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Occhio Critico - La serializzazione eccessiva

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Pubblicato il 19/11/2014 alle 00:00

Era solo questione di tempo, perché i videogiochi sono un medium relativamente giovane, e come tale, doveva ancora apprendere vizi e virtù di cugini illustri, come il cinema e, in misura minore, la letteratura.Alla fine, la serializzazione estrema è divenuta realtà, allargandosi come una macchia d’olio su un pavimento pulito dal solo genere dei giochi sportivi a praticamente tutti quelli conosciuti, abbracciando, senza distinzioni, action in terza persona, FPS, rhythm game, picchiaduro, racing game e tutti gli ibridi derivati dalle conseguenti contaminazioni.Se appare evidente come questa pratica produca benefici per i publisher, che effetti ha sul mercato in senso più ampio e su noi videogiocatori?

Giocato uno, giocati tuttiLa generazione di console uscente ha indicato la via per quella entrante, e per un trend che, temo, ci accompagnerà ancora per parecchi anni: se un gioco vende riproponilo quante più volte possibile.Per evitare di passare per l’ultraottantenne seduto sulla panchina del parco che rimugina sui “bei tempi andati”, specifico che questa tendenza non è affatto nuova nel mondo dei videogiochi, e che anzi è una delle più radicate sin dall’epoca delle console a 8 bit: ciò che però è cambiato, e non di certo in meglio, è la frequenza con cui vengono riproposti i titoli, che per moltissimi franchise sul mercato è ormai annuale.Da questa breve analisi devo giocoforza eliminare i titoli sportivi, come anticipato: per loro stessa natura, la cadenza della loro uscita sul mercato non si è modificata negli anni, e rimarrà verosimilmente uguale a se stessa finché il videogioco come lo conosciamo oggi avrà motivo di esistere.A dirla tutta, anche riguardo ai titoli sportivi ci sono due scuole di pensiero: quella degli integralisti, che pretendono di giocare con le rose aggiornate e che comprano il prodotto soprattutto per fruirlo online, per i quali dodici mesi sono un periodo fin troppo lungo di attesa, e quelli come me, che invece ritengono che basti comprare un FIFA o un NBA 2K ogni 2-3 anni piuttosto che pagare a cadenza annuale, per ottenere semplici reskin dei giocatori.Se sono comunque disposto ad accettare questa pratica per i titoli che riproducono gli sport professionistici, però, lo sono molto meno per degli action game in cui sembra cambiare solo l’ambientazione storica, o per degli FPS che si distinguono l’uno dall’altro solo dal sottotitolo.Come siamo arrivati a questa situazione? Colpa nostra. Sì, avete letto bene, colpa nostra e non dei publisher e delle case di sviluppo. Analogamente a quanto accadeva nei primi anni ’90, quando il grande successo di titoli su licenza spingeva le case di sviluppo a spendere più sulle licenze ufficiali che sull’effettiva realizzazione del gioco, con i risultati che potete immaginare, fin quando i dati di vendita continueranno a premiare titoli uguali a se stessi che escono con la stessa frequenza con cui siamo costretti a pagare il canone RAI, il mercato non potrà che peggiorare.

