Recensione

Operation Babel New Tokyo Legacy

Avatar

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Oltre che delle visual novel, genere amatissimo in oriente che, pian piano, sta prendendo piede anche qui da noi, PlaystationVita rappresenta la piattaforma di riferimento anche per un altro genere videoludico di nicchia, ovvero i dungeon crawler in prima persona.
Se la saga più famosa del genere, quella di Etrian Odyssey, è esclusiva delle console portatili Nintendo da diversi anni, tantissimi sviluppatori nipponici hanno provato a occupare il trono lasciato vacante, tra prodotti interessanti ed altri troppo scolastici.
A quale di queste due categorie apparterrà Operation Babel New Tokyo Legacy, seguito del quasi omonimo Operation Abyss uscito circa due anni fa?
Studenti prodigio
I giapponesi, si sa, sono ossessionati con l’adolescenza: la maggior parte degli eroi dei giochi provenienti dal Sol Levante è compresa tra i quattordici e i diciannove anni, e il protagonista di Operation Babel e tutta la sua squadra non fanno eccezione.
Parliamo di un manipolo di studenti prodigio, nel cui codice genetico è scritta la capacità di combattere e di avere accesso ad abilità fuori dal comune: non tutti, però, sono consapevoli di essere portatori di questi geni, proprio come l’avatar del giocatore, e, solo in corrispondenza di una crisi di proporzioni globali come quella in corso nell’universo di gioco, i loro poteri si risvegliano.
La scuola che il protagonista frequenta, dietro una facciata di normalità, nasconde un quartier generale di un corpo d’elite chiamato Xth Squad, affiliato delle Nazioni Unite, ed è, di fatto, un centro di reclutamento per giovani superdotati, capaci di arruolarsi e combattere le minacce per conto dell’ignara umanità.
Una di queste, apparentemente, è apparsa nel cielo di Tokyo: si tratta di un oggetto non meglio identificato di enormi proporzioni, da cui, di quando in quando, discendono mostri terribili, come quello a tre teste che devasta il quartiere di Ginza durante i primi minuti dell’avventura.
Il resto della storia viene da sé: in un momento di assoluta emergenza, in cui tutti i titolari della Xth Squad, capitanata dalla prode combattente Alice Mifune, sono stati inviati al quartier generale delle UN a New York, la branca giapponese abbisogna di un gran numero di nuove leve, pronte ad esplorare l’EMBRYO (l’oggetto non identificato di cui sopra) a loro rischio e pericolo.
L’incipit asciutto lascia spazio, soprattutto nella seconda metà dell’avventura, ad un gran numero di dialoghi, spesso ridondanti e poco interessanti, doppiati in giapponese e con sottotitoli in inglese: la dimensione del font costituisce peraltro un problema per quanti volessero seguire le vicende anziché darsi al più bieco skip selvaggio di tutte le sequenze.
In tutta onestà, i dungeon crawler non si sono mai distinti per trame più di tanto elaborate, ma i recenti remake “narrativi” di Etrian Odyssey e Persona Q avevano tentato di ravvivare un po’ la parte narrativa, cosa che Operation Babel proprio non riesce a fare.
Intimidatorio
Come e più di altri congeneri, finanche partoriti dallo stesso team di sviluppo, Operation Babel si rivela fin da subito intimidatorio nel subissare il giocatore di termini specifici e di meccaniche di gioco estremamente complesse senza prendersi la briga di spiegarne il funzionamento: consultare la guida interna e il manuale digitale aiuta, ma non chiarisce ogni aspetto e, comunque, si rivela tremendamente noioso sul lungo periodo.
Ed è un peccato, perché i ragazzi di Experience non hanno perso il tocco: l’aggiunta più significativa è rappresentata dalla possibilità di selezionare, fin da subito, due classi per personaggio, una delle quali funge da primaria, determinando le statistiche di base, le debolezze e le resistenze, e l’altra da secondaria, portando in dote una manciata di abilità specifiche e dei bonus passivi peculiari per la sottoclasse scelta.
Questo sistema, che apparentemente potrebbe sbilanciare (e di molto) il livello di difficoltà, è in realtà controbilanciato dal fatto che, selezionando due classi (chiamate Blood Code nel gioco) invece di una sola, la crescita del personaggio si rivelerà consistentemente più lenta, come se l’esperienza acquisita dovesse far crescere di livello più abilità allo stesso tempo.
Ai novizi consigliamo di appoggiarsi agli eroi già pronti selezionabili ad inizio avventura, anche per evitare errori di composizione e diversificazione del proprio party, mentre i veterani apprezzeranno questa feature, che, pur mettendo in salita la prima quindicina di ore di gioco, genera benefici evidenti nella seconda metà dell’avventura.
