Recensione

Vietcong: Purple Haze

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a cura di Blade

La guerra è una miniera d’oro per l’industria dei videogiochi. Il piacere di essere protagonisti della storia, il bisogno di sfogare la propria rabbia in violente sparatorie o la voglia di muoversi (virtualmente) in ambienti ostili sono dei motivi capaci di attrarre quel pubblico in cerca di emozioni forti. Così gli sviluppatori possono sbizzarrirsi ed il mercato non risente certo di povertà: a partire dai conquistatori romani (“Rome Total War”) passando per le guerre mondiali (“Medal of Honor”) fino all’Iraq (“Desert Storm”), tutti i periodi bellici sono coperti.Ed eccoci a parlare di “Vietcong”, ispirato al conflitto più sanguinoso e controverso della storia moderna e pronto a restituirci quella “brutta” sensazione già provata guardando film e leggendo libri.

Ripasso di storiaUndici anni drammatici (1964-1975), due milioni circa di vittime, quasi tre milioni di militari statunitensi coinvolti e tre presidenti (Kennedy, Johnson e Nixon) impegnati a difesa del regime anti-comunista: è la cruenta guerra del Vietnam, simbolo insieme alle proteste razziali, alle ribellioni giovanili, alla crisi del dollaro ed allo scandalo “Watergate” della vulnerabilità degli Usa, fino ad allora indiscusso leader mondiale.Siamo nel 1967 e mentre Elvis sposa Priscilla Beaulieu, Mohammed Alì perde il titolo di campione per il suo rifuto di arruolarsi, i Beatles incidono il raffinato “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club” a cui rispondono i Rolling Stones con l’accoppiata psichedelica “Between Buttons” e “Their Satanic Majesties Request”, noi ci ritroviamo nell’inferno della giugnla tropicale. A capo di una piccola squadra delle Forze Speciali, la Fist Alpha in cui saremo assistiti inizialmente dal pointman NGuyen Nham, il medico Crocker ed il marconista Defort, dovremo difenderci dalla minaccia dei temibili Vietcong, procedendo tra imboscate e scontri aperti, tentando di sfuggire alla trappole disseminate sul terreno ed orientandoci tra la folta ed inospitale vegetazione.

Il realismo della guerra“Vietcong” per PlayStation 2 è la somma dell’originale versione per Pc e del suo add-on “Fist Alpha” usciti lo scorso anno, snellita però nel numero delle missioni ed adattata allo stile arcade della console.Il titolo persegue un’impostazione da sparatutto in prima persona, aggiungendo elementi tattici ed un’atmosfera in grado di coinvolgere il giocatore.Indossato l’elmetto e scelta l’arma a noi più congeniale (alla fine ne disporremo di una trentina circa, ben diversificate e realistiche negli effetti e nelle sembianze), ci ritroviamo al comando di un piccolo manipolo di uomini, pronti ad intervenire per darci una mano come il pointman ad indicarci la strada migliore e gli ostacoli, il marconista con la sua radio per comunicare con la base, il medico utile a curarci le ferite e così via. Ha inizio la guerra contro un nemico senza volta e la giungla diventa inesorabilmente il nostro incubo peggiore: ci muoviamo con circospezione al seguito della guida, scrutiamo gli angoli in cerca delle trappole, appizziamo l’orecchio ad ogni fruscio… sale la tensione e con lei le palpitazioni del cuore, ma poi eccoli, sono loro, quei terribili vietnamiti di cui tanto abbiamo sentito parlare. Conversano tra loro nascosti dalla folta vegetazione, forse cercano di accerchiarci: l’unica cosa sicura è che non vedono l’ora di pranzare con le nostre interiora. Ed è a questo punto che “ci scatta la viulenza” (Abatantuono dixit), chiamiamo i compagni e col fedele M60 (Il mio preferito perchè già passato tra le mani del mitico Rambo) spariamo all’impazzata col desiderio, però, di ucciderli al primo colpo per consumare meno cartuccie e per diminuire le probabilità di rimanere feriti.Detta così sembrerebbe che siano tutte rose e fiori.In realtà, invece, “Vietcong” è afflitto da imperdonabili errori e si può senza dubbi classificare cme uno dei peggiori shooter per la console di casa Sony, malgrado derivi dalla sorprendente versione per Pc. Si comincia con un’eccessiva linearità dei livelli, tutti “strade obbligate”, privati di una minima libertà d’azione e poco diversificati nel gameplay. Bisogna ritrovare i dispersi, difendere i propri accampamenti ed entrare tra le mura estranee: si risolve sempre col motto “ammazza chiunque ti spara” e, comunque, con estrema facilità. Passiamo ora all’IA dei personaggi, che definire “intelligenti” è quanto di più esagerato si possa fare. Spesso capiterà di ritrovare i nostri amici, quasi inermi di fronte ai comandi che gli impartiremo, esposti al fuoco avverso come in cerca di suicidio o a spasso per i sentieri senza motivi; i Vietcong non sono da meno per la loro semplicità/stupidità nell’organizzare gli attacchi. Ridimensionato anche l’elemento strategico, parliamo dei controlli. Lenti ed imprecisi fino a rendere l’esperienza di gioco frustrante, sono una conferma per quella scuola di pensiero che crede sia difficile o quasi impossibile ricreare le stesse sensazioni e gli stesi movimenti dalla tastiera al joypad.

