Intervista a Ken Levine

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a cura di Mugo

Londra – Il nostro viaggio alla scoperta di Bioshock Infinite non termina con l’anteprima che avete potuto leggere ieri sulle pagine di Spaziogames. Dopo avere esplorato attentamente le prime ore della campagna, infatti, abbiamo potuto intervistare Ken Levine, la mente dietro al titolo 2K Games, per una chiacchierata che è partita dagli elementi più interessanti della nostra prova per arrivare su considerazioni più generali. 

Intervista a Ken Levine 
Spaziogames: Giocando non abbiamo potuto fare a meno di notare la grande importanza che rivestono i simboli: il più importante in termini dimensionali è forse il faro iniziale, ma tutta l’esperienza è caratterizzata da una forte simbologia. Qual è il motivo? 
Ken Levine: Il faro è un elemento che richiama anche il primo capitolo di Bioshock, se ricordi nelle fasi iniziali l’aereo cadeva in mezzo all’oceano dove si trovava appunto l’isolotto col faro. Certo è un elemento importante, ma al momento non posso ancora dirti perché! Il bello dei simboli è che ci permettono di raccontare la storia tramite le immagini, qualcosa che ci risulta molto utile visto che fondamentalmente non abbiamo veri e propri filmati d’intermezzo. La chiave, la pergamena, la spada, il pastore, l’agnello… sono tutti elementi che si ripetono e che hanno una forza universale, non devono essere tradotti in nessuna lingua. Ho l’impressione che il mio team sia quasi più bravo con le immagini che con i testi. 
SG: La scena iniziale, quella in cima al faro, è di una forza straordinaria: come vi è venuta in mente? Diciamo giusto se ci intravediamo qualcosa di Spielberg? 
KL: In effetti è una delle citazioni più chiare da individuare, del resto quegli effetti sonori non possono che richiamare il film Incontri Ravvicinati. Si tratta, come dicevi, di un momento molto forte e d’atmosfera, un primo dialogo tra il giocatore e Columbia. 
SG: Com’è nata l’esigenza di lasciare Rapture? 
KL: C’è un’espressione inglese che rappresenta alla perfezione quello che è successo: “to paint yourself into a corner”, è quando dipingi il pavimento di una stanza e ti ritrovi chiuso in un angolo con la pittura tutta attorno. Non è stato facile decidere di cambiare ambientazione perché ovviamente siamo tutti molto legati a Rapture, ma visto che non volevamo deludere i nostri fan creando un’esperienza al livello delle precedenti quella di sorprenderli creando Columbia ci è sembrata la soluzione migliore. Il nostro obiettivo è quello di creare un gioco nel quale si senta forte l’essenza di Bioshock, un’essenza che non è composta esclusivamente da Rapture sebbene si tratti di uno degli elementi che ci hanno caratterizzato. 
SG: Rapture è un cimitero, Columbia invece è una città viva. Si tratta di due ambientazioni molto diverse, ma hanno qualcosa in comune? 
KL: Columbia è l’opposto di Rapture, è il presente opposto al passato, ma penso che nonostante questo abbiano diversi elementi in comune: la città sommersa è capitalista e molto industriale, mentre quella nei cieli è nazionalista e fortemente religiosa, tutt’e due però cercano delle soluzioni, vogliono risolvere i problemi, il fatto è che se non sei d’accordo con quanto vi succede finisci nei guai! 
SG: Ci sono due modi di giocare a Bioshock Infinite, si può affrontare l’avventura molto direttamente, o ci si può soffermare sui dettagli: sono due esperienze molto diverse? 
KL: Io penso che ognuno giochi per la sua ragione personale e che ci siano tre tipi di giocatori: qualcuno vuole correre e distruggere, qualcun’altro vuole seguire la storia, e poi ci sono quelli che fanno le ricerche e colgono veramente ogni elemento della narrativa. Questi ultimi li chiamavamo archeologi negli scorsi capitoli, ma nel caso di Bioshock Infinite direi che si tratta più che altro di antropologi. Se me lo chiedi ti dico che secondo me si tratta sicuramente di un modo eccitante di giocare, ma non è certo obbligatorio fare così. 
