Recensione

Empires Apart, un RTS nostalgico ma votato al futuro

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Sviluppato dai ragazzi italiani di DESTINYbit, Empires Apart è un RTS che vive sospeso tra il passato e il futuro: da un lato strizza l’occhiolino in modo nemmeno troppo velato ai classici, a prima vista potrebbe essere scambiato per una mod low poly di Age of Empires II e molte delle sue meccaniche di gioco sono riprese direttamente dal celebre titolo di Ensemble Studios. Allo stesso tempo, Empires Apart si pone come un’evoluzione rispetto agli stilemi più canonici del genere, svecchia e velocizza molti schemi, ha una natura prettamente competitiva e votata all’online ed elimina alcuni orpelli ormai eccessivamente baroccheggianti, con il risultato di partite fluide e incalzanti. Sulla carta la scelta suona vincente, pubblicato da Slitherine Ltd. – uno fra i maggiori nomi in ambito di strategici – l’opera può godere dell’appoggio della nutrita community di fan che ruota attorno al publisher, ma alla prova dei fatti, Empires Apart mostra alcune piccole lacune nella sua duplice anima, ricadendo nei cronici errori che da vent’anni a questa parte attanagliano gli RTS e, proiettandosi nel futuro, si scorda anche alcuni elementi chiave che non dovrebbero mai mancare in un titolo del genere. 
Il grande assente
Come detto in apertura, la componente principale di Empires Apart è il multiplayer, dove sono già presenti dal lancio sia le partite per così dire amichevoli, sia i match classificati, dove scalare il ranking assieme agli altri generali da mouse e tastiera. Lo svolgimento dei duelli, veloci e senza pause, riflette pienamente l’orientamento verso il lato competitivo, ma questo sbilanciamento in direzione dell’online può essere sia croce che delizia per Empires Apart e solo il futuro potrà dirci se si verrà a creare un movimento di giocatore tale da tener vivo l’interesse attorno al lavoro di DESTINYbit. Nel caso in cui questo non accada, e i fan si orientassero verso altri lidi, la parabola di Empires Apart potrebbe essere estremamente breve, perché, se state cercando un titolo capace di catturarvi per ore e ore in intense battaglie sempre differenti contro l’IA, avete semplicemente sbagliato luogo. La componente singleplayer è infatti ridotta all’osso e, pur presentando qualche interessante novità, non ha la capacità di suscitare particolare interesse, vista l’assenza di una vera campagna. Vero è che questo concetto è ormai un privilegio per pochi nomi nobili, ma qualcosa doveva essere necessariamente fatto, anche senza un eccessivo sforzo mentale: dato che le fazioni si basano su alcune regni e popolazioni “storiche” – bizantini, francesi, arabi, cinesi, aztechi e mongoli – sarebbe stato infatti sufficiente mettere in scena alcune battaglie storiche che coinvolsero questi nomi, senza la necessità di aver un filo narrativo logico e coerente che tenesse unite le singole missioni. Non che le campagne di Field of Glory II o Pike & Shot rappresentino lo stato dell’arte – non sono altro che una sfilza di scontri campali poco legati tra loro – ma una soluzione simile sarebbe stata già più che sufficiente. Data l’assenza di una campagna, l’onere del singleplayer viene sostenuto dalle classiche schermaglie contro l’IA, dove settare grandezza della mappa, tipologia del terreno, numero di giocatori e livello di difficoltà, insomma, nulla di realmente innovativo, ma una presenza e un allenamento necessario in questa tipologia di titoli. Oltre alle partite casuali, fanno il loro ingresso due modalità di gioco che apportano aria fresca, quella che viene definita sopravvivenza e le sfide, anche se solo la prima riesce a convincere, grazie a delle idee riprese da altri generi. Durante questa partita l’obiettivo è molto semplice – in teoria – e consiste nel resistere ad ondate di nemici sempre crescenti che, puntualmente, si ripresentano ogni notte, mentre durante il giorno occorre riparare le difese, arruolare nuove truppe e raccogliere più risorse possibili, in una rat race senza termine. Purtroppo attualmente vi è una sola mappa disponibile, ma altre dovrebbero arrivare nel futuro prossimo. Meno interessanti le sfide, una serie di semplici schermaglie differenti per ciascuna fazione, nelle quali affrontare situazioni isolate in apparente svantaggio numerico, con truppe più deboli o posizionate in luoghi della mappa sfavorevole, che spesso durano non più di qualche secondo. 
Nel segno della tradizione
