Recensione

Tom Clancy's Splinter Cell Trilogy HD

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a cura di musehead

Che il buon giocatore conservi gelosamente i ricordi dei videogame che più lo hanno appassionato è cosa risaputa, proprio come il fatto che le case di software siano ben liete di concedergli di riassaporare quelle vecchie emozioni, ovviamente dietro adeguato compenso. Non c’è da sorprendersi, dunque, che da tempo ogni compagnia abbia escogitato più maniere di rinfrescare i propri classici, Ubisoft compresa, la quale per Splinter Cell ha scelto la strada del soft-remake, tanto di moda di questi tempi. 

Lo spumante è per l’anno prossimo 
Già, perché la prima cosa che verrebbe da pensare è che siano passati dieci anni dall’avvento di Sam Fisher, ma andando a spulciare la data di pubblicazione dello Splinter Cell originale ci s’imbatte in un Novembre 2002. Questa collezione, in realtà, si pone soprattutto l’obiettivo di sfruttare la corrente moderna del porting con miglioramenti, proprio come l’equivalente trilogia di Prince of Persia pubblicata all’inizio di quest’anno dalla stessa casa francese, per inserirsi nella collana Classics HD disponibile sul servizio digitale Sony. Si prendono gli episodi della vecchia generazione di console, si portano fino a 1080p e si offrono ad un prezzo ridotto per la gioia del giocatore così come del publisher, che può fare tutto ciò affrontando costi di sviluppo molto contenuti. La Tom Clancy’s Splinter Cell Trilogy HD porta le prime tre uscite della serie sulla Playstation 3 con episodi acquistabili anche separatamente sul PSN, una buona notizia per chi ha intenzione di recuperare esclusivamente le avventure che si è perso, mentre gli altri potranno attendere l’edizione su disco in arrivo a breve.
L’uomo “nuovo” dello stealth 
Le virgolette sono d’obbligo, perché Sam Fisher non è un ragazzino: nato nel 1957, la sua carriera è un tripudio di operazioni militari di successo in giro per il mondo, al punto che la neonata organizzazione segreta americana per la sicurezza, Third Echelon, ha voluto proprio lui come prima scelta. Sarà una “splinter cell”, ovvero un’entità che opererà in solitaria affidandosi alle indicazioni, spesso centellinate, comunicate dal quartier generale che metterà a disposizione anche il meglio della tecnologia militare.
La prima operazione, che costituisce la sceneggiatura dell’originale Splinter Cell, si svolge prevalentemente nell’area caucasica, dove il (fittizio) leader della nazione georgiana, in rapida ascesa economica, sembra covare piani che preoccupano l’intelligence americana. Purtroppo, i due agenti mandati in avanscoperta hanno bruscamente interrotto le comunicazioni e toccherà proprio a Fisher recarsi sul luogo e far luce sull’accaduto, non potendo che imbattersi in una pericolosa cospirazione internazionale con elevate possibilità di scatenare una guerra. 
Splinter Cell: Pandora Tomorrow, invece, parte da molto più lontano, precisamente Timor Est, uno Stato divenuto indipendente da pochi anni ed adiacente all’Indonesia, con la quale i rapporti politici sono estremamente ostili. L’ONU, e quindi gli Stati Uniti, sono dalla parte di Timor Est e per questa ragione l’ambasciata americana di Dili è stata presa d’assalto dalle milizie indonesiane capitanate da un tale Sadono, una sorta di eroe popolare. L’intervento di Fisher partirà dalla liberazione dell’ambasciata per continuare in un tour di suggestive ambientazioni esotiche nel tentativo di scongiurare la terribile minaccia di un’arma biologica. 
