Recensione

LIMBO

Avatar

a cura di andymonza

C’erano sogni che ti restavano attaccati addosso come sgradevoli deja vu, difficili da togliere come le ragnatele tra i capelli dopo un giro in soffitta. Sogni in cui tutto era troppo grande per essere capito, in cui un angolo di visuale limitato non permetteva di vedere gli orrori che si nascondevano in agguato al confine tra realtà ed incubo, tra luce ed oscurità. Erano inquietudini d’infanzia, di quelle che anni fa ci facevano correre in lacrime in camera di mamma e papà. Sono proprio questi ricordi, tra rimasugli di insicurezze e nostalgie, che l’opera prima di Playdead Studios è riuscita a risvegliare. Spogliato della sua eterea confezione, LIMBO è un puzzle platform a scorrimento orizzontale minimalista, dove la soluzione del prossimo puzzle ambientale è tutto ciò di cui dovrete occuparvi. Eppure, sotto la sua sfocata patina bianconera, c’è più di quanto non colpisca gli occhi.

In dreamsSiamo solo un puntino nero, in un mondo che appare appannato, come dopo una forte botta in testa. Eppure, dietro la cortina, il mondo reale c’è: ne sentiamo i suoni, ne vediamo i contorni, ma non possiamo raggiungerlo. Questo è il Limbo, il regno di mezzo, ne di là ne di qua. Ci alziamo a fatica, sbattiamo gli occhi che brillano come stelle in un cielo nero, e cominciamo la nostra corsa. Questo è quanto: niente introduzioni, niente spiegazioni, tantomeno sequenze filmate. Qualunque cosa scoprirete del tenue background narrativo di LIMBO, pallido e sfocato proprio come il mondo che raffigura, la dovrete capire ed interpretare da soli, senza ulteriori aiuti o facilitazioni. Nei panni di un bambino perso in questo misterioso universo di mezzo sarete chiamati ad avanzare, sempre e comunque, nel tentativo di trovare risposte, significati, perché. Come in ogni puzzle game che si rispetti, l’ostacolo è il motore da cui scaturisce l’azione: ne troverete di ogni tipo e di ogni forma, da semplici alture, a vasche piene d’acqua (dove, come scoprirete ben presto, il protagonista non può nuotare), a mostruose minacce in carne ed ossa. Superarli, sopravvivere, sarà una questione di pazienza, di astuzia e di capacità d’osservazione, laddove gli sviluppatori si sono spesso divertiti a nascondere nello scenario apparentemente uniforme piccoli indizi di ciò che verrà. Gli strumenti per dominare questo contesto tanto rarefatto sono naturalmente semplicissimi: oltre all’analogico per correre nelle due direzioni del piano orizzontale e salire le occasionali scale, avrete solo due tasti, uno dedicato al salto e l’altro alle azioni contestuali, tra cui trascinare e spingere oggetti e tirare leve. Controlli tanto semplici, eppure sufficienti a dominare un percorso dove logica, fisica, idraulica ed una buona dose di riflessi rappresentano il kit di sopravvivenza perfetto. Spiegare nei dettagli le meccaniche che si nascondono dietro alla soluzione degli enigmi sarebbe un tradimento nei confronti della natura stessa del titolo, che deve buona parte del suo fascino proprio all’ignoto, all’attesa, alla tensione verso il prossimo ostacolo. Meglio invece parlare del ritmo, molto posato e riflessivo nella prima metà e suscettibile di qualche accelerazione (e complicazione) di troppo passato un certo punto: un climax prevedibile, anche se la magica e silenziosa atmosfera dell’incipit andrà un po’ perduta verso la conclusione.

Trial and errorPer quanto gli sviluppatori si siano prodigati nel mettere in scena un mondo di gioco coerente con le sue semplici (ma spietate) leggi, la progressione in LIMBO è per la maggior parte legata al famigerato trial and error: si tenta, si muore, si riflette, si tenta di nuovo e così via. Vi saranno momenti in cui l’istinto ed un po’ di fortuna vi aiuteranno a sopravvivere a qualcuna delle letali trappole, ma nella maggior parte delle occasioni vi ritroverete a sfruttare l’ingegneria inversa, cercando di capire perché siete morti e come evitarlo, procedendo idealmente a ritroso, un concetto curiosamente antitetico per un platform a scorrimento. Questa tendenza, unita a punti di salvataggio molto ravvicinati, spezza un po’ troppo il ritmo lento ed ipnotico dell’incedere, a tratti snaturandolo. E’ un difetto intrinseco, con cui si finisce per convivere solo grazie all’ottima qualità di alcuni puzzle, che regaleranno intense soddisfazioni una volta compresi e risolti.

Bianco e neroUn discorso tecnico applicato a LIMBO sarebbe senza dubbio inadeguato: il lavoro di Playdead è la concretizzazione di un’idea semplice e geniale, la cui contestualizzazione tecnica può permettersi una realizzazione altrettanto esile e minimalista. Bianco e nero, contorni appena accennati, sonoro graffiante ed intermittente. Il diavolo, come sempre, è nei dettagli: è il movimento dell’erba al passaggio del bambino, è la delicatezza con cui un gigantesco ragno tesse la sua tela, o il tenero impaurirsi di un animaletto. Piccoli esempi di come la cura al particolare possa creare un contesto coerente con sé stesso, completo pur nella quasi totale assenza di sostanza. Ma LIMBO non vive di solo colpo d’occhio: c’è della personalità in alcuni passaggi, un sorriso a volte maligno nascosto tra un puzzle e l’altro, un dettaglio celato che ammicca al giocatore, che lo trascina fuori dal ripetersi delle meccaniche ludiche, gli fa intravvedere il tessuto sottostante.Il fatto di dare al protagonista le fattezze di un bambino diventa uno strumento, un veicolare quel senso di smarrimento così ben accompagnato alle visuali offuscate ed ai suoni ovattati, rarefatti. Il sogno diventa incubo e poi di nuovo sogno, confonde e gioca con lo spettatore e si conclude, come da copione, con un finale enigmatico ed aperto a molte interpretazioni. Proprio come nei sogni, non bisogna aspettarsi un filo conduttore, o un finale soddisfacente: quello che vale è ciò che sta nel mezzo, una delicata magia che rischierà di rompersi se vi farete troppe domande. Meglio alzare il volume, farsi ipnotizzare dal bianconero e dall’immagine sgranata e pulsante, farsi venire il mal di testa nel tentativo di condurre quel puntino nero da qualche parte, forse in un luogo migliore e meno ostile.

– Stilisticamente unico

– Puzzle di qualità

– Trial and error

9.0

Semplice in maniera disarmante, vuoto ed etereo eppure evocativo, macabro ma ammiccante, LIMBO è leggero come un’idea. Corre via in poche ore come il suo protagonista, e lascia un ricordo appannato come la realtà che propone. Eppure funziona, a tratti si fa adorare, a tratti odiare, come gli amici migliori. Si regge su gambe solo apparentemente esili, eppure cammina, offrendo un intrattenimento inusuale ed inedito, nondimeno godibile. Nonostante il prezzo non esattamente economico, è un’esperienza che consigliamo, non foss’altro per dimostrare che sono le idee a mandare avanti questa industria, per quanto semplici o eteree; diamo loro sostegno, perché possano moltiplicarsi e continuare a farci sognare.

Voto Recensione di LIMBO - Recensione


9