Sul campo di battaglia, Empires Apart mostra parecchi punti in comune con il già citato Age of Empires II e, se avete già esperienza con il padre spirituale, vi ambienterete in pochissimi istanti anche con il nuovo arrivato. Al di là degli schemi comuni al genere – per lo meno alla stragrande maggioranza dei suoi rappresentati – come i comandi, l’uso della telecamera, costruzione degli edifici o, ancora, il reclutamento delle truppe, ci sono infatti tanti altri dettagli che rimandano in modo inequivocabile al titolo di Ensemble Studios: le risorse sono infatti le medesime – cibo, legno, oro e pietra – ci sono edifici che lavorano praticamente in modo identico, come i mercati, e altri punti come la gestione delle reliquie o delle pecore sono dei tributi nemmeno troppo celati. Empires Apart va dunque accusato di plagio? No, è piuttosto un tributo ad un nome celebre del genere, forse non troppo originale, ma che non si limita a riproporre esclusivamente meccaniche già viste. Partendo da queste basi, cerca infatti di innovare e snellire determinati passaggi. Ad esempio, ogni edificio ha la coda di reclutamento per evitare l’eccessiva microgestione, possono essere determinati i punti di raccolta delle nuove unità generate, le fattorie possono essere automatizzate e gli upgrade per le truppe militari sono affidati ad icone intuitive poste direttamente sopra all’unità stessa. Anche lo sviluppo tecnologico, diviso fra civile e militare, è stato inserito in due icone situate nella parte alta dello schermo, di fianco alle risorse, in una UI che, in game, risulta di facile lettura e senza troppi fronzoli. Nonostante questa tensione al futuro, sono presenti ancora una volta dei difetti con cui i fan del genere convivono da parecchi anni, uno su tutti il pathfinding non sempre ottimale: pur senza veri e propri momenti di sconforto, può capitare che le truppe seguano percorsi non indicati, si incastrino negli edifici, che i cavalieri e i fanti, nel tentativo di tenere una formazione ordinata, si pestino i piedi, tutti difetti che, nel momento dello scontro vero e proprio, possono causare inaspettate sconfitte. Le schermaglie sono inoltre penalizzata dall’eccessiva somiglianza fra le varie truppe, che spesso si confondono l’un con l’altra, provocando scelte sbagliate che possono pesare sull’andamento della partita. Inoltre, si segnala una telecamera poco funzionale, con una classica visuale isometrica troppo stretta verso il terreno, che impedisce un’adeguata visione periferica.
A ciascuno il suo
Il vero elemento di rottura rispetto al passato – soprattutto rispetto all’immagine sempre presente di Age of Empires II – è il profondo lavoro di caratterizzazione e differenziazione effettuato sulle fazioni. Pur non numerosissime – sono infatti solo sei – queste sono state ideate e progettate tenendo conto del loro background storico e le loro personalità si riflettono in modo evidente in gioco. Ad esempio i bizantini e i francesi sono le potenze più standard, sono dotate sia di truppe a cavallo che appiedate, dispongono anche di unità da lancio e lo sviluppo delle loro civiltà segue percorsi abbastanza standardizzati. Discorso ben differente nel caso dei mongoli, che riflettono la loro natura nomade sia nella costruzione degli edifici – esiste un’unità apposita chiamata colono – sia nell’aspetto militare, dove figurano solo truppe a cavallo. La prospettiva cambia ancora una volta nel caso si utilizzino i cinesi, dove il consiglio è quello di sfruttare la potenza delle truppe da lancio, come i balestrieri Nushou, capaci di tener testa anche alle truppe corazzate. Inoltre, ci sono anche nomi celebri, come il generale bizantino Belisario, in grado di evocare un esercito fantasma utile per distrarre il nemico, Rolando, capace di autocurarsi,Giovanna d’Arco o, ancora, Gengis Khan, eroi che rappresentano una variazione sul tema classico degli RTS. Ogni fazione gode quindi di truppe uniche e personaggi storici differenti, così come di alcuni edifici ad hoc: da un lato queste peculiarità servono a creare una maggiore diversificazione delle partite e si adattano ai differenti stili di gioco, ma non sempre si ha l’impressione di trovarsi davanti a scontri ben bilanciati. L’assenza, storicamente giusta, di alcune truppe, rende infatti un paio di fazioni meno capaci di adattarsi alle varie situazioni, con il pericolo che, durante i match online, tutti i giocatori finiscano con il selezionare sempre le stesse, lasciando in un angolo ad esempio gli aztechi o i mongoli, potenze dotate di un minor numero di unità militari.
Non è bello, ma piace
Grazie alla sua grafica low poly, Empires Apart acquisisce una certa personalità e si differenzia dalla maggior parte degli altri RTS anche se, come già detto, l’anonimità delle truppe complica un po’ la vita, rendendone difficile la distinzione a prima vista. Sufficienti inoltre le opzioni grafiche, che vanno dalla qualità delle texture a quella delle ombre o degli effetti, mentre sono presenti ben cinque differenti tipologie di anti-aliasing. Infine, qualche perplessità sul design con cui sono stati costruiti i menù e sulla scelta degli shortcut da tastiera. Misteriosamente, la pausa in game non è stata infatti “piazzata” sull’Esc, ma sulla P, per creare una nuova partita in multiplayer occorre premere il piccolo + piazzato nell’angolo basso dello schermo, privo oltretutto di qualsiasi avviso, mentre per aggiungersi ad una partita già creata, non è sufficiente premere su un punto qualsiasi della sua stringa, ma è necessario cliccare esattamente sul riquadro contenente il numero di giocatori. Sono tutti piccoli dettagli a cui ci si fa presto l’abitudine, anche se permane il dubbio attorno a queste scelte diciamo naif. 

