Immagine di Infinity Strash Dragon Quest The Adventure of Dai | Recensione - Proprio no
Recensione

Infinity Strash Dragon Quest The Adventure of Dai | Recensione - Proprio no

L'ennesimo spin-off del franchise Dragon Quest stavolta non poggia su basi sufficientemente solide: vediamolo nella nostra recensione.

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

In sintesi

  • Uno spin-off di Dragon Quest senza troppe pretese.
  • Estremamente ripetitivo.
  • Decisamente costoso al momento.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Infinity Strash: Dragon Quest The Adventure of Dai
Infinity Strash: Dragon Quest The Adventure of Dai
  • Sviluppatore: Square Enix, GameStudio Inc
  • Produttore: Square Enix
  • Distributore: Plaion
  • Testato su: PS5
  • Piattaforme: PC , PS5 , PS4 , XSX , SWITCH
  • Generi: Gioco di Ruolo , Azione
  • Data di uscita: 12 ottobre 2023

Quanto e più di altri franchise targati Square Enix, Dragon Quest ha generato, negli anni, una pletora di spin-off di varia natura, dai giochi di ruolo à la Pokemon ai simil-musou, passando per titoli d'azione legati al ritrovamento di oggetti e tesori.

Proprio come la serie principale, la qualità di questi prodotti, pur con qualche fisiologico moto ondulatorio, si è sempre mantenuta su buoni livelli, a testimonianza dell'amore della software house nipponica per uno dei suoi marchi più longevi e riconoscibili.

Nonostante un titolo impronunciabile come Infinity Strash: Dragon Quest The Adventure of Dai, abbiamo dato fiducia all'ultimo esponente di questa lunga lista, contando proprio sugli standard qualitativi fin qui espressi, ma siamo rimasti nondimeno tremendamente delusi.

Scopriamo insieme il perché.

Protagonista amnesiaco volume 13762

Potevamo farci mancare un protagonista affetto da amnesia in un prodotto proveniente dal Sol Levante? Certo che no, e difatti Dai, il protagonista di Infinity Strash, ha grossi problemi a recuperare i frammenti di memoria, ognuno dei quali mostrerà al giocatore scene statiche (torneremo su questo aspetto più avanti) tratte direttamente da una delle oltre quaranta puntate dell'anime originale, piuttosto conosciuto in Giappone ma immaginiamo oscuro per molti dei nostri lettori.

Si tratta di una serie anime che proviene a sua volta da un manga liberamente ispirato al mondo di Dragon Quest, di certo popolare in tutto il mondo ma particolarmente amato in patria, dove ha sempre guardato dall'alto verso il basso anche franchise più quotati in occidente come i vari Final Fantasy e Star Ocean.

Da neofiti della serie anime noi stessi, dobbiamo ammettere come sia stato fatto un discreto lavoro nell'abbattere eventuali barriere d'ingresso, dal momento che la narrativa, piuttosto semplice nel suo svelarsi, non necessita di conoscenze pregresse particolari da parte del giocatore, e presumiamo possa risultare invece ridondante per quanti l'avessero già snocciolata altrove.

Data la breve durata complessiva, i personaggi non hanno troppo tempo per crescere e prendersi un posto al sole, eppure la storia di crescita e di amicizia alla base, per quanto estremamente risaputa – specie nell'alveo delle produzioni di matrice nipponica – risulta inoffensiva, quando non minimamente interessante.

Insomma, come avrete capito dal voto in calce a questa recensione, i problemi di Infinity Strash sono altrove, e sebbene il plot non faccia cadere alcuna mascella, quantomeno non fa danni.

Buono per tutti, indicato per nessuno

L'impressione di una produzione per tutti, che cerca di abbracciare le più ampie fasce di pubblico possibili, viene immediatamente corroborata dalla velocità dei tutorial e dall'immediatezza dei primi scontri, che purtroppo rappresentano però tutto quello che il titolo ha da offrire.

Niente di più semplice del sistema di combattimento, a metà tra un musou ed una produzione per dispositivi mobile, dove latitano strategia, mosse complesse e guizzi capaci di elevare i combattimenti dal mero button mashing alternato al tasto adibito alla parata o alla schivata, a seconda dei gusti.

In meno di un'ora avrete già visto tutto quello che il combat system ha da offrire.
Oltre alla barra della salute, come da tradizione estremamente generosa per quasi tutti i boss, c'è anche una break gauge, che garantisce una finestra di danni gratuiti agli avversari storditi al suo riempimento.

Aggiungeteci la spettacolare mossa speciale, con tanto di animazione non saltabile e sempre uguale a se stessa, ed avrete visto, nel giro di meno di un'ora, tutto ciò che il combat system ha da offrire, con la dolorosa postilla che queste meccaniche, dal fiato cortissimo, vanno spalmate sull'intera durata dell'avventura, che può variare tra le dieci e le quindici ore a seconda del livello di abilità e della quantità di contenuti secondari fruiti.

Appare evidente, quindi, che il mostro più forte (per non dire imbattibile) cui si troverà di fronte il povero Dai sarà la ripetitività, e l'unica arma che potrebbe rovesciare le sorti di questo scontro impari potrebbe essere una fruizione "mordi e fuggi" di Infinity Strash, dedicando ad esso non più di una mezz'ora nei ritagli di tempo della giornata – operazione non facilissima nella versione PS5 da noi testata.

Pressoché nullo il livello di sfida: nonostante la morbidezza del livello Standard (che è quello di default quando si inizia una nuova partita), Square Enix ha aggiunto anche una modalità Storia, in cui le cose si fanno ancora più semplici, con la necessità di input minimi e di pochissimo impegno da parte del giocatore.