Analisi di coscienzaUrge quindi una franca analisi di coscienza: mettiamo che ognuno di noi (compreso il sottoscritto, s’intende) avesse la possibilità di fare dei soldi facili, minimizzando i costi e gli sforzi e facendo felici, nel contempo, milioni di fan. Chi rifiuterebbe? Io no di certo.Ecco perché sorrido quando, nelle sempre più rare sortite nei forum e nei thread di discussione, leggo di utenti inferociti che sparano a zero contro chi i giochi li produce e non contro chi li compra. Siamo davvero così sicuri che sia colpa di Ubisoft se ogni iterazione della saga degli Assassini vende milioni di copie, anche a meno di dodici mesi dalla precedente? Abbiamo davvero la coscienza così pulita da puntare il dito contro Activision e uno qualsiasi dei capitoli di CoD, sebbene si faccia fatica a distinguerli gli uni dagli altri?Io credo di no, perché spesso, presi singolarmente, questi prodotti sono più che validi, e sanno coniugare gameplay e spettacolarità: il loro problema, in altre parole, non è la qualità intrinseca, ma il rapporto tra il costo richiesto per goderne e le effettive migliorie apportate rispetto alla precedente versione.Ma quale folle sprecherebbe tempo ed energie a modificare un giocattolo che non solo non è rotto, ma che addirittura genera fatturati a nove zeri?Nonostante sappiano farsi sentire quando vogliono, aiutati da un potente mezzo come la rete, i videogiocatori sono ancora un’entità in divenire, troppo eterogenea per muoversi in maniera compatta in un’unica direzione, e, come tale, non ancora padrona del mercato e del medium:se davvero la maggioranza che sembra trasparire dai forum esistesse davvero, quella maggioranza che getta la croce addosso ad alcune delle saghe più vendute ed amate, queste stesse serie non esisterebbero più, condannate da dati di vendita pietosi.E invece non conoscono tentennamenti, tanto che adesso, rimanendo all’esempio di sopra, gli Assassin’s Creed in uscita sono addirittura due nello stesso giorno, uno per console next gen e uno per gli aficionados delle vecchie macchine.Questo succede per due motivi: in primis perché, nonostante la cronica mancanza di novità a livello di gameplay, questi prodotti hanno l’innegabile merito di unire dinamiche familiari con ambientazioni inedite, portando per mano il giocatore all’interno di mondi che sono, nel contempo, nuovi e noti. Come quando la dolce metà si cimenta con un piatto nuovo e ve lo fa assaggiare, o come quando, dopo aver amato alla follia il vostro cane, prendete un altro cucciolo qualche mese dopo la sua morte.L’altro motivo è che spesso, dietro una tastiera, non si ha faccia né coerenza, e si scrive il peggio possibile dell’ultimo Call of Duty, spergiurando di non averci mai speso un euro, solo perché delusi dopo averlo appena portato a termine. Non vi sarebbe altra spiegazione, altrimenti, perché lo sforzo di immaginazione richiesto per credere che tutti gli acquirenti dei suddetti franchise non abbiano accesso alla rete è francamente eccessivo.

We get what we give?Ma allora se il mercato è saturo di seguiti di seguiti a cadenza annuale è solo colpa dei videogiocatori? Non proprio, o meglio, non del tutto.Ai publisher e alle grandi case di sviluppo (non solo quelle portate come esempio negli scorsi paragrafi) sono infatti imputabili un eccessivo conservatorismo e una preoccupante carenza di creatività, che, sommate, finiscono con lo spiegare perché le nuove IP latitano.Come per il cinema, la storia dei videogiochi l’hanno fatta quei geni creativi che hanno osato, rischiando la faccia e il portafogli: qualcuno di loro ha portato un idraulico baffuto nelle tre dimensioni senza paura, altri hanno inventato il genere dei survival horror con una trama da b-movie e inquadrature fisse, altri ancora hanno mascherato un RPG da FPS e lo hanno inabissato a Rapture.Potrei portare esempi per delle ore, citando moltissimi game designer che all’epoca erano in equilibrio su una corda senza alcuna rete di protezione, mentre oggi molte delle grandi software house potrebbero permettersi un passo falso senza per questo chiudere i battenti.L’arrivo della nuova generazione di console, sulla carta, avrebbe dovuto segnare un punto di svolta, poggiando questa su cardini tecnologici decisamente più solidi e potendo contare su una fan base enormemente cresciuta rispetto al debutto di PS3 e Xbox 360: finora, invece, molte delle aspettative sono state disattese, e i giochi veramente nuovi, nel concept e nel modo di intendere il medium videoludico, si contano sulle dita di una mano. Monca.Noi videogiocatori abbiamo però un’incrollabile fiducia nel domani e sappiamo perdonare pugnalate inattese più di una casalinga rassegnata ai tradimenti del marito infedele, e quindi siamo pronti a cambiare idea e lasciarci intrattenere da fuochi d’artificio ed effetti speciali.Adesso la palla passa nelle mani di chi, negli ultimi otto anni, ha incassato milioni di dollari (o euro, rigorosamente con cambio uno a uno) anche grazie a titoli usciti a cadenza annuale.A buon intenditor, poche parole…

Lamentarsi di un’industria videoludica che viene plasmata dalle nostre scelte di videogiocatori e dal modo in cui spendiamo i nostri soldi è un esercizio inutile e dannoso per la salute: se qualche stortura c’è, ne siamo colpevoli quanto, se non più, di chi i giochi li sviluppa per noi con il fine ultimo di farceli comprare.

L’unica cosa che possiamo fare è selezionare al meglio come e dove spendere i nostri risparmi: in alternativa, possiamo interagire con gli sviluppatori nel modo più educato possibile (tramite forum, social network e così via) per renderli partecipi dei nostri bisogni, delle nostre speranze e dei nostri sogni.

Perché, in fondo, noi videogiocatori siamo tutti un po’ bambini, e i bambini sognano. Tanto.

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