– Meccaniche di gioco ben rodate

– Qualche piccola innovazione per snellire i match

– Fazioni ben differenziate e caratterizzate…

– … Ma non bilanciatissime

– Assenza di una campagna

– AI e pathfinding non ottimali

– Telecamera troppo stretta

7.0

Empires Apart non cerca di stravolgere il mondo degli RTS, anzi, sono numerosi i riferimenti ai classici del passato ed è impossibile non rivedere i molti tributi verso Age of Empires II, ma ciò non significa che non vi siano dei tentativi di rinnovamento, piccoli aggiustamenti che rendono più fluidi e meno “pesanti” le partite, dove viene evitato lo spettro della microgestione. Al di là della discutibile scelta di non inserire anche una semplice campagna singleplayer, purtroppo Empires Apart casca in alcune delle più classiche problematiche del genere, uno su tutti il pathfinding non ottimale e degli scontri poco chiari, penalizzati anche dalla somiglianza fra le varie unità. Inoltre, la scelta di differenziare così profondamente le varie fazione è sia croce che delizia, rende più vari i match, ma l’equilibrio non è sempre garantito. La verità è una soltanta: le future fortune di Empires Apart sono tutte legate all’auspicabile creazione di una community capace di mantenere vivo l’interesse attorno al titolo, il cui vero fulcro risiede nel comparto online.

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7