Va bene l'accessibilità, ma se per progredire non è nemmeno necessario impegnarsi, ecco che l'intera esperienza si riduce ad un button mashing meccanico e forsennato, in linea con l'era geologica dei primissimi musou, dai quali la stessa Omega Force, maestra del genere, si è da tempo allontanata.

Non pervenuto nemmeno il level design, di una piattezza davvero sconcertante: le arene sono un susseguirsi ininterrotto di stanze più larghe ed infiniti corridoi, senza verticalità alcuna e senza che sia mai incentivata (per non dire possibile) alcun tipo di esplorazione, con scenari plasticosi ed assolutamente non interattivi.

Stante questa situazione, anche le trovate positive, come le memorie da sbloccare man mano che si procede lungo l'avventura principale, equipaggiabili così da personalizzare, per quanto possibile, la propria build, perdono di valore.

Al netto della smania collezionistica, quindi, che ne indossiate una che garantisca maggior potere magico o un'altra che vi protegga dagli attacchi fisici, l'esito delle battaglie, e ancora di più il gameplay per arrivarci, non sarà minimamente modificato.

L'unica, vera utilità sarà allora quella di allungare l'esperienza di gioco con missioni opzionali per quanti volessero cimentarvisi, perché anche la spruzzata di roguelite portata in dote dal tempio delle memorie, una serie di stanze collegate all'interno delle quali si inizia sempre dal primo livello, non è sufficiente a variare l'esperienza di gioco.

Alla bilancia dei contro vanno purtroppo aggiunti anche una minimappa pressoché inutile ed una camera non sempre sul pezzo nei combattimenti più concitati, che appesantiscono ulteriormente le fasi di giocato.

Carino da vedere, almeno

Quantomeno, sebbene questo non lo salvi dall'insufficienza, Infinity Strash si difende benone a livello meramente tecnico: grazie ad un sapiente utilizzo del cel shading, che aiuta a smussare gli angoli e rende gradevoli all'occhio anche modelli poligonali in realtà piuttosto semplici, il colpo d'occhio è positivo, e con esso anche le performance, altro aspetto da non sottovalutare in titoli d'azione come questo.

Quantomeno il colpo d'occhio è positivo e, con esso, su PS5 lo sono anche le performance.
Non che manchino sporadici cali di frame rate rispetto allo standard fissato dal team di sviluppo, ma nessuno di essi ci ha mai impedito di portare a segno un colpo o ha decretato la nostra prematura sconfitta – e, verosimilmente, basteranno un paio di patch mirate per eliminarli del tutto.

I nostri test sono stati condotti tutti su PlayStation 5, perlopiù prima della patch day-one, ma ci è sembrato che quella lanciata in contemporanea con il gioco non abbia modificato poi di troppo la qualità delle performance.

Discreto anche il comparto audio, con la stragrande maggioranza dei dialoghi doppiati (con la possibilità di selezionare tanto il giapponese quanto l'inglese) e prove recitative discrete, sebbene estremamente sopra le righe, in linea con i temi e lo spirito della produzione originale a cui il videogioco si ispira.

Alla luce di questo, allora, appare ancora più incomprensibile la scelta di far progredire la storia principale con delle prolisse cut-scene statiche prive di animazioni, le quali, nonostante lo stile artistico gradevole e quanto mai fedele al materiale di partenza, restituiscono la spiacevole sensazione di "vorrei ma non posso".

Le sporadiche scene animate degnamente, infatti, fanno tutt'altro effetto, e ci si chiede per quale motivo gli sviluppatori abbiano optato per questa soluzione così insipida e sbrigativa.

Alla luce di quanto visto fin qui, il prezzo richiesto al lancio, anche solo se rapportato alla longevità complessiva ed alla scarsa rigiocabilità, appare sproporzionato: valori produttivi e meccaniche che per profondità richiamano piuttosto il mobile gaming non giustificano i sessanta euro richiesti a oggi per il download, vista l'assenza di una versione fisica in Occidente. Semplicemente, Infinity Strash non fa niente per rientrare in un'opera che possa presentarsi con quella fascia di prezzo al suo debutto.

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Voto Recensione di Infinity Strash Dragon Quest The Adventures of Dai | Recensione


5

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Approcciabile tanto narrativamente quanto nel gameplay

  • I fan dell'anime potrebbero dargli una possibilità

Contro

  • Incredibilmente ripetitivo già dopo pochissimo

  • Level design, questo sconosciuto

  • Meccaniche basilari

  • Costoso al lancio

Commento

Infinity Strash Dragon Quest The Adventure of Dai rappresenta un sostanziale passo indietro rispetto al livello qualitativo medio degli spin-off a cui ci aveva abituato Square Enix con il franchise Dragon Quest.
Vuoi per il gameplay piatto e ripetitivo, vuoi per la narrativa risaputa e narrata tramite immagini statiche, vuoi per il costo decisamente elevato al lancio, l'ultima fatica dello sviluppatore giapponese lascia con l'amaro in bocca – con forse la sola eccezione dei fan del materiale originale, che pure sarebbero ben felici di comprare un gioco così imperfetto spendendo meno.
Per molti versi, osservando la banalità del level design e delle meccaniche di base su cui poggia l'intera esperienza, tornano in mente i titoli su licenza dei primi anni '90, quando più che sulla qualità dello sviluppo si puntava sulla voglia dei giocatori di vestire i panni dei propri beniamini.
Ma di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, da allora, e oggi i titoli su licenza sviluppati con amore e competenza abbondano. E, purtroppo, non è questo il caso.
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