Il dibattito sul futuro della saga Just Cause si è riacceso nelle ultime ore, non attraverso un annuncio ufficiale o una dichiarazione aziendale, ma attraverso le parole dirette di Christofer Sundberg, fondatore di Avalanche Studios.
Dopo mesi di voci su un quinto capitolo che sarebbe stato avviato e poi cancellato, Sundberg ha deciso di intervenire personalmente sui social network per chiarire una volta per tutte la situazione.
La sua posizione è netta: Just Cause 5 non rappresenta al momento una soluzione praticabile per lo studio svedese e non sarebbe comunque sufficiente a risollevare le sorti di una compagnia che ha attraversato tempi difficili.
La riflessione del fondatore di Avalanche va oltre la semplice analisi di mercato e tocca questioni più profonde legate all'identità dello studio.
Secondo Sundberg, ciò di cui la compagnia ha davvero bisogno non è un altro sequel di una formula collaudata, ma un ritorno alle origini creative: ritrovare la passione, osare con progetti ambiziosi, persino "infastidire le persone" e sviluppare videogiochi che l'industria considererebbe impossibili da realizzare.
Una dichiarazione che suona quasi come un manifesto per il futuro dello studio, ma che implicitamente ammette le difficoltà attraversate negli ultimi anni.
Il contesto in cui si inseriscono queste parole è infatti tutt'altro che roseo. Nel corso del 2023, Avalanche Studios ha dovuto affrontare tagli significativi al personale e la chiusura di due studi, una ristrutturazione che ha inevitabilmente segnato l'azienda e ridotto drasticamente il team originale che aveva dato vita alla serie.
Ed è proprio questo uno dei motivi principali per cui, secondo Sundberg, un quinto capitolo sarebbe oggi impraticabile: pochissimi membri del gruppo creativo originale sono ancora in forze alla compagnia.
Particolarmente interessante è l'autocritica che Sundberg rivolge a se stesso riguardo al quarto capitolo della serie, uscito nel 2018.
Il fondatore ammette apertamente le proprie responsabilità nell'insuccesso di Just Cause 4, spiegando come si sia dovuto allontanare dal team creativo per occuparsi di questioni aziendali, problemi editoriali e riorganizzazione dei ruoli.
Una distrazione dalle attività creative che, a suo dire, ha pesato sulla qualità finale del prodotto.
Eppure Sundberg nota con rammarico come il gioco, nella sua versione attuale dopo gli aggiornamenti, dimostri un potenziale significativo che forse non è stato adeguatamente valorizzato al lancio.
La saga di Just Cause, nata nel 2006, si è caratterizzata fin dall'inizio per un approccio particolare al genere open world: meno attenzione alla narrazione e alla profondità delle meccaniche, più focus su distruzione spettacolare, esplosioni a catena e un sistema di movimento verticale basato su rampino e paracadute che offriva grande libertà al giocatore.
Nel corso di quattro capitoli, la formula si è evoluta ampliando le possibilità di interazione con l'ambiente e moltiplicando le opzioni di caos controllato, senza però riuscire a conquistare un pubblico sufficientemente ampio da garantire la sostenibilità economica della serie.
La questione sollevata da Sundberg pone interrogativi più ampi sul modello di sviluppo dei grandi franchise videoludici. In un'industria sempre più orientata verso produzioni dai budget enormi e aspettative di vendita altrettanto elevate, anche serie relativamente popolari come Just Cause faticano a giustificare investimenti per nuovi capitoli se i risultati commerciali non raggiungono determinate soglie.
Il messaggio del fondatore di Avalanche sembra suggerire che l'unica via d'uscita per lo studio non passi attraverso il ritorno a territori conosciuti, ma attraverso il coraggio di sperimentare e innovare, anche a costo di dividere il pubblico.
Resta da vedere quale direzione prenderà effettivamente Avalanche Studios nei prossimi anni. Le parole di Sundberg sembrano escludere categoricamente un Just Cause 5 nel breve-medio termine, ma lasciano aperta la porta a progetti potenzialmente più audaci e innovativi.
Per i fan della serie, si tratta probabilmente di una chiusura definitiva di un capitolo, mentre per l'industria rappresenta l'ennesimo esempio di come anche franchise apprezzati possano trovarsi improvvisamente senza futuro in un mercato sempre più competitivo e concentrato.