Cappuccino e Videogioco, grazie - Rome: Total War

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati a Cappuccino e Videogioco, la rubrica settimanale alla scoperta (e riscoperta) dei videogiochi con cui iniziare bene queste giornate autunnali. Dopo l’esordio di Miyazaki, il Tolkien fatto coi LEGO e l’Assassino nel Rinascimento, la puntata di oggi andrà ancora più indietro, raggiungendo lidi finora mai esplorati. Le terre da attraversare sono quelle dello Strategico, genere principe del PC che per oltre un decennio (dal 1999 a oltre il 2011) ha occupato le menti di ogni videogiocatore armato di mouse. Con quest’ultimo si potevano gestire di tutto, dalle città ai parchi divertimenti, passando per Medioevo, fantascienza e guerre mondiali. Ma qui non parleremo dei celeberrimi Age of Empires o degli Starcraft, talmente profondi da essere assurti ad arte marziale. Oggi ci concentreremo sull’ “altro lato della barricata”, nella serie strategica che forse più di tutte ha dato al genere una definizione grafica di “respiro epico”. Prendete il cappuccino, stamattina a farci compagnia c’è Rome: Total War.
Il mondo antico in 3D
Più precisamente, ci troviamo nel 2004. Prima di Total War: Warhammer (giunto recentemente alla seconda incarnazione) TW era un brand conosciuto per le sue ambientazioni storiche. I primi due videogiochi della serie erano stati Shogun (2000) e Medieval (2002), entrambi grandi successi commerciali ma criticati per la poca accessibilità. Il terzo nato dei Total War avrebbe dovuto obbedire a un solo principio: essere mastodontico ma accessibile, esattamente come i grandi kolossal degli anni Sessanta. Fu probabilmente da questa ispirazione che derivò anche l’ambientazione: il mondo antico. Per l’occasione fu ricostruito anche il motore grafico, per renderlo totalmente poligonale. Il risultato è stato, per una volta, ovvio: non staremo qui a descrivere l’ambizioso successo che Rome: Total War ha avuto presso critica e pubblico. Piuttosto, proviamo a capire come mai questo videogioco funziona così “bene”.
Da sempre i Total War vivono di una struttura duplice: strategica e tattica. Nella prima bisogna gestire i propri domini, posizionare le armate e amministrare diplomazia e famiglia; nella seconda bisogna risolvere un conflitto tra due o più eserciti. Una divisione divenuta ben presto un autentico marchio, che nel 2004 viene portata all’estremo da Rome. Lasciata perdere l’altezzosa suddivisione in “regioni” dei predecessori, butta il giocatore in una riproduzione in 3D dell’Europa del 270 avanti Cristo. Gli eserciti sono rappresentati da ufficiali con stendardo, che possono agire (movimento, attacco, costruzione) finché hanno a disposizione Punti Movimento. La gestione delle città passa invece attraverso appositi pannelli (pergamene) da cui decidere le strutture da edificare, le unità da addestrare e tenere conto la situazione monetaria. A ogni fine turno, il computer risponde muovendo le altre fazioni.
A parte un sommario tutorial, il resto è quindi tutto nel mouse del giocatore. Un carico di responsabilità che però non risulta ostile, in virtù della notevole accessibilità del tutto. Aiutati dal consigliere virtuale e dai piccoli cartigli esplicativi di ogni opzione, ben presto ci si occupa agevolmente dell’impero. Si imparano a riconoscere vizi e virtù della famiglia della fazione, si fanno combattere i maschi e si combinano i matrimoni delle ragazze. Quello che ai tempi era stato visto come un difetto (solo tre fazioni iniziali, tutte famiglie romane) si reinterpreta ora come l’intenzione di offrire una sfida e un “incentivo all’esplorazione”: le altre fazioni vengono sbloccate infatti completando le campagne o sconfiggendole nei panni dei Romani. Ovviamente la posizione geografica avrà influenza diretta sulle minacce affrontate: i Giuli andranno contro i Galli, i Corneli affronteranno i Cartaginesi e infine i Valeri si scaveranno il dominio tra Macedonia e città-stato greche. Troppo semplicistico? Basta ricominciare la partita con una qualunque altra fazione non romana per trovarsi a cambiare completamente tattiche e strategie di sviluppo.
