Recensione

The Curse Of Monkey Island

Avatar

a cura di seifer77

Ho solcato i mari da Trinidad a Tortuga, ma non avevo mai visto niente del genere! L’anello di fidanzamento che avevo dato ad Elaine era maledetto. Sono sicuro che dietro a tutto questo c’è LeChuck. Avrei dovuto immaginare che da quei malefici tesori pirati non ci si può aspettare niente di buono. E come se non bastasse, la veggente della palude mi ha detto che, per annullare la maledizione e salvare Elaine, dovrò morire!

-Tratto da “Le Memorie di GuybrushThreepwood: Gli Anni di Monkey Island”

Sono passati cinque anni da quando Ron Gilbert ha lasciato la LucasArts, ma la fama della sua creatura più celebre, la saga di Monkey Island, è tutt’ora viva e sempre più in ascesa; la storia dei videogiochi, a ragione, ha già conferito ai due titoli che la compongono lo status di “pietre miliari”, di gioielli irripetibili che tanto hanno dato al loro genere e al mondo videoludico tutto.La LucasArts, dal canto suo, ha proseguito nello sfornare avventure grafiche di livello eccelso, guadagnando una credibilità che pochi altri, allora, potevano vantare in questo campo, nonchè uno stuolo di fans sempre più vogliosi ed affamati, di anno in anno, delle sue creature.La tentazione di licenziare un terzo episodio della saga, considerando il pubblico che da anni segue Lucas e soci e, nella fattispecie, quello dello sfigatissimo “temibile pirata”, rimane forte; così, dopo aver fatto due calcoli, nel 1997, cinque anni dopo l’ultima apparizione sugli schermi dei pc di tutto il mondo, una delle saghe più amate e leggendarie della storia videoludica, si appresta a fare ritorno con il suo terzo capitolo, “The Curse Of Monkey Island”. L’assenza del papà della serie all’interno del roster Lucas non fu un problema, data la qualità e il talento dei numerosi collaboratori del publisher del coniglio Max; l’eredità di Gilbert viene raccolta da Larry Ahern e Jonathan Ackley, già al lavoro insieme per diversi titoli del catalogo Lucas, come Full Throttle.

Anelli maledetti e pirati flambè!Guybrush si trova inspiegabilmente in mare aperto, a bordo di una macchinetta dell’autoscontro; naviga senza meta, confuso, affamato e senza sapere cosa gli sia successo per trovarsi a bordo di quell’affare. Dopo giorni di “navigazione”, approda casualmente sull’isola di Plunder, dove è in atto l’ennesimo tentativo di corteggiamento da parte di LeChuck nei confronti di una Elaine in forma smagliante. Scovato dal pirata zombie, viene rinchiuso nella stiva della sua nave di non-morti, in compagnia del fantomatico pirata Sanguealnaso, sotto le cui spoglie si nasconde un certo piccolo cartografo, già vecchia conoscenza degli appassionati della serie. Accade però un fuori programma: una devastante esplosione voodoo, annienta la nave ed il suo capitano. Guybrush, invece, riesce ancora una volta a salvarsi e, arrivato al cospetto di Elaine, il nostro eroe pensa bene di regalarle un bell’anellone con diamante, sgraffignato proprio nella stiva di cui sopra. Il problema, però, è che l’anello è maledetto e, appena infilato al dito dell’amata, tramuta questa in una luccicante statua d’oro massiccio. E, come se tutto questo non fosse già abbastanza, LeChuck è in procinto di ritornare un pirata fantasma, con tanto di barba infuocata!

