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Anteprima

Shadow of the Tomb Raider, l'ultima prova prima della recensione

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Avatar di Matteo Bussani

a cura di Matteo Bussani

Pubblicato il 10/08/2018 alle 00:00
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Manca davvero poco all’uscita di Shadow of the Tomb Raider. Con questo pretesto l’ultimo capitolo della trilogia delle origini a cavallo tra archeologia e mistero, di cui è protagonista una delle eroine per eccellenza del pantheon videoludico, ci ha concesso una prova veramente approfondita di quello che vedremo nel prodotto finito. Cinque ore davanti agli schermi hanno confermato una Lara che ha compiuto una crescita psicologica e personale non indifferente, parallelamente a un gioco che in quanto a gameplay ha interpretato l’evoluzione con la stessa filosofia. La stratificazione del game design si vede su più livelli, ma tutto ciò senza dimenticare la tipica sensazione di progressione narrativa che ha dato l’ossatura ai precedenti piloni di questo reboot. Continuità e trasformazione, dunque, entrambi tangibili nel gioco di Square-Enix e che cercheremo di raccontarvi in questa anteprima. Ovviamente senza spoiler s’intende. 
Lara Croft è alle prese con una vera e propria apocalisse: il mondo ha bisogno di lei. Questo dà il là all’avventura della nostra beniamina: una premessa tanto importante quanto nota in questo genere, che ci porta all’improvviso a viaggiare alla ricerca di manufatti e città dell’oro che i miti rievocano come leggendari e miracolosi.  
Un viaggio che, per chi ha giocato ai precedenti capitoli, è veramente familiare. Il cuore del design si sviluppa attorno agli stessi meccanismi action, platform e puzzle stranoti ai più. L’action prevede sessioni che possono essere affrontate in maniera stealth oppure a canne di fucile spiegate, così come il platform permea l’avventura con fasi di scalata dinamica e i puzzle ambientali rallentano il ritmo proponendoci un diverso tipo di sfida. Tutto ciò viene magistralmente riassunto dai primi passaggi dell’avventura, che incalzano con un ritmo sfrenato il giocatore per riportare alla memoria gli automatismi e le tinte della serie.  
Da qui in poi scopriamo un raffinamento continuo di quanto visto. Il rampino a livello di meccaniche di gioco è l’evoluzione più tangibile e caratteristica: apre il titolo a un’esplorazione verticale degli ambienti. In particolare l’atto della discesa è tra i più presenti: sintomo di una Lara che effettivamente sta compiendo il suo rito di passaggio per diventare la Tomb Raider che tutti conosciamo. Discese che poi la porteranno ad affrontare tombe, cunicoli, ma anche sessioni subacquee frequenti e ansiogene, piene di insidie e pericoli.  
Si sviluppano così altre due considerazioni, la prima relativa alle ambientazioni, sempre variegate, ma che per l’occasione si concentrano nel bioma della giungla, mentre la seconda legata agli hub di gioco.  
 
Quale ambiente meglio della giungla, così insidiosa e selvaggia, potrebbe ospitare la missione di Lara in Shadow of the Tomb Raider. Forse nessuno e, come ci hanno spiegato anche gli sviluppatori nella loro intervista, essa è il perfetto parallelo della protagonista. Le dà la possibilità di esprimersi al meglio, di palesare tutte quelle esperienze in termini pratici e psicologici che le abbiamo visto accumulare nei capitoli preparatori. Da una parte l’apertura di certe sezioni conduce a un’inevitabile occlusione tipica dei sotterranei, mentre la rigogliosa e imprevedibile vegetazione nasconde a un occhio disattento i tesori dell’ambiente. I continui contrasti impongono anche a livello visivo un imperterrito passaggio fra luce e tenebra e aprono ad alcuni virtuosismi grafici che in 4K su Xbox One X abbiamo potuto assaporare al meglio. 
A conti fatti, la giungla funziona, e alla grande, per cui non possiamo che essere d’accordo con quanto detto dagli sviluppatori. 
  