Una dieta rigorosaCome detto nel paragrafo precedente, la versione Ps2 propone le migliori missioni viste nei due titoli per Pc e dalla quarantina che erano, ne rimangono diciannove, due dele quali inedite. Uno snellimento degno del miglior dietologo, che insieme alla semplicità degli stages (dimenticavo: ci sono due livelli di difficoltà, però poco distinguibili) costringe la longevità ad attestarsi in poco meno di dieci ore per quanto riguarda la modalità principale. una modalità alla quale ci si potrà allenare attraverso un anonimo tutorial, in cui prendere confidenza coi comandi mentre il tenente urlerà i più volgari improperi, quasi ad omaggiare il “Full Metal Jacket” di Kubrick. Oltre a ciò, potremo anche affrontare delle campagne singole. Si sceglie la mappa, l’arma ed il nemico (si può decidere se essere Marines o Vietcong) e ci si ritrova nella giungla a fare fuoco. Lasciatemelo dire: un patetico tentativo per coprire l’assenza del multiplayer, invece presente nella versione Xbox.

Ps2 o Psx?Il festival del difetto prosegue anche quando ci occupiamo della realizzazione tecnica, soprattutto riguardo il versante grafico. Il titolo dei Coyote Developments, degli sviluppatori céchi che non hanno mai brillato per qualità (il loro lavoro migliore è stato “Die Hard Vendetta”, il che è tutto dire…), fallisce proprio lì dove la versione per computer primeggiava, vale a dire la cura nel ricreare gli ambienti di guerra. Sulla “limitata” PlayStation 2 la vegetazione, gli edifici ed il resto del contorno appaiono scarni, o meglio, un ammasso di colori piatto ed approssimativo. I modelli dei personaggi risultano discreti nel loro insieme e ben differenziati nelle caratteristiche fisiche, ma un pò incerti nelle animazioni (viste sul monitor di un Pc erano da brivido grazie alla motion capture). Il frame rate si attesta sui 30fps, anche se a volte cede senza validi motivi. Gli intermezzi sono impreziositi da graditi filmati d’epoca, che scadono quando interviene la CG. Al contrario, il sonoro viene trattato molto meglio del comparto visivo. Infatti, si rivela di ottimo livello, condito da effetti realistici e dialoghi al limite della censura in modo da farci sentire davvero all’interno dell’azione. Sarà davvero eccitante/coinvolgente muoversi tra la giungla ascoltando le palpitazioni del cuore, sentendo i proiettili fischiarci nelle orecchie o guardando i nostri compagni etichettare i Viet con le peggiori volgarità. Un’ultima menzione meritano le musiche. I Coyote Developments hanno scelto di discostarsi dalla usuale soundtrack adrenalinica che caratterizza ogni sparatutto e hanno scelto (mossa azzeccata) di inserire quei brani con cui i soldati si gasavano prima di partire per la battaglia, come “Hey Joe” dei Deep Purple o “I wanna be your dog” degli Stooges.

– Il Vietnam su Ps2

– Armi realistiche

– Soundtrack accattivante

– Controlli imprecisi

– IA scarsa

– Assenza del multiplayer

– Grafica sorpassata

– Poco longevo

– Semplice e lineare

5.3

E’ saputo e risaputo: un porting da Pc a console viene bene una volta su cento. “Vietcong” aveva tutte le potenzialità per affermarsi sul mercato, ma nella realtà si rivela un titolo insufficiente. Lineare, semplice e graficamente stagionato, si salva solo per i pochi brani celebri risalenti all’epoca trattata.

Voto Recensione di Vietcong: Purple Haze - Recensione


5.3