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Morte e rinascita di Capcom | Dal pericolo della bancarotta all'anno del definitivo rilancio

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 11/01/2019 alle 09:40
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Il Verdetto di SpazioGames

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"Dalle stelle alle stalle... E ritorno" potrebbe essere la frase ideale per disegnare la sinusoide che Capcom ha tracciato durante la sua lunga permanenza nel settore. Dal successo delle IP fino ad arrivare a un passo dal fallimento, e dalla effettiva rinascita che sta vivendo il colosso di Osaka, emergono però delle certezze: le serie importanti, quando sviluppate con criterio e tenendo bene in mente gli elementi che ne hanno decretato il successo, fanno la fortuna delle software house. Le sperimentazioni, gli scimmiottamenti e gli adattamenti alle mode spesso sono degli harakiri da cui difficilmente ci si può riprendere. Capcom ce l'ha fatta per un soffio, è stata letteralmente tirata per i capelli proprio quando tutti la davano per spacciata e si sta preparando per un anno col botto e un futuro roseo. Non sappiamo se ci sarà un altro ciclo nefasto, ma uno splendente e carico di aspettative è appena iniziato.

Fino a qualche anno fa si prospettava uno dei più grandi dispiaceri della storia di questo settore, un tracollo che sembrava solo questione di tempo, una morte annunciata: Capcom, grandiosa azienda detentrice di alcune tra le più significative e iconiche proprietà intellettuali del mercato, era sull’orlo della bancarotta.

Anno dopo anno annaspava sempre di più, i dati finanziari erano disastrosi, la confusione regnava sovrana e pareva che d’improvviso quell’incredibile verve creativa fosse del tutto svanita, evaporata, estinta. I motivi sono facilmente individuabili, così come sono chiari quelli che stanno per riportare la corona sulla testa della società di Osaka, che si sta riscoprendo regina del mercato e di nuovo amante di se stessa dopo un autolesionismo clinico e apparentemente inguaribile.

capcom

A un Passo dalla Fine

Con quella che potrebbe essere definita “Crisi del Sol Levante” si fa riferimento al periodo che va all’incirca dall’inizio degli anni 2000 fino ai dodici anni successivi, ossia da quando il boom del progresso occidentale ha in parte oscurato la stella del Giappone, da sempre avanguardia del settore. Le aziende orientali, non sentendosi più forti come un tempo e di fatto non più in grado di sopperire alle lacune tecniche che nel frattempo si erano create, hanno iniziato a vacillare, a credere sempre meno nelle loro innate capacità.

La spaccatura si è creata esattamente nel momento in cui le aziende americane ed europee hanno dato un’impronta decisiva alle loro produzioni, facendo emergere (grazie al forte gradimento di pubblico e critica) tutti quei titoli che sono – per concept, approccio allo sviluppo, tematiche, modalità di narrare e intendere i generi – profondamente diversi da quelli asiatici. Ne è nata una crisi d’identità da far spavento, e anche Capcom è caduta in quella brutta trappola che per poco non gli faceva lasciare le penne.

Resident Evil aveva preso la direzione sbagliata, tentando di scimmiottare i TPS del periodo con risultati da far accapponare la pelle per i motivi sbagliati; gran parte dei giochi erano sub-appaltati ad aziende occidentali dalle dubbie capacità, che hanno indebolito i franchise e messo in cattiva luce l’azienda agli occhi dei fan; le produzioni interne erano drasticamente diminuite e avevano perso completamente di vista le vecchie linee guida.

Le vendite calarono, le difficoltà si fecero sentire e le politiche commerciali, come se non bastasse, divennero sempre più inspiegabili: come se per recuperare il denaro, Capcom vedesse nei DLC a valanga (e nelle riedizioni degli stessi giochi a pochi mesi di distanza) le uniche vere risorse per contravvenire ai conti che si stavano tingendo di rosso. E ricordiamolo, era anche il periodo in cui i DLC erano oggetto di vituperio al pari delle loot box di oggi, con contorni ovviamente diversi.

Un bel casino, non c’è che dire: tutti gli utenti e tutti gli addetti ai lavori la davano ormai per spacciata. Eppure serpeggiava sempre la solita domanda, mentre la situazione peggiorava di giorno in giorno: com’è possibile che un’azienda come Capcom, con quel portfolio pazzesco di IP, sia così cieca o incapace di capire che le risorse le ha in casa propria?

Rebirth

È una questione culturale: il Giappone si rialza sempre. Lotta con onore e vince; se non vince, soccombe, impara dagli errori e torna più forte di prima. Cambia pelle, si rinnova, si adatta, e tutte le volte che lo fa, è sempre grazie alla sua unicità e a ciò che ha dentro. In casa, appunto.

E allora Capcom, dopo un periodo di prove generali, di tiri aggiustati, di fisiologico assestamento, di tentativi non a vuoto ma certamente più giudiziosi, attenti e rispettosi per utenti e serie, è riuscita a ritrovare la retta via. E questo 2019, in fin dei conti, non può che essere l’anno della ritrovata solidità.

I giochi di punta non sono più sub-appaltati e vengono sviluppati dai team interni, c’è una strategia ben delineata che mira a riportare in auge tutto il meglio dell’azienda – accontentando vecchi e nuovi utenti – e le scelte commerciali iniziano ad essere quelle giuste, col il futuro che appare finalmente ben più che roseo. La possibilità che il remake di Resident Evil 2 possa essere un flop ha una percentuale pressoché insignificante, Devil May Cry V potrebbe diventare uno dei nuovi punti di riferimento per il genere, Monster Hunter è sempre sulla cresta dell’onda e qualcosa proveniente dal passato (lo hanno fatto capire a più riprese) si sta muovendo nell’ombra. Lo ripetiamo: si sta muovendo davvero qualcosa per quanto riguarda le serie più vecchie, ma non vogliamo fare nomi per scaramanzia.

Intanto, la riproposizione di Onimusha fa capire che Capcom inizia a fare seriamente i suoi “sondaggi” (e i suoi conti per eventuali rilanci). Inizia a tastare il polso alla community, a capire se davvero il passato è solo intriso di nostalgia o se esiste la possibilità di ricostruire nuove fortezze attorno a quegli allori su cui ci si è adagiati per troppo tempo. Noi ci crediamo. I segnali sono sono troppo evidenti per essere ignorati. Il 2019 sarà l’anno di Capcom.

“Dalle stelle alle stalle… E ritorno” potrebbe essere la frase ideale per disegnare la sinusoide che Capcom ha tracciato durante la sua lunga permanenza nel settore. Dal successo delle IP fino ad arrivare a un passo dal fallimento, e dalla effettiva rinascita che sta vivendo il colosso di Osaka, emergono però delle certezze: le serie importanti, quando sviluppate con criterio e tenendo bene in mente gli elementi che ne hanno decretato il successo, fanno la fortuna delle software house. Le sperimentazioni, gli scimmiottamenti e gli adattamenti alle mode spesso sono degli harakiri da cui difficilmente ci si può riprendere. Capcom ce l’ha fatta per un soffio, è stata letteralmente tirata per i capelli proprio quando tutti la davano per spacciata e si sta preparando per un anno col botto e un futuro roseo. Non sappiamo se ci sarà un altro ciclo nefasto, ma uno splendente e carico di aspettative è appena iniziato.

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