In Chaos Theory, infine, la crisi si sposta ancora più ad Oriente: Corea del Nord e Giappone sono nuovamente ai ferri corti e neppure la Cina si sente tranquilla. Le preoccupazioni derivano dalla supposta violazione da parte dell’esercito nipponico dell’articolo 9 della costituzione post-bellica, che impone al Giappone di non poter costituire una forza militare capace di intervenire al di fuori dei confini nazionali. In virtù della strettissima partnership commerciale, gli Stati Uniti si schierano immediatamente al fianco del popolo giapponese, ma toccherà ancora a Third Echelon ed al suo agente migliore indagare e venire a capo di questa delicatissima tensione. 
Ogni avventura prevede dalle otto alle dieci missioni dalla durata generosa. 
Molto occidentale 
Quando si cominciò a sentir parlare di Splinter Cell, in molti si attendevano un emulo di Solid Snake, poi le cose evolvettero in maniera molto diversa da Metal Gear Solid. Se lì c’era il giapponesissimo Hideo Kojima a stendere la sceneggiatura, con tutto il carico di ammiccamenti alla cultura manga/anime della sua terra, qui troviamo la prestigiosa firma di Tom Clancy, celebre autore statunitense che ha fatto della fantapolitica la sua specialità. Ogni vicenda è un abile mix di riferimenti a fatti realmente accaduti e situazioni di pura invenzione, con svolgimenti perlopiù localizzati in luoghi remoti di cui il giocatore medio sa poco o nulla. La forte credibilità degli avvenimenti giova enormemente al fattore di coinvolgimento ad anche il gameplay segue la stessa linea: Sam Fisher rimane un agente straordinario ma non un supereroe, di conseguenza le azioni che può compiere contemplano una rosa di possibilità spettacolari ma verosimili. Parafrasando un dialogo in Chaos Theory: “Ma dopo tre allarmi la missione salta?”, “Sam, non siamo mica in un videogioco!”. 
Le meccaniche alla base di Splinter Cell si configurano come appartenenti al genere stealth e possono risultare spiazzanti per un giocatore poco determinato. Qui, infatti, non ci vengono consegnate istruzioni precise, bussole che indicano sempre la direzione da prendere e congegni che monitorano ininterrottamente l’ubicazione ed il campo visivo dei nemici: Sam Fisher può contare solo sul buio, sul fisico e qualche arma che è sempre meglio non toccare, mentre l’approccio all’obiettivo è solitamente da improvvisare. Se è pacifico che ciò possa rendere ostici alcuni passaggi, bisogna dare atto agli sviluppatori di aver previsto soluzioni multiple per alcune situazioni che, salvo in caso di esigenze particolari, potranno essere risolte secondo l’attitudine del giocatore. 
Avanzando dal primo Splinter Cell fino a Chaos Theory si può rivelare un progressivo ammorbidimento della difficoltà, sia grazie a nemici più “tolleranti” (ma non più stupidi) che a controlli ottimizzati, ma aumentano anche le indicazioni via radio. Apprezzabilissimo il mission design, capace di offrire una sorprendente varietà di situazioni, avvalendosi di scenari dal carattere radicalmente differente e problematiche peculiari. 
Tempus fugit 
Nonostante il gameplay di questa saga sia tutt’oggi molto valido, si avverte l’età del concept. Sia ben chiaro che non si tratta di un difetto, semmai di sensazioni sopite che ritornano a galla, quelle dei tempi in cui per superare una sezione bisognava davvero riflettere col rischio di non cavare comunque un ragno dal buco. Ripercorrendo gli Splinter Cell potreste sentire un po’ di ruggine fra i neuroni e qualche ingerenza dopo l’ennesimo fallimento, ma chi pazienterà per qualche ora per ricalibrarsi alle esigenze del programma ne trarrà grosse soddisfazioni. 