Il gioco si costruisce su ottime fondamenta e il giocatore si lascia trasportare da un gameplay amico, ma sempre stuzzicante. Forse finora un po’ meno in occasione dei puzzle, molti dei quali non si allineano alla praticità di chi in questo genere ha sguazzato parecchio. Poche combinazioni richieste, sezioni platform elementari, fanno però il paio con una struttura della difficoltà che nelle prime ore vuole avvicinare anche coloro che vogliono disattivare gli aiuti in fase di esplorazione.  
Da questo capitolo sarà possibile tarare la difficoltà di ogni aspetto in modo tale che aderisca alle nostre capacità e questo ha reso probabilmente gli sviluppatori un po’ più cauti nel proporre difficoltà già all’inizio del percorso.  
In ogni caso main quest, side quest e tombe, devono ancora mostrarci il loro vero potenziale: siamo abbastanza certi che con l’avanzare dell’avventura tutti troveranno pane per i loro denti.  
Altro punto dove Tomb Raider compie un’evoluzione piuttosto netta è nella gestione degli hub di gioco. Essi, di cui l’esempio più fulgido lo potete visionare nel video gameplay pubblicato dagli sviluppatori su Paititi, sono il punto di partenza di tutte le azioni di Lara. 
Qui facciamo la conoscenza di piccole comunità e, anche se in maniera abbastanza superficiale, entriamo nelle dinamiche cittadine portando in esse un po’ di Lara Croft. Siamo chiamati a intervenire di fronte alle ingiustizie che determinano i rapporti fra gli abitanti, possiamo aiutare chi ne ha bisogno e possiamo anche incuriosirci di certe dicerie per indagare sull’ambiente che ci circonda.  
Elementi che nel quadro del gioco cercano di avere sempre una collocazione temporale e logica coerente con l’avventura principale, ma che anche per questo motivo non si inerpicano in intrecci particolarmente complessi. Una volta rallentato il ritmo di gioco, sostenuto dall’incalzante azione della Trinità, la “pausa” ha quasi sempre una spiegazione, anche se l’idea di un’apocalisse in atto da procrastinare è sempre un pensiero da cui diventa difficile uscire.  
Per fortuna la gestione delle abilità ha una struttura che amalgama l’esplorazione con l’esperienza. Completare side quest può portarci a scoprire scrigni in grado di apprendere una nuova skill, che possiamo anche scoprire autonomamente utilizzando i punti esperienza guadagnati nell’avanzamento. Le secondarie, poi, sbloccano diversi tipi di ricompensa, come alcune nuove armi, mentre sulla strada troviamo i pezzi per modificarle a nostro piacimento. Il crafting rimane intatto rispetto al passato e, a partire dalle frecce per l’arco, di volta in volta sarà opportuno costruire ciò di cui abbiamo bisogno, che sia un consumabile, o un potenziamento di un’arma. Non abbiamo mai sentito realmente un feeling survival, dato che con un minimo di esplorazione non siamo mai rimasti a corto di risorse.  
Ciò che invece ci ha incuriosito ma non abbiamo avuto modo di approfondire a sufficienza, sono i vari estratti medicamentosi che sono stati inseriti nel gioco. Oltre a quello dedicato alla vita (che in battaglia non si ricarica più soltanto in maniera autonoma), ne troviamo anche altri dedicati, per esempio, al riconoscimento degli animali nella zona e così via. Hanno sicuramente un impatto ridotto a difficoltà normale, ma alzando l’asticella ci aspettiamo che abbiano tutto un altro ruolo.  
Come ogni Tomb Raider saremo infarciti di collezionabili. Su tutti ci sono verie e proprie skin di Lara che vi mettono nei panni, per esempio, della cacciatrice di tombe low poly un po‘ appuntita dei tempi andati sia del primo che del secondo capitolo e così via, una volta sbloccate. 

– Una Lara sempre più Tomb Raider

– Verticalità incredibile delle mappe

– Hub di gioco più grandi e dinamici

– Difficoltà completamente modificabile

Shadow of the Tomb Raider si è affacciato all’uscita settembrina con una prova lunghissima che ci ha fatto respirare a pieni polmoni l’aria della giungla. Tornare a calcare i passi di Lara è stato un grande piacere, da una parte grazie alla base gettata dal reboot della serie con i due capitoli usciti e dall’altra grazie alle evoluzioni che si sono viste in questa nuova avventura, dimostratesi solide al vaglio della prova pratica.

Ora non ci resta altro che aspettare di vedere la conclusione di questo nuovo inizio per la nostra eroina, che ci porterà a cavallo tra mito e mistero, alla riscoperta di un’archeologia hollywoodiana di immenso fascino e che ogni volta non smette di sorprenderci.

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