gameplay monotono e poco profondo

– Graficamente già datato

– Animazioni, IA, contatti e fisica della palla da rivedere

– Modalità prive di mordente e monotone

– Manca di personalità

4.0

Il ritorno del cestistico firmato EA Sport è un flop dalle proporzioni abbastanza importanti. Se non ci fossero FIFA e Madden a confermare che l’Ignite Engine, se usato in maniera consona, ha potenziale da vendere, non avremmo esitato a definirlo un flop colossale. NBA Live 14 evidenzia tutti i limiti di un ritorno in campo dopo una pausa forzata dalla quale non ci si è ancora ripresi completamente: presenta lacune, imperfezioni, mancanze, problemi di bilanciamento in ognuna delle sue numerose modalità, allo stato attuale solo abbozzate. Manca profondità, coinvolgimento, passione, atmosfera. Manca la scintilla che ti fa innamorare del basket al primo palleggio. Le collisioni sono da dimenticare, così come l’intelligenza artificiale, la fisica della palla, le animazioni, la modellazione dei personaggi, la Carriera e la Dinastia. Solo lo Scenario si salva. Un po’ pochino, vista la concorrenza.

Voto Recensione di NBA Live 14 - Recensione


4