Arte della guerra digitale, letteralmente
La gestione strategica non è perfetta. La diplomazia funziona solo fino a un certo punto, e ancora adesso l’IA si dimostra fin troppo “estrema”: tentenna quando è in vantaggio e rifiuta la resa quando è alle corde. Troppe volte infatti si forza il giocatore a schiacciare militarmente ogni cosa, forse solo perché “il gioco si chiama guerra totale”. Brand a parte, rimane comunque qualcosa di poco simulativo e senza molto senso. Quest’ultimo è quasi tutto acquisito nell’introdurre la seconda colonna portante del gioco: le battaglie in tempo reale. Una volta che due eserciti sono entrati in contatto sulla mappa strategica, si accede a questa modalità, dove si comanda l’esercito in tempo reale. Il programma genera una “mappa casuale” in base al punto dell’Europa in cui si trovano le forze e vi mette le unità. A noi starà schierarle, comandarle e dirigerle. Il bello dei Total War (oggi come ieri) sta nella loro estrema aderenza all’arte bellica dei tempi: le tattiche e le manovre prese dai volumi di storia militare si applicano al gioco in toto. È possibile vincere le battaglie anche in inferiorità numerica, affidandosi a truppe di qualità superiore o sfruttando la conformazione del territorio. Una simulazione tattica accurata, ma anche qui sufficientemente accessibile anche grazie a un consigliere apposito. E neanche a dirlo, a supportare questa parte del gioco c’è un motore grafico sopraffino. Se la grafica e il livello di dettaglio generale ormai sentono il peso degli anni, a rimanere invariata è la grande sensazione di epicità che le battaglie di Rome trasmettono. Lussureggiante come una barriera corallina, il motore muove agevolmente migliaia di unità a schermo. La funzione di zoom permette letteralmente di scendere a fianco dei soldati, ammirandone le movenze uniche. E non è difficile rimanere affascinati dalla rievocazione. Dal legionario che lancia il pilum all’elefante che barrisce furioso, passando per le falangi che si organizzano e i carri falcati, le animazioni fatte con il motion capture tengono la scena ancora oggi. Un motore grafico talmente accurato e potente da aver fatto (per i tempi) l’impossibile: travalicare i confini dello strategico. La sua tecnologia fu infatti utilizzata per Decisive Battles of the Ancient World, una serie di documentari di History Channel che spiegavano e ricostruivano in dettaglio famosi episodi bellici del mondo antico. È arrivata anche in Italia, con il titolo decisamente fuorviante di “Giochi di Guerra”.
Cloni e faraoni fuori tempo
Ma, per quanto se ne debba riconoscere il valore storico, oggi Rome mostra difetti anche sotto questo punto di vista. Pochi poligoni per singolo soldato e qualche incertezza nelle collisioni sono poca cosa, se paragonate al generale look “asettico” che pervade le battaglie. Unità, edifici e terreno hanno infatti un aspetto fin troppo netto e sgargiante. Ugualmente si avverte la mancanza di oggetti unici, esattamente come le unità che è sempre lo stesso modello replicato più volte, tanto da essere definito scherzosamente “attacco dei cloni” dagli stessi Creative Assembly. Tornando a cose più serie, sono evidenti le “licenze poetiche” del gioco. Dai barbari germanici capaci di mettersi in formazione come il miglior oplita greco, fino alle forzature sulla composizione numerica dell’esercito romano. L’errore più grande (e più conosciuto) è tuttavia quello dell’Egitto, che si è ritrovato con un’organizzazione fuori tempo di 500 anni. Certe fazioni (specie quelle orientali) sono ovviamente meno approfondite di altre, così come vi sono notevoli semplificazioni da un punto di vista della simulazione economica e politica. Difetti riconosciuti ai tempi, e che oggi si notano ancora di più. Eppure il gioco continua a funzionare, diverte e coinvolge a fondo. Il motivo sta nel suo voler essere democratico: prima che documentaristico o hardcore, offre un campo libero dove ognuno può forgiare come meglio crede il destino della fazione che ha scelto. Scegliendo a piacimento il livello di minuzia e di approfondimento, bisogna lasciarsi catturare dalla sua onestà intellettuale, dalla sincera ispirazione della ricostruzione. Per una volta, è da ricordare anche la localizzazione: gli adattatori italiani sono intervenuti correggendo alcune “forzature” testuali dei creatori. Un esempio per tutte: una delle famiglie romane in inglese è Scipi, dal nome del celeberrimo Publio Cornelio Scipione. La traduzione ha ripristinato il gentilizio Corneli, filologicamente più accurato.

Tredici anni dopo, Rome: Total War continua ad appassionare. La sua recente e inalterata ripubblicazione su iPad (e questo inverno anche su iPhone) non è che un’ulteriore dimostrazione di quanto fosse avanti per i suoi tempi. Un videogioco che, per quanto non perfetto, trova il suo compimento nel realizzare quello che (oggi come ieri) è il migliore dei compromessi: la commistione tra due generi e due tipi di videogiocatori. Il tutto condensandolo con un motore grafico letteralmente da kolossal. Divertente, stimolante, istruttivo e infinito: quattro parole per descrivere uno dei migliori (se non il migliore) gioco della Creative Assembly. Immergetevi nella suo mondo antico e non vorrete più tornare indietro.