SG: Che tipo di difficoltà tecniche avete affrontato durante lo sviluppo? 
KL: Sicuramente la gestione di un secondo personaggio controllato dall’intelligenza artificiale è complicata, anche in termini di potenza di calcolo necessaria. Se poi ci aggiungiamo anche il fatto di avere una città sospesa con architetture importanti certo è stata una sfida, ma direi che in generale i risultati sono più che positivi. 
SG: Ogni anno che passa, il divario tra le versioni PC e quelle console aumenta in termini di pulizia tecnica. Non sentite la necessità di nuovo hardware su cui lavorare? 
KL: Direi che per il momento siamo riusciti a spremere per bene le console che conosciamo, come dicevi la versione pc è certamente migliore, ma devo dire che anche su console abbiamo raggiunto un buon livello visto che abbiamo avuto tanti anni per imparare ad ottimizzarne le capacità. 
SG: Non ci sono piani per un’eventuale versione Wii U? 
KL: In realtà non ne abbiamo mai parlato, è una decisione che coinvolge soprattutto il reparto business! Personalmente posso dire che sono interessato a tutte le possibilità, gioco di tutto, di fianco al letto ho iPad, iPhone, Wii U Gamepad, 3DS e PlayStation Vita, mentre nell’altra stanza ho PlayStation 3, Xbox 360 e pc! 
SG: Bioshock Infinite ci pare un titolo molto elaborato, ci sono degli elementi della tua esperienza personale che hai portato nel gioco? 
KL: Credo di non essere simile a nessuno dei protagonisti, detto questo sicuramente uno scrittore si deve immedesimare nei personaggi per capire che tipo di azioni farebbero. Per Bioshock Infinite poi va detto che non è tutta opera mia, sono stato aiutato da altri scrittori che si sono occupati per esempio di creare le registrazioni che puoi trovare per la città. 
SG: Non avete paura di mostrare ragazzini che fumano ed ubriaconi al bar, siamo finalmente al punto in cui i videogiochi sono maturati? 
KL: Non vedo perché non si possa fare, è una domanda che in effetti mi fanno in molti, ma non capisco proprio dove sia il problema. I videogiochi sono partiti magari come giocattoli, ma ora siamo decisamente ad un altro livello, con questo non voglio dire che ci sia solo un modo per farli, a me piacciono tutti i tipi di gioco, semplici, complicati, violenti, stupidi, vorrei solo che venissero considerati come ogni altra forma d’arte. 
SG: Com’è nata l’idea di creare le rotaie che attraversano Columbia? 
KL: Volevamo uno sviluppo verticale che negli scorsi capitoli è mancato, certo, eravamo nelle profondità dell’oceano, ma era un elemento che non si rifletteva più di tanto sul gameplay. Prima di arrivare alle rotaie abbiamo sperimentato molto: un jetpack, un aeroplano, poi ho deciso di portare il mio amore per le montagne russe e, nonostante fosse un’idea complicata da realizzare, abbiamo deciso di procedere in quella direzione. 

Lo sviluppo narrativo è sicuramente uno degli aspetti più interessanti di Bioshock Infinite, un aspetto che non ha mancato di stuzzicarci durante la nostra prova della campagna. Potrebbe sembrare strano, dunque, che le nostre domande non siano andate in quella direzione, ma basta conoscere Ken Levine per sapere che non si sarebbe lasciato scappare niente di specifico sulla trama, e così abbiamo deciso di aggirare la cosa, puntando ai dettagli. Ne è nata una chiacchierata interessante che non ha fatto che aumentare la nostra voglia di mettere le mani sul titolo Irrational Games che, lo ricordiamo, è previsto per il marzo del prossimo anno.