Una volta selezionato il proprio party, Operation Babel si dischiude in tutta la sua classicità, che, però, troppo spesso fa rima con arcaicità: i menu, il design dei dungeon, la cosmesi e la rigidità di certi sistemi lo pongono al di sotto di suoi congeneri usciti negli anni scorsi, rendendo l’esperienza piuttosto pedestre se comparata anche solo ad altri dungeon crawler nel catalogo dello sviluppatore.
Il sistema Rise and Drop, altra feature distintiva del prodotto, rappresenta la metafora perfetta del gioco, visto che, a nostro avviso, è una buona idea implementata male.
Grazie a questo algoritmo, ad ogni combattimento vinto, Operation Babel alza leggermente l’asticella della difficoltà per quello successivo, con un effetto a catena che è possibile interrompere solamente fuggendo da uno scontro: se, da un lato, questa meccanica consente di ottenere del loot di gran lunga migliore, sfidando continuamente il giocatore a trarre il meglio dal suo party, dall’altro lascia troppo spazio all’aleatorietà, perché le probabilità di subire critici o attacchi devastanti aumentano considerevolmente di combattimento in combattimento senza che il party sia effettivamente fortificato dalle vittorie precedenti.
A cozzare con questo sistema, poi, l’inspiegabile scelta operata dal team di sviluppo di rendere obbligatorio far ritorno alla base per salire di livello, anche quando si è accumulata l’esperienza necessaria: stando così le cose, non è così infrequente rinvenire del loot di qualità e non poterlo indossare per un’altra ora di gioco o giù di lì, perdendosi in un noioso andirivieni dentro e fuori dai dungeon che ha effetti deleteri sul ritmo di gioco.
Chiude il cerchio un riutilizzo massiccio di asset, nemici, incantesimi ed oggetti già visti nel precedente episodio, indice della scarsa cura per i dettagli di un team che, solitamente, è molto più attento alle finiture e al versante artistico dei suoi prodotti.
Troppo generico
Siamo rimasti un po’ delusi dalla cosmesi complessiva del prodotto, non tanto per la povertà grafica in sé, marchio distintivo di tantissimi dungeon crawler usciti sulla piattaforma e sviluppati con un budget estremamente ridotto, ma perché laddove prodotti come Demon Gaze e Stranger of Sword City supplivano alle mancanze tecniche con un character design interessante, che riusciva quantomeno a distinguerli dalla massa, Operation Babel si accontenta di adagiarsi su cliché usurati, proponendo un cast di protagonisti abbastanza anonimo a livello visivo, con solamente alcuni dei boss nemici degni di nota.
Certo, si potrebbe obiettare che questa semplicità sia motivata dal voler ricercare una continuità visiva con il titolo precedente, ma a noi sembra una scusa un po’ comoda, che comunque non spiegherebbe né la monotonia del dungeon design, che trova qualche sbocco solamente nelle ultimissime battute della campagna, né la mediocrità di una colonna sonora senza acuti, che si limita ad accompagnare l’azione a schermo senza spunti particolari.
L’unico valore sopra la media è quello relativo alla longevità complessiva, che può variare da un minimo di quarantacinque ore (tante ce ne abbiamo messe per giungere al boss finale, lasciandoci dietro diverse missioni secondarie) ad un massimo di anche sessanta, qualora si volesse esplorare ogni angolo dei labirinti proposti.

– Interessante il sistema delle doppie classi

– Difficile ed oscuro come piacerà ai veterani di mille battaglie…

– Un paio di incomprensibili scelte di game design

– …ma non a tutto il resto della community

– Massiccio riciclo di asset, nemici, equipaggiamento e incantesimi

– Su Vita ci sono congeneri migliori

6.5

Operation Babel New Tokyo Legacy non è un brutto dungeon crawler, quanto, piuttosto, uno che si accontenta di fare lo stretto indispensabile, nascondendo alcune delle sue feature migliori dietro ad una coltre di imperscrutabilità e a un paio di scelte di game design alquanto discutibili.

La sua sfortuna, peraltro, è che la libreria di PlaystationVita può contare su esponenti migliori dello stesso genere, peraltro, ironicamente, tutti firmati dallo stesso team di sviluppo: Stranger of Sword City, Demon Gaze e Ray Gigant sono tutti prodotti nel complesso migliori, e allora non possiamo che consigliare l’eventuale acquisto di Operation Babel solamente dopo averli sviscerati ben bene.

Voto Recensione di Operation Babel New Tokyo Legacy - Recensione


6.5