E Big Whoop?Come già accennato dal sottoscritto, tra le righe della recensione di Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, il prologo di questo MI3 non chiarisce affatto quale fosse il vero significato di quel dissennato, sinistro, nonchè inspiegabile, epilogo che il secondo episodio offrì agli occhi increduli del popolo dei videogiocatori. La sbrigativa ipotesi di un semplice sortilegio, compiuto su Guybrush da LeChuck, lascia un pò di amaro in bocca agli appassionati, che si aspettavano una soluzione quantomeno più esplicativa che, purtroppo, forse non avranno mai. Ad Ahern ed Ackley va comunque concessa l’attenuante di essere alle prese con il parto della mente di un “pazzo” (nel senso buonissimo del termine!), una matassa della quale nessuno probabilmente, salvo il pazzo in questione, il “maestro” Gilbert, sarebbe in grado di trovarne il bandolo.I due intrepidi programmatori, probabilmente consci dellà difficoltà di soddisfare l’esigente pubblico gilbertiano, ripescano dagli episodi precedenti, in compenso, tante situazioni e personaggi, che più volte incontreremo nel corso dell’avventura: si va dall’onnipresente Voodoo Lady, fino ad arrivare ad Herman Toothroot e al già citato Wally; ma il ritorno più gradito è senza dubbio quello del duello d’insulti, con nuovi nemici e nuove ingiurie con cui ricoprire i nostri avversari spadaccini e con tanto di antagonista finale, il Capitano Rottingham, che sostituisce il Maestro della Spada di The Secret Of Monkey Island. Inoltre, viene “rubata” a Gilbert anche l’idea del doppio livello di difficoltà, presente anche qui come in LeChuck’s Revenge.Le novità però ci sono, eccome: innanzi tutto, The Curse Of Monkey Island, spinge molto di più, rispetto ai due prequel, sul pedale del demenziale puro. I dialoghi, nonchè il “nuovo” Guybrush, alto, magrolino ed esageratamente maldestro, ma che mantiene immutato il suo ineguagliabile carisma, introducono in un’atmosfera molto più goliardica che in passato, ulteriore segno di distacco dalla saga di Gilbert. Nonostante le battute e le situazioni facciano divertire, e molto, si sente la nostalgia di quelle scene quasi-horror che caratterizzavano le prime due puntate, come la resurrezione di Rapp Scallion o, ancor di più, il duello voodoo in fondo al tunnel di Big Whoop. Particolarità interessante, invece, l’introduzione di una serie di combattimenti navali: una fase assolutamente arcade, nel corso della quale dovremo riuscire ad abbattere le navi nemiche bombardandole di cannonate, per poi salirvi a bordo e sfidare, rigorosamente a suon di insulti, i capitani delle stesse. Battendoli, ruberemo i tesori stipati a bordo delle loro imbarcazioni, cosa che in un determinato punto della trama, ci permetterà di proseguire nel gioco.

Guybrush? E’ in 2D!Con The Curse Of Monkey Island, LucasArts fa il suo ingresso nel magico mondo dell’alta risoluzione (640×480); un ingresso in grande stile, data la bellezza della “cartoonesca” grafica 2D, che ricalca quanto già visto in altre avventure Lucas, come Day Of The Tentacle o Full Throttle (guarda caso proprio due titoli su cui Ahern e Ackley avevano già messo lo zampino), seppur con un livello di dettaglio nettamente superiore, soprattutto dal punto di vista dei fondali. Le verosimiglianze però non si fermano a questo, dato che il nuovo sistema SCUMM è proprio un adattamento di quello dell’avventura di Polecat e soci, variandone, ovviamente, l’interfaccia, rendendola più appropriata al contesto piratesco: al posto del teschio compare, infatti, un doblone d’oro, ma oltre a questo non vi sono altre modifiche e il sistema di controllo rimane intatto e perfettamente funzionante rappresentando, forse, il punto più alto mai toccato dal famoso sistema di controllo made in Lucas. E’ anche la prima puntata della saga ad essere doppiata, e qui molti puristi storsero il naso; con l’occhio del recensore e non del fanatico, però, tocca dire che la localizzazione è davvero di buona fattura, e la voce di Guy ben si adatta alla nuova personalità prettamente comica del personaggio. Le musiche, invece, vedono per la prima volta l’ingresso del supporto mp3 e, di conseguenza, l’utilizzo di veri strumenti; questo non potè che essere un bene per il compositore Michael Land, che ci delizia con dei bellissimi temi musicali, oltre che con uno splendido riadattamento del main theme della serie, ascoltabile durante l’introduzione del gioco.

HARDWARE

Sistema operativo DOS/Win95 Processore 90 Mhz 16MB di RAM Scheda Video SVGA 30MB di spazio libero su hard disk

MULTIPLAYER

Assente.

-E pur sempre Monkey Island!

-Dialoghi demenziali e divertenti

-Ottimi enigmi

-Tanti richiami ai primi due episodi

-Non c’è Ron Gilbert in regia

-Narrativamente “slegato” dai primi due capitoli

0

“The Curse Of Monkey Island” fu una delle più grandi avventure di fine anni ’90, anche se le vendite, pur essendo numerosissime, non gli diedero ragione, essendo in flessione rispetto a quelle dei titoli Lucas precedenti, segno che l’interesse verso il panorama delle avventure grafiche era, già allora, in fase calante. Ma non c’è Ron Gilbert e questa è una pecca gravissima dato che, oltre a lui, manca anche un valido canale di raccordo tra questo episodio e le prime due puntate della serie; e poi mancano le atmosfere caraibiche, i momenti di lugubre e sano horror che pervadevano “Secret” e “Revenge”; qui la si butta più sull’humor, si accentua la maldestrezza di Guybrush, reso grottesco anche nell’aspetto. Ci si diverte lo stesso, gli enigmi sono sempre ottimi e cervellotici, ma manca Lui. “The Curse Of Monkey Island” sarebbe una grandissima avventura grafica, se solo non dovesse pagare lo scotto dell’inevitabile confronto con gli inarrivabili primi capitoli della serie, dal quale esce nettamente sconfitto.