Brutti difetti, invece, ce li ha il reparto tecnico. In tutta franchezza, il primo impatto con questa collection è sconfortante, soprattutto per chi partirà dal capostipite della serie, e tradisce un disinteresse quasi totale verso l’ottimizzazione. Presentazione e filmati di intermezzo sono vistosamente sgranati, ma è il dazio da pagare alle TV in alta definizione; assai meno comprensibile è il mancato riadattamento delle schermate dei menu al formato 16:9, che le fa apparire fastidiosamente schiacciate. Si poteva evitare, eccome, ma ancora più incomprensibile è la scattosità generale della grafica: altro che 60 frames al secondo, spesso bisogna accontentarsi di un terzo! Paradossalmente, l’aggiornamento dello schermo migliora con Pandora Tomorrow e, soprattutto Chaos Theory, che vantano un dettaglio considerevolmente maggiore, ma rimanendo parecchio criticabile per le possibilità di una Playstation 3, la cui programmazione dell’hardware non dovrebbe essere un mistero per una delle compagnie più competitive al mondo. A tutto ciò bisogna aggiungere gli inestetismi congrui a titoli vecchi dai nove ai sei anni, quindi texture sgranate, animazioni talvolta approssimative e ambienti ogni tanto troppo spogli. La Ubisoft è intervenuta in alcuni casi sostituendo qualche tessitura, ottenendo miglioramenti molto timidi, anzi, il contrasto tra il vecchio e il nuovo appare piuttosto evidente se non inopportuno. Questa riedizione prevede il supporto alle televisioni 3D, ma i problemi illustrati non creano certo i presupposti ideali per goderselo. 
Ciò che non invecchierà mai è la strepitosa voce di Luca Ward nel doppiaggio di Sam Fisher: carismatica, affascinante e capace di conferire spessore ad un personaggio dalla personalità non travolgente. Valido anche il resto dell’audio, dalle altre voci all’accompagnamento musicale, assente (giustificato) per la quasi interezza dell’azione per poi entrare di prepotenza nei momenti più concitati, ma sempre con molta qualità, non casuale considerando che le colonne sonore vantano firme come quella di Jesper Kyd o Jack Wall. 
Tutti insieme… separatamente! 
Abbiamo già accennato alla possibilità di acquistare singolarmente questi tre episodi. Sarebbe stato molto bello, tuttavia, se gli sviluppatori si fossero impegnati per dare un senso di uniformità a questa collection. Ognuno di questi Splinter Cell è molto simile agli altri, ovviamente, ma tutti hanno aggiunto qualcosa alla formula originale, come ad esempio nuove movenze, collisioni migliorate o più evolute intelligenze artificiali, e sarebbe stato molto gradito se questi progressi fossero stati condivisi anche dagli episodi più anziani, cosa che non è invece avvenuta. Molto più importante sarebbe stato uniformare l’interfaccia che soffre di una differente mappatura dei controlli: si tratta per fortuna di cambiamenti minori, ma ognuno dei tre capitoli vi costringerà a ridefinire un po’ le vostre abitudini. 
Tutti e tre offrono una novità per chi li aveva giocati in formato console: la presenza del salvataggio/caricamento rapido che permette di salvare la situazione nel momento in cui preferiamo, il che tradisce la derivazione PC di questo remake e rende meno drammatiche le missioni più impegnative.
Spariscono, invece, tutte le possibilità di gioco online adottate da Pandora Tomorrow in avanti, rivoluzionarie all’epoca e molto meno oggi, ma non è certo un buon motivo per disfarsene!

– Mission design ancora ottimo

– C’è il supporto alle TV 3D

– Doppiaggio favoloso

– Fluidità molto criticabile

– Scarsa ottimizzazione generale

– Eliminato del tutto il multiplayer

6.5

I cultori di Splinter Cell troveranno probabilmente poco di seducente in questa Trilogy HD considerando la superficialità con cui è stato operato il remake, che si potrebbe quasi considerare una conversione. Rimane tuttavia la granitica qualità di tre pilastri del genere stealth, che vantano ancora oggi un mission design di valore, meritevoli di essere riscoperti da chi non teme una sfida impegnativa. Chi può, dovrebbe comunque valutare se con la stessa cifra richiesta per l’acquisto, se non meno, non sia meglio puntare sul recupero delle uscite originali da giocare romanticamente sulla propria vecchia console.

Voto Recensione di Tom Clancy's Splinter Cell Trilogy HD